sabato 28 ottobre 2023

La morte e le parole, cronistoria di un pensiero infame

 

Quando, nel giugno del 2018, l'allora Ministro degli Interni Matteo Salvini negò alla nave Aquarius il permesso di sbarcare il suo affollato carico di migranti – orribile formula mercantile per indicare donne, uomini e bambini in condizioni di salute spesso precarie – allo scrittore Edoardo Albinati sfuggì un commento poco felice:

"Sapete" disse, "sono arrivato a desiderare che morisse qualcuno, su quella nave. Ho desiderato che morisse un bambino sull’Aquarius."

Ho una considerazione e un rispetto assoluti per Albinati, e mi turbò molto la frase. Qualche mese dopo ci ritornò con un pamphlet; non credo lo fece per giustificarsi e piuttosto per indagare il luogo psichico da cui erano scaturite le sue parole, in uno scavo genealogico che egli definì con l'aggettivo infame: Cronistoria di un pensiero infame, Baldini + Castoldi, 2018.

Ripensavo all'episodio leggendo uno di quei fatti di cronaca riportati di sfuggita dai giornali, ma che per la loro natura quasi di splatter – potrebbe trovarsi in una pellicola di Guy Ritchie o di Tarantino – ottengono un qualche risalto dal web. Roma. Via Frattina. Intorno a mezzogiorno, dal terzo piano di un bel palazzo signorile, precipita un cucciolo di Rottweiler, colpendo una donna incinta che stava passeggiando con il marito. La foto a corredo ritrae il cadavere dell'animale ricoperto da un velo di carta dorata, simile all'involucro delle uova di Pasqua. La donna, di ventotto anni, si trova ora in ospedale a rischio di vita.

Il pensiero infame sarebbe dunque questo: quattrocento bambini morti al giorno nella sola Striscia di Gaza, una guerra in Ucraina di cui nessuno parla quasi più; senza mettere in conto il variegato carico di dolore ordinario, il triage al Pronto soccorso, la donna in coma e con lei il feto pulsante di vita potenziale. Ebbene, in tutto ciò la mia commozione a chi è andata? Domanda retorica: al cane, naturalmente.

Roland Barthes direbbe che si tratta del punctum, da intendersi come il dettaglio in cui un'immagine ci rivela il suo significato più autentico; per un altro osservatore sarebbe probabilmente diverso. Ma potremmo anche vederlo (non sto cercando nemmeno io di giustificarmi) come un tratto narrativo nel funzionamento della mia mente che prende il nome di sineddoche, dove la parte è in luogo del tutto.

La narrazione, focalizzata su quella parte, consisterà allora nella vitalità evocata dal giovane animale; pare stesse inseguendo un gatto, l'antico gioco oppositivo tra cani e gatti; il felino arruffa il pelo, poi sfugge riparando sui tetti per il tramite della finestra aperta, e il cane ne replica il balzo finendo però di sotto. Un tonfo, come quello di chi ha deciso di farsi angelo con un ultimo volo verso terra, un flebile guaito quasi di sorpresa, mentre il marito della donna chiama AIUTO! Siamo in grado di visualizzare la scena, sembra animarsi grazie alla penna di un bravo scrittore.

Non sono certo che la stessa emozione valga anche per le altre persone, ma è verosimile: siamo una specie che per risuonare con la vita – sia nella gioia sia nel dolore, secondo la formula pronunciata dal parroco durante i matrimoni – ha bisogno di una qualche forma di drammaturgia. Quattrocento bambini sono un dato statistico, un cucciolo di animale è invece un personaggio all'interno di una storia. E ciò mi tocca dove sono più vulnerabile.

Nessun commento:

Posta un commento