Non drammatizziamo, è solo una questione di corna. Così la peggiore traduzione di un titolo
cinematografico francese, Domicile conjugal, lo girò Francois
Truffaut nel 1970. Ma forse anche in uno svarione può nascondersi saggezza: prima ancora che una questione di corna era infatti un film, per il
quale i distributori italiani mettevano le mani avanti. A cinema, ci sussurravano
tra le righe, si va per mille ragioni, tra cui trascorrere serenamente un paio
di ore scarse.
Mi viene da commentare allo stesso modo, non
drammatizziamo, in fondo è solamente un film, quello controverso di Nanni
Moretti, da pochi giorni nelle sale. Ah, allora l'hai visto: com'era com'era...
Dai, aggiungi anche tu qualche palata di merda ai giudizi che ne fanno strame!
No, non l'ho visto. Per quanto tutto questo scrivere,
commentare, liquidare o cercare il pelo nell'uovo me l'hanno reso familiare. È
il brusio secondario di cui parlava George Steiner, che non di rado finisce col
sostituirsi all'opera facendo da velo a una visione disposta alla meraviglia,
come avviene nei bambini.
Eppure devo riconoscere che molti di questi giudizi
sono attendibili, analisi puntuali scritte da persone di cui ho stima e
affinità di gusto; ad esempio Stefano Cappellini con il suo lungo articolo su
Repubblica, oppure Marco Giusti. Così finisco con l'arrendermi al pregiudizio:
probabilmente hanno ragione loro, si tratterà certamente dell'ennesimo film
minore a cui il regista romano ci ha abituato negli ultimi anni.
Ora a scrivere è dunque il mio io pregiudizievole. È
deluso, di più, incavolato dal fatto che molte delle sue opere precedenti
(specie le prime) non erano solamente dei film. Al di là del valore estetico –
qualcuna era più riuscita, addirittura in stato di grazia come Caro diario
e Palombella rossa, altre meno – al di là del bello o del brutto erano
esperienze, e cioè un corpo che esperisce e quindi restituisce con vividezza di
resa l'ambiente in cui si muove, con tutti i limiti di questa focalizzazione
individuale.
Quel corpo appartiene al doppio cinematografico di
Moretti, come lui è un borghese romano acculturato che prende il nome di
Michele Apicella, lo stesso cognome della madre da nubile; ma in alcune
pellicole rinuncia anche al filtro di finzione: Ecce Bombo ci dice già a
partire dal titolo del suo secondo film, versione ironica e aggiornata dell'ecce
homo evangelico.
Un uomo spigoloso, lambiccato, che non nasconde
idiosincrasie, vezzi e fragilità. Ed è un borghese saputo come abbiamo già visto,
quindi i poveri e gli incolti restano ai margini di quel che vede e che prova.
Eppure è proprio mostrando il particolare biografico (scrivi del tuo
villaggio se vuoi essere universale, ammoniva Cechov) che Moretti è
riuscito a restituirci parti di noi. Ci interpellava nel profondo, ci metteva a
nudo di fronte a un enorme barattolo di Nutella.
Il dispositivo occulto era quello dei gruppi di
condivisione maschile da lui parodiati; una giocosa psicanalisi collettiva, che
negli anni si è però divaricata: il suo vespone blu ha preso una direzione, la
mia Seat Ibiza a GPL un'altra. Lo vedrò comunque, l'ultimo divisivo film di
Nanni Moretti; tutto preso dall'euforia censoria del branco ne ho perfino
scordato il titolo.
Forse mi piacerà pure, o così dirò, per
anticonformistica posa, aggiungendo un sacco, mi è piaciuto un sacco. Non
necessariamente un sacco vuoto, ma neppure la calza della Befana. Un film, appunto.
Solamente un film. Come Zorro, come Giovannona coscia lunga, Altrimenti
ci arrabbiamo, Francis, il mulo parlante e non uno specchio da
interrogare: "Specchio specchio delle mie brame, chi sono io e quale
insidie nasconde il reame?"
In quello specchio è rimasto infatti solo il monumento che Nanni ha edificato a Nanni, finendo, come molti di noi con l'avanzare dell'età, a credere al simulacro, quindi ammiccare a una particolare categoria di spettatore più simile al tifoso: “A’ Morè, daje, facce er numero der pasticcere trockista" gli urla questo spettatore dalla curva dove stanno assiepati gli ultras morettiani, "incazzate con le espradrillas!” E come un moderno Don Chisciotte lui si scaglia contro mulini a vento ricoperti da espadrillas, calzature non più indossate da almeno quarant'anni.
O forse no, forse mi sto pigliando una cantonata,
pisciando contro vento, accordando a un coro stonato... Speriamo. In fondo sto
parlando di qualcosa che non conosco, in quella prassi diffusa dove prima ci si
esprime e dopo, solo dopo ed eventualmente, se si ha voglia, tempo e non altro da dire all'immaginario pubblico di un social network, si imprime la conoscenza. Prendetelo dunque come esperimento di
critica cinematografica 2.0, dove chi sa possiede pari autorità discorsiva di
chi ignora.
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