Alle scuole medie avevo un compagno di classe che si
chiamava Orvieto, come la città. È passato talmente tanto tempo che ricordo solo il cognome e il cespuglio nero e crespo dei capelli, spiccava nella fila
dei banchi alla mia sinistra, verso i finestroni da cui si scorgeva il cubo di
cemento della palestra e più dietro l'arco dell'Adamello dalle cime innevate fino a
tarda primavera.
Il suo anonimato si rifletteva negli studi, in cui non
brillava di certo, ma nemmeno collezionava note sul registro come me. Una via
di mezzo, una media leggermente al ribasso, con tutte le premesse per diventare un uomo altrettanto medio,
abbozzi di vita in cui la cornice si ingoia piano piano il ritratto. O
perlomeno così appariva, e questa è una storia che mi ha insegnato a diffidare
delle apparenze.
In ogni caso, quella brava era l'Acquistapace.
Piccolina, occhi azzurri, capelli lunghi e lisci e biondi. Talmente bella che
l'avrei posata nel muschio del presepe al posto della Madonna. Di lei
naturalmente ricordo tutto, tra cui il nome, Simona, e l'odore di marzapane che emanava
quando si alzava per andare alla cattedra a ritirare il suo tema, dopo che la
professoressa Cozzini ne aveva letto uno stralcio.
Trascorsi pochi giorni dal compito in classe di
italiano, era una prassi a cui avevamo preso l'abitudine: sia la lettura di
qualche passaggio dal tema con il voto più alto, sia che quel tema appartenesse
all'Acquistapace. Fu dunque grande lo stupore, una mattina in cui il sole
tardava a manifestarsi e l'Adamello era più innevato del solito, nel non
sentire leggere il solito tema dell'Acquistapace, ma per intero quello di
Orvieto. Titolo: Parla di tuo padre.
A un certo punto la Cozzini si commosse pure un po'.
Fu quando, con parole semplici e sentite, Orvieto descriveva il ritorno dal
Belgio del padre, dopo anni in miniera. La gratitudine per quest'uomo che
sentiva tossire nel letto, la silicosi come forma concreta dell'affetto di un
padre per il figlio, che lo ricambiava con l'uguale concretezza
dell'inchiostro.
Non sto dicendo che fosse un capolavoro, ma per la
prima volta intuivo la differenza tra sentimento e sentimentalismo. Se i miei
temi erano pieni di sarcasmo per sfuggire la trappola del glucosio in forma
verbale – avevo una fama da bullo da mantenere –, non la grande letteratura ma
il tema di Orvieto mi mostrava ora il mondo da una prospettiva diversa: essere
porosi, assorbire, non avere fretta di restituire l'esperienza. Il sentimento
somiglia piuttosto a un alambicco, che dalle cose distilla lentamente una
goccia preziosa, possiamo anche chiamarla lacrima.
Ecco, quella era una possibilità che non avevo
considerato, come nello stesso periodo il triangolo cantato da Renato Zero. Per me scrivere era invece una partita a tennis, la pallina andava
ributtata subito dall'altra parte, e l'eventuale bellezza era costituita dalla
veronica di Panatta, il gesto plastico e virtuoso che strappa l'applauso al
pubblico del Foro italico.
Una contrapposizione che vedo riproporsi anche adesso:
chi si esalta per lo stile, gli sperimentalisti, i gaddiani, chi per le belle
storie che toccano il cuore. Quella di Orvieto non finisce in quell'inverno lontano, gli anni Settanta che sfumano e cedono il loro piombo ai sabati sera infebbrati, ero
riuscito a vedere la pellicola con John Travolta anche se non avevo ancora
compiuto i quattordici anni richiesti. Devono passare altri tre decenni.
Posso solo immaginarlo quando si presenta di fronte
all'armeria gestita dai genitori dell'Acquistapace, ormai è un uomo di mezza
età. È lei ad avermelo raccontato, dopo lo stesso periodo di tempo in cui
neppure noi ci siamo visti, sono state di nuovo le parole scritte a farci
ritrovare, questa volta da me. Nel salutarci con un bacino sulla guancia mi
sono accorto che odorava sempre di marzapane.
Orvieto prima si guarda in giro, legge bene l’insegna,
esita. Poi entra nel negozio, continua l'Acquistapace, e posa un fucile sul
bancone. È avvolto nella carta marroncina come fanno nei film americani con la
bottiglia di whisky.
– Posso lasciarlo qui? – chiede Orvieto alla madre
dell'Acquistapace.
– Mi dispiace, non trattiamo armi usate – risponde lei.
Poi però lo scarta, soppesa il calcio in legno di ontano controllando che
non ci siano graffi, scorre le dita sul cane, verifica che la sicura sia
inserita e preme leggermente il grilletto: – Comunque sembra in buono stato, può
farci ancora qualche centinaio di euro.
– Mi scusi, c'è un equivoco. Non sono qui per i soldi:
mi basta liberarmene, non voglio più vedere questo fucile!
– Non capisco...
– Ero compagno di scuola di sua figlia. Me la saluti,
a proposito, quando la sente. Lo consideri un regalo.
Tocca ora fare una pausa e ricordarsi del tema delle
medie. Il padre che tossisce, la silicosi, fatica e dignità nel campare una
famiglia, la propria famiglia. Amore, diciamolo pure senza girarci attorno. Show
don't tell insegnano nei corsi di scrittura. E noi invece lo diciamo, non
vogliamo mica essere i primi della classe, dei sotuttoio come l'Acquistapace.
Piuttosto degli Orvieto, persone che si barcamenano tra concetti spesso troppo
difficili per loro – la crisi climatica, il PNNR, la geopolitica – ma almeno
una cosa l'hanno imparata, anzi lui la possedeva al massimo grado e senza
bisogno di studio. I sentimenti.
– Con questo fucile – conclude Orvieto –, mio padre la
settimana scorsa si è sparato.
questa è una delle storture inspiegabili del web, che un racconto così limpido e sommessamente perfetto non riceva commenti e forse nemmeno letture, sebbene sia presente nella utile lista di postodibloggo; quindi non per scarsa visibilità ma per trascuratezza dei lettori!
RispondiEliminadifficile raccontare i sentimenti senza cadere nel melenso, ma tu ci sei riuscito. Come? Attraverso una scrittura pacata, impreziosita qua e là da alcune chicche (l'arco orobico per localizzare la vicenda, l'odore di marzapane per caratterizzare la bambina/donna, la concretezza dell'inchiostro per dirci il modo di restituire riconoscenza di Orvieto al padre). Si percepisce la commozione contenuta del narratore che dà colore e calore alle parole, e si apprezza il buon amalgama degli ingredienti usati: l'amarcord, la bella "mediocrità" del protagonista, le riflessioni dell'io narrante.
complimenti
massimolegnani
Grazie Massimo! Del tuo generoso giudizio mi gratifica (emozionandomi, già che siamo in tema) più l'avverbio sommessamente che l'aggettivo perfetto. Forse perché la perfezione è una qualità da Acquistapace, mentre sommesso è l'infinito esercito degli Orvieto che ogni tanto, ma non troppo spesso, imbroccano il tema. E a giudicare dalle tue parole, mi piace pensare che questa volta il voto possa essere esibito con orgoglio ai genitori, senza contraffarne la firma per evitare castighi. (PS - ti confesso di non sapere cosa sia questo "postodibloggo", spero una cosa bella. Come Groucho Marx tendo a diffidare di un contenitore dove viene esibito un blog come il mio...😉)
Elimina(eheh, grande Groucho, ma ti garantisco che da Franco (che qui sotto mi risparmia lo spiegone) ci stai con merito)
Eliminaml
Arrivo solo dopo l'ottimo Massimo, felice che ti abbia scovato grazie al blogroll del mio Postodibloggo, dove vengono segnalati i blog seguiti, con ovviamente il tuo.. e non posso che concordare in pieno, a parte la cifra stilistica sempre elevata, riesci a sollecitare corde emotive incredibili, sottolineare ed esaltare vite dismesse con immagini efficaci e potenti e coinvolgenti.. grazie sempre!
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