giovedì 14 dicembre 2023

Orvieto, a true sentimental story

Alle scuole medie avevo un compagno di classe che si chiamava Orvieto, come la città. È passato talmente tanto tempo che ricordo solo il cognome e il cespuglio nero e crespo dei capelli, spiccava nella fila dei banchi alla mia sinistra, verso i finestroni da cui si scorgeva il cubo di cemento della palestra e più dietro l'arco dell'Adamello dalle cime innevate fino a tarda primavera.

Il suo anonimato si rifletteva negli studi, in cui non brillava di certo, ma nemmeno collezionava note sul registro come me. Una via di mezzo, una media leggermente al ribasso, con tutte le premesse per diventare un uomo altrettanto medio, abbozzi di vita in cui la cornice si ingoia piano piano il ritratto. O perlomeno così appariva, e questa è una storia che mi ha insegnato a diffidare delle apparenze.

In ogni caso, quella brava era l'Acquistapace. Piccolina, occhi azzurri, capelli lunghi e lisci e biondi. Talmente bella che l'avrei posata nel muschio del presepe al posto della Madonna. Di lei naturalmente ricordo tutto, tra cui il nome, Simona, e l'odore di marzapane che emanava quando si alzava per andare alla cattedra a ritirare il suo tema, dopo che la professoressa Cozzini ne aveva letto uno stralcio.

Trascorsi pochi giorni dal compito in classe di italiano, era una prassi a cui avevamo preso l'abitudine: sia la lettura di qualche passaggio dal tema con il voto più alto, sia che quel tema appartenesse all'Acquistapace. Fu dunque grande lo stupore, una mattina in cui il sole tardava a manifestarsi e l'Adamello era più innevato del solito, nel non sentire leggere il solito tema dell'Acquistapace, ma per intero quello di Orvieto. Titolo: Parla di tuo padre.

A un certo punto la Cozzini si commosse pure un po'. Fu quando, con parole semplici e sentite, Orvieto descriveva il ritorno dal Belgio del padre, dopo anni in miniera. La gratitudine per quest'uomo che sentiva tossire nel letto, la silicosi come forma concreta dell'affetto di un padre per il figlio, che lo ricambiava con l'uguale concretezza dell'inchiostro.

Non sto dicendo che fosse un capolavoro, ma per la prima volta intuivo la differenza tra sentimento e sentimentalismo. Se i miei temi erano pieni di sarcasmo per sfuggire la trappola del glucosio in forma verbale – avevo una fama da bullo da mantenere –, non la grande letteratura ma il tema di Orvieto mi mostrava ora il mondo da una prospettiva diversa: essere porosi, assorbire, non avere fretta di restituire l'esperienza. Il sentimento somiglia piuttosto a un alambicco, che dalle cose distilla lentamente una goccia preziosa, possiamo anche chiamarla lacrima.

Ecco, quella era una possibilità che non avevo considerato, come nello stesso periodo il triangolo cantato da Renato Zero. Per me scrivere era invece una partita a tennis, la pallina andava ributtata subito dall'altra parte, e l'eventuale bellezza era costituita dalla veronica di Panatta, il gesto plastico e virtuoso che strappa l'applauso al pubblico del Foro italico.

Una contrapposizione che vedo riproporsi anche adesso: chi si esalta per lo stile, gli sperimentalisti, i gaddiani, chi per le belle storie che toccano il cuore. Quella di Orvieto non finisce in quell'inverno lontano, gli anni Settanta che sfumano e cedono il loro piombo ai sabati sera infebbrati, ero riuscito a vedere la pellicola con John Travolta anche se non avevo ancora compiuto i quattordici anni richiesti. Devono passare altri tre decenni.

Posso solo immaginarlo quando si presenta di fronte all'armeria gestita dai genitori dell'Acquistapace, ormai è un uomo di mezza età. È lei ad avermelo raccontato, dopo lo stesso periodo di tempo in cui neppure noi ci siamo visti, sono state di nuovo le parole scritte a farci ritrovare, questa volta da me. Nel salutarci con un bacino sulla guancia mi sono accorto che odorava sempre di marzapane.

Orvieto prima si guarda in giro, legge bene l’insegna, esita. Poi entra nel negozio, continua l'Acquistapace, e posa un fucile sul bancone. È avvolto nella carta marroncina come fanno nei film americani con la bottiglia di whisky.

– Posso lasciarlo qui? – chiede Orvieto alla madre dell'Acquistapace.

– Mi dispiace, non trattiamo armi usate – risponde lei.

Poi però lo scarta, soppesa il calcio in legno di ontano controllando che non ci siano graffi, scorre le dita sul cane, verifica che la sicura sia inserita e preme leggermente il grilletto: – Comunque sembra in buono stato, può farci ancora qualche centinaio di euro.

– Mi scusi, c'è un equivoco. Non sono qui per i soldi: mi basta liberarmene, non voglio più vedere questo fucile!

– Non capisco...

– Ero compagno di scuola di sua figlia. Me la saluti, a proposito, quando la sente. Lo consideri un regalo.

Tocca ora fare una pausa e ricordarsi del tema delle medie. Il padre che tossisce, la silicosi, fatica e dignità nel campare una famiglia, la propria famiglia. Amore, diciamolo pure senza girarci attorno. Show don't tell insegnano nei corsi di scrittura. E noi invece lo diciamo, non vogliamo mica essere i primi della classe, dei sotuttoio come l'Acquistapace. Piuttosto degli Orvieto, persone che si barcamenano tra concetti spesso troppo difficili per loro – la crisi climatica, il PNNR, la geopolitica – ma almeno una cosa l'hanno imparata, anzi lui la possedeva al massimo grado e senza bisogno di studio. I sentimenti.

– Con questo fucile – conclude Orvieto –, mio padre la settimana scorsa si è sparato.

4 commenti:

  1. questa è una delle storture inspiegabili del web, che un racconto così limpido e sommessamente perfetto non riceva commenti e forse nemmeno letture, sebbene sia presente nella utile lista di postodibloggo; quindi non per scarsa visibilità ma per trascuratezza dei lettori!
    difficile raccontare i sentimenti senza cadere nel melenso, ma tu ci sei riuscito. Come? Attraverso una scrittura pacata, impreziosita qua e là da alcune chicche (l'arco orobico per localizzare la vicenda, l'odore di marzapane per caratterizzare la bambina/donna, la concretezza dell'inchiostro per dirci il modo di restituire riconoscenza di Orvieto al padre). Si percepisce la commozione contenuta del narratore che dà colore e calore alle parole, e si apprezza il buon amalgama degli ingredienti usati: l'amarcord, la bella "mediocrità" del protagonista, le riflessioni dell'io narrante.
    complimenti
    massimolegnani

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    1. Grazie Massimo! Del tuo generoso giudizio mi gratifica (emozionandomi, già che siamo in tema) più l'avverbio sommessamente che l'aggettivo perfetto. Forse perché la perfezione è una qualità da Acquistapace, mentre sommesso è l'infinito esercito degli Orvieto che ogni tanto, ma non troppo spesso, imbroccano il tema. E a giudicare dalle tue parole, mi piace pensare che questa volta il voto possa essere esibito con orgoglio ai genitori, senza contraffarne la firma per evitare castighi. (PS - ti confesso di non sapere cosa sia questo "postodibloggo", spero una cosa bella. Come Groucho Marx tendo a diffidare di un contenitore dove viene esibito un blog come il mio...😉)

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    2. (eheh, grande Groucho, ma ti garantisco che da Franco (che qui sotto mi risparmia lo spiegone) ci stai con merito)
      ml

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  2. Arrivo solo dopo l'ottimo Massimo, felice che ti abbia scovato grazie al blogroll del mio Postodibloggo, dove vengono segnalati i blog seguiti, con ovviamente il tuo.. e non posso che concordare in pieno, a parte la cifra stilistica sempre elevata, riesci a sollecitare corde emotive incredibili, sottolineare ed esaltare vite dismesse con immagini efficaci e potenti e coinvolgenti.. grazie sempre!

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