domenica 31 dicembre 2023

Mi fido o non mi fido...?

Facendo zapping con il telecomando sono approdato a un triste siparietto televisivo, e come sanno gli autori dei programmi il peggio ha un potere calamitante sullo sguardo. Era presente Piergiorgio Odifreddi, al solito sornione ma lievemente sotto tono, forse perché arreso all'impossibilità di un vero dialogo con la controparte, che era composta da una  bizzarra compagine di terrapiattisti e complottisti vari, in cui non poteva mancare Red Ronnie. Credo sia inutile fare il riassunto di ciò che è stato detto, la disparità degli interlocutori – volutamente selezionati per generare l'effetto "ma senti questi..." – basta e avanza. Sarebbe come fare la telecronaca di una partita di calcio tra la nazionale brasiliana e il Cantù.

C'è però un aspetto che trovo interessante e non conoscevo. Anche in matematica, materia astratta per definizione e dunque alla portata di un pensiero attrezzato allo scopo, non ogni formula è oggetto di conoscenza diretta. Mettiamo il teorema di Fermat. Odifreddi spiega che tutti i matematici lo conoscono, ma non tutti i matematici – solo una piccola parte in realtà – saprebbero dimostrarlo. Gli altri si fidano, delegano il loro sapere.

Questo elemento di delega della conoscenza non è un tratto della modernità, ma del processo di civilizzazione. Quando, ad esempio, nel secondo secolo a C. un mercante di olio percorreva la via Salaria e sul cippo a lato leggeva la distanza che lo separava da Roma, si fidava di quel dato espresso in milia passuum. Già allora sarebbe implosa l'organizzazione sociale repubblicana dubitando dell'informazione incisa sulla pietra miliare.

Eppure, continua Odifreddi, noi sappiamo benissimo che i governi non ci dicono sempre la verità, o perlomeno tutta la verità, nient'altro che la verità: molto viene omesso e qualcosa perfino sviato, come emerge dal caso WikiLeaks. Magari la distanza tra Roma e Ascoli sarà pure giusta, ma ogni sistema umano, come quelli informatici, contiene un bug, il più delle volte l'errore è frutto di semplice accidente.

Che fare dunque: buttare via tutto ciò che non è verificabile di persona, bambino e acqua sporca, o considerare lo scarto prospettico come una condizione necessaria, necessaria ma non sufficiente alla vita con altri?

Prendiamo il caso dei vaccini che ci ha diviso negli ultimi anni. Pfizer è un'azienda in cui lavorano fianco fianco centinaia di ricercatori, persone laureate, competenti. Al termine dei loro studi hanno sottoposto i risultati alle agenzie regolatorie del farmaco, anch'esse composte da donne e uomini con specifiche e dimostrate conoscenze nel settore. Immaginare un tacito e omertoso accordo tra di loro, in pratica una congiura, è semplicemente folle, ma la trasparenza di questo metodo di lavoro non garantisce al 100% sulla bontà del risultato, specie riguardo gli effetti a lungo termine dei vaccini. Tocca di nuovo fidarsi, delegare.

Un dubbio che ha indotto molti a sottrarre la spalla all'iniezione, dire a me non mi freghi mica, prima mostrare tappeto poi soldi. È la solita storia del dito di San Tommaso da infilare nella piaga, diventato il naso per ragioni fonetiche. Ok, possiamo capirli, non li condanniamo. In fondo, ci ricorda Popper, la scienza è tale perché i suoi enunciati devono essere falsificabili, e la verità di oggi domani potrebbe convertirsi in errore. Ma se tutti diffidassero non torneremmo a una condizione premoderna, ma precivile. In pratica, quando Uruk e Ur non erano ancora state edificate, e piccole tribù di Homo Sapiens Sapiens vagavano spronando un neghittoso gregge di pecore.

No, nemmeno la Fender Stratocaster di Jimi Hendrix era stata ancora inventata, mi dispiace caro Red Ronnie. Forse, nelle tue sedute di negromanzia, potresti convincerlo a suonare una foglia d'ulivo.

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