La sostituzione etnica di cui ha parlato il Ministro
Lollobrigida è un concetto del tutto legittimo, perfino elegante nel suo aplomb
tra il professorale e il paraculo (le oscene teorie della razza in ogni caso
non c'entrano nulla), e semmai possiede l’unico limite di non essere abbastanza netto: siamo una candela quasi completamente liquefatta, facciamocene
una ragione.
Il punto divisivo è il giudizio morale che soggiace
all'affermazione – a destra totalmente negativo, a sinistra si nicchia negando
l'evidenza – che in sé rappresenta solo una fotografia sfocata ma non meno
veritiera del presente.
Infatti anch'io, che di destra certamente non sono,
non ho difficoltà a riconoscermi in quelle poche parole: sostituzione etnica, a
cui si accompagna il fenomeno contiguo e sempre esistito dell’integrazione
etnica; ma percentualmente è meno incisivo: il divario nella crescita
demografica, da associare alla scarsa e reciproca propensione alla mescolanza
di culture obiettivamente distanti, ne limitano l'impatto.
Ciò che mi distingue, e pure di molto, da
Lollobrigida, è l'assenza di nostalgie patriottiche: ah le belle mascelle
emiliane e le gambe tornite delle donne di pianura, gli affilati nasi toscani,
lo sguardo schivo dei genovesi… Dunque non ho timori di sorta, me la auguro
addirittura, faccio il tifo per la sostituzione etnica.
In ciò mi sorregge un vecchio articolo di Pasolini,
non ricordo l'esatto anno di pubblicazione ma dovrebbe essere stato scritto a
cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, su quel Corriere della Sera a cui
adesso sono subentrati i corsivi di Gramellini. Un'altra sostituzione su cui
riflettere…
Pasolini aveva parole di fastidio, di più, disgusto, per la gioventù prevalente del suo tempo, divisa tra
"capelloni" (i giovani appartenenti al movimento beat) e piccolo
borghesi in odore di neofascismo; quel fascismo, per l'appunto nuovo,
costituito dalla società dei consumi.
Quindi fu sempre Pasolini a parlare di un Alì dagli
occhi azzurri. In una bellissima orazione civile vaticinava l'avvento, quasi messianico, di un giovane uomo proveniente da una delle infinite
periferie del mondo, a salvare l'Occidente dalla sua inarrestabile decadenza.
Un Cristo laico che si manifesta nell’umile e nel remoto, i gommoni dei
migranti come il somaro su cui Gesù entra a Gerusalemme.
Ma cos'è quest'ultima immagine se non il correlativo
poetico della sostituzione etnica di cui parla Lollobrigida. Certo, i giovani
italiani ora non sono più capelloni, per quanto il fascismo sia un ever green
nel guardaroba patrio. D'altronde i loro padri e madri, noi, insomma, hanno proseguito e
raffinato quella sottocultura dell'uomo medio (uno uguale a uno, la Lega ce
l'ha duro, aiutiamoli a casa loro...) stigmatizzata dal poeta nel
cortometraggio La ricotta.
"Lei è un uomo medio" fa dire a Orson Wells,
suo sostituto simbolico nella pellicola, rivolto a un goffo giornalista giunto
sul set per intervistarlo. "Sa cos'è un uomo medio?" E vista
l'esitazione dell'altro, offre una risposta che è una lama che ancora pende
sulle nostre teste: "Un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente,
conformista, razzista, schiavista, qualunquista. Lei non esiste…"
Ma se nemmeno noi esistiamo se non come simulacri su
qualche social network, se i nostri figli possiedono una competenza linguistica
più che dimezzata negli ultimi anni, se infine è vero che “i confini del mio
linguaggio sono in confini del mio mondo”, come suggeriva Wittgenstein, perché
paventare e non augurarsi la sostituzione etnica?
Aggiunge Umberto Galimberti che un giovane
proveniente, mettiamo, dal Mali, per raggiunge le coste italiane deve compiere
una vera e propria odissea: attraversamento di deserti, carceri libiche, denaro
per il viaggio da procurarsi in forme avventurose, sfruttamento, fame, sete,
imbarcazioni stipate oltre la soglia di galleggiamento e infinite altre
peripezie. Da ciò ricava che deve possedere non solo un capitale di desiderio
superiore al nostro, ma perfino biologico.
Gli fanno da sponda, sul piano scientifico, inquietanti studi
sulla fertilità, nei quali viene dimostrato che gli spermatozoi dei migranti
sono in rapporto di cento a uno rispetto a quelli che sonnecchiano nei
tuboli semiferi occidentali. Ricordiamocelo. Quando si dice non abbiamo più i
coglioni non stiamo utilizzando una metafora.
Ciò che dobbiamo temere non è dunque l'avvento di quei
barbari che soli possono vivificare una società esausta, ma una sostituzione
assai più insidiosa e non meno improbabile: la sostituzione tecnologica, il
mondo nuovo dischiuso dall'intelligenza artificiale che potrebbe fare piazza
pulita dell'umano.
Non che questa sia un'ipotesi peggiore di altre per
l'ambiente, per i gufi reali, i delfini, la foresta amazzonica e il giaggiolo
bianco, meglio noto come giglio fiorentino; in fondo, un coacervo di
connessioni in silicio difficilmente potrebbe fare di peggio al circostante. Ma
come Lollobrigida qui mostro anch'io dei limiti culturali - che posso farci,
all'imperfezione umana ho finito con l'affezionarmi, sono un giudice coinvolto
da conflitto di interesse.
Dunque meglio, meglio per me intendo, una giovane
donna senegalese che cammina con un cesto colmo di abiti appena lavati al
fiume: la schiena ritta e il culo a sbalzo, i colori sgargianti delle vesti, le
pupille nere fisse a un poi in rapporto circolare col prima... Sì meglio lei
alle lucine rosse verdi di un elaboratore di dati quantizzati.
Per il resto fatevi avanti, sostituitemi pure con
pezzi di ricambio più efficienti.
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