sabato 30 dicembre 2023

Estoy mal!

Mi sembra che un tratto comune a definire un concetto vago e molteplice come Occidente sia l'indicibilità del dolore. Quello vero intendo, non il disappunto che al contrario si è accresciuto, e produce querimonia. Ma non è sempre stato così. Non ho elementi per giudicare se anche la percezione del dolore sia cambiata – è possibile, lo potrebbe forse dire un sociologo o uno psicologo sociale –, fatto sta che i segni del dolore si sono spostati dalla parola ai gesti (gli adolescenti che si tagliano le braccia, ad esempio) oppure ai sintomi fisici, le somatizzazioni.

Un confronto tra il consumo degli psicofarmaci, ma anche di alcol e di droghe, con un passato non necessariamente remoto ci vedrebbe di certo vincenti, per quanto sia un podio a cui avremmo volentieri rinunciato. Eppure non abbiamo più lacrimevoli pellicole come L'ultima neve di primavera, con cui al cinemino dell'oratorio i preti insinuavano il loro memento mori, e noi cuccioli degli anni Settanta tornavamo a casa a farci consolare da una fetta di pane burro e zucchero, bastava poco per riacquistare fiducia nelle magnifiche e progressive sorti dell'infanzia. Oppure le canzoni di montagna che erano una tassonomia delle peggiori sventure (la mama l'è malada, el pà, poro pà, l'è morto, stava a cercar la capreta che l'è cascada in un buron…), mentre nei testi attuali il dolore prende forme ellittiche, più pudiche e sommesse.

Naturalmente, per ogni regola sono presenti delle eccezioni. Ricordo una canzone di Adanowsky, figlio di Alejandro Jodorowsky, di alcuni anni fa, in cui per tutta la durata non faceva che ripetere estoy mal, infinitamente mal, y porque?, es un mistero fatalIn quel riferimento al mistero (fatale) della sofferenza c’è forse una traccia dell’omissione attuale del dolore dal discorso pubblico. Il mio sospetto è che a essere venuto meno non sia tanto il dolore in sé, ma il complemento di causa: io sto male, gridavano con unica voce gli operai di Mirafiori mentre io frignavo a cinema, perché Agnelli mi sfrutta; io sto male perché Stefania Sandrelli è andata a letto con il mio amico Luigi Tenco, l'episodio viene raccontato nella biografia di Gino Paoli; io sto male perché mi è caduta una tegola in testa; io sto male a causa di questo o di quest’altro.

Ora invece sto male e basta. Perché? Boh, es un mistero fatal. Cosa che mi fa stare ancora più male, ma se lo dico rischio di fare la figura del pirla. Così lo ometto, lo alludo, posto una sciocchezza a caso su Facebook, i cui like dovrebbero rallegrarmi. Cerco insomma di simbolizzare il malessere, non il dolore che non conosco se non nei casi della perdita di un famigliare, la cui condivisione attraverso i social produce una solidarietà anch'essa solo simbolizzata (ma il simbolo di un abbraccio non è un abbraccio di carne e giacconi imbottiti), espressa in minuti e non nei tempi lunghi e umani del lutto. Perciò cedo infine la parola al corpo.

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