Ieri ho scritto un intervento più articolato, sempre su Facebook. Partendo dall'episodio della maestra che imponeva la preghiera a scuola, provavo a ragionare sul complesso rapporto tra interpretazione ed espressione, da cui
l'insegnamento quale versante pubblico e civile di tale nesso. Bilancio: 11
like, una squadretta di calcio senza riserve.
Non mi sto lamentando, attenzione! Va benissimo così. Ma immagino che sia
un’esperienza diffusa sui social: se scriviamo da core a core, come nella celebre canzone, o ancora meglio da pancia a pancia
otteniamo consenso, partecipazione manifesta. L’unità di misura è ovviamente
costituita dagli emoticon di gradimento. Il cui paniere rimane semivuoto se,
invece, la testa cerca il dialogo con altre teste.
Quando ci stupiamo per il successo dei partiti politici che chiamiamo populisti
(ma chi li voterà ci chiediamo? Non di certo noi che ascoltiamo Radio3 e
leggiamo Bolano) dovremmo provare a risponderci a partire dalla nostra
esperienza, il nostro modo di entrare in una semplice relazione all’interno di
una comunità virtuale. Dove pancia si sposa con cuore ed entrambi fanno piazza pulita di testa. Risultato finale 101 a 11.
100 è sempre stato un numero speciale, di discrimine e status. Quando superi 100 ottieni
il bonus, e come a flipper si accendono le lucette, a intermittenza, e vinci
una nuova pallina. È
difficile interrompere il gioco quando tutto fila liscio, basta non dimenarsi
troppo (scrivere troppo, approfondire troppo, l’imperativo è rimanere in
superficie e ammiccare o commuovere il lettore) per evitare il tilt.
Non fingiamo di non badare alla ricezione di un testo:
chi scrive per sé tiene un diario privato, caro diario oggi è successo questo o quest'altro, non spiattella su un social la prima rogna che
gli capita, come ho fatto io con il mio occhio malandato.
In altre parole, Donald Trump, Berlusconi, Grillo, Orbán, Bolsonaro, Meloni...
sono già tutti dentro le nostre dita quando componiamo uno status su Facebook,
scoreggiamo un tweet oppure piazziamo (la stessa radice di piazzista) un selfie
su Instagram.
O per dirla con la battuta di un film di Nanni
Moretti: "Te lo meriti Alberto Sordi!" Io di certo me lo sono
meritato, forse ce lo meritiamo tutti. Alberto Sordi e ogni altra forma di conformismo, tutta denti e sentimenti.
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