sabato 19 ottobre 2024

Mi ricordo 15


Mi ricordo di una Ford Taunus marrone metallizzato. La tinta rappresentava un optional cromatico ancora poco diffuso, veniva riservato alle auto di cilindrata superiore e sigla L, surrogato del lusso per un paese che cercava di dimenticare le ristrettezze della guerra. Nel frattempo le abitazioni avevano guadagnato il riscaldamento a radiatori, eppure la memoria porta con sé un brivido di freddo, il buio recalcitra nel cedere il testimone al nuovo giorno, e si precisa nelle mattine invernali che seguivano a un’intensa nevica notturna. Era solamente allora che i due palazzi affiancati, civico 8 e civico 10 di via Parolo, si popolavano di sguardi dalle finestre spalancate e dai balconi, tutti puntati al cortile ricoperto da un velo bianco e soffice e intonso. Chi stava lavando i denti si affrettava, e raggiungeva gli altri dopo avere indossato un indumento pesante. Prima o poi si sapeva che, alla guida della sua Ford Taunus marrone metallizzato, sarebbe comparso il signor Pittino.

Il signor Pittino era il padre di un mio amico, il Pittino: tanto lungo e secco lui quanto espanso il genitore, ne sembrava la radiografia. Il signor Pittino aveva anche una figlia (capelli a caschetto e forme già da donna, i tre o quattro anni più di noi rendevano il desiderio a senso unico: il nostro), per indicarla bastava sottrarre il titolo di cortesia riservato al padre e mutare di genere l'articolo determinativo del fratello, e infine una moglie che si risolveva in quel vincolo benedetto dal parroco, o in alternativa nella funzione di madre, madre dei Pittino. Nessuno ha mai conosciuto i loro nomi di battesimo.

Ecco, arriva! Qualcuno giurava di aver sentito rombare un motore nei garage. Il più delle volte si trattava di un'anticipazione illusoria, ma l’attesa, potevi scommetterci, veniva sempre ripagata dall’apparire del frontale squadrato della Taunus. Alla guida un omone serissimo, quasi corrucciato, che tentava di risalire le due rampe che separano dal cancello d'entrata, condiviso dagli edifici. Parallelepipedi un po’ anonimi, funzionali li si definiva per nobilitarli, sbocciati da un giorno con l’altro attraverso l’impollinazione del boom economico, e abitati da quella piccola borghesia per cui la parola futuro possedeva ancora un senso.

Due rampe, due rampe... due rampe solamente, si ripeteva il signor Pittino per caricarsi. Un'operazione semplice montando delle normalissime catene, soluzione adottata dai più. Oppure si poteva confidare nei condòmini più laboriosi e altruisti, i quali a metà mattinata scendevano a spalare la neve, poi spargendo il sale in grani. Un gesto identico alla semina, di cui rappresenta il corrispettivo mutato di segno: generare la vita e cancellarne la possibilità, curiosamente la stessa figura. Una figura da cui veniva esonerato il signor Pittino, che forse considerava entrambi i gesti poco virili, le cose si ottengono in un agone senza dilazioni e strategie, muso a muso con gli intralci del fato. Uomo asburgico, dai baffetti rossicci e il riporto dello stesso colore, parlare non era il suo forte. Iniziava così lo spettacolo.

Arrivato a metà della prima rampa o, nei tentativi più fortunati, alla seconda o perfino al culmine, il veicolo cominciava a scivolare indietro piano piano, l'effetto di una pellicola cinematografica a cui venga invertita la rotazione delle bobine. Si diffondevano allora mormorii di disappunto, ma i più cinici non nascondevano un sorrisetto divertito. "Dai Pittino, la prossima volta ce la fai!" gli urlava il ragionier Flematti sporgendosi pericolosamente, e lui ripartiva sempre più paonazzo in viso.

Non ricordo se sia mai riuscito nell'impresa, solo il tentativo, lo sforzo, la mosca che rimbalza sul vetro. Per quello che ne so, potrebbe essere ancora lì. A un certo punto bisognava rientrare in casa, c’era il latte tiepido nella tazza, una cucchiaiata di Nesquik e qualche biscotto da ingurgitare in fretta, la cartella già pronta accanto alla porta d'ingresso. Intanto, la radio comunicava che era scoppiata una bomba da qualche parte lontana, confusa, magari avevi capito male. Una sensazione simile allo schermo granuloso del televisore prima dell'inizio delle trasmissioni, all’improvviso compariva l'immagine di reti da pesca che calavano in un cielo grigio solcato da soffici cirri, accompagnata dalle note dell’overture del Guglielmo Tell di Rossini. Ma la vita vera era quel cortiletto imbiancato, come lo zucchero a velo sul pandoro.

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