martedì 25 aprile 2023

Non drammatizziamo, è solamente un film

Non drammatizziamo, è solo una questione di corna. Così la peggiore traduzione di un titolo cinematografico francese, Domicile conjugal, lo girò Francois Truffaut nel 1970. Ma forse anche in uno svarione può nascondersi saggezza: prima ancora che una questione di corna era infatti un film, per il quale i distributori italiani mettevano le mani avanti. A cinema, ci sussurravano tra le righe, si va per mille ragioni, tra cui trascorrere serenamente un paio di ore scarse.

Mi viene da commentare allo stesso modo, non drammatizziamo, in fondo è solamente un film, quello controverso di Nanni Moretti, da pochi giorni nelle sale. Ah, allora l'hai visto: com'era com'era... Dai, aggiungi anche tu qualche palata di merda ai giudizi che ne fanno strame!

No, non l'ho visto. Per quanto tutto questo scrivere, commentare, liquidare o cercare il pelo nell'uovo me l'hanno reso familiare. È il brusio secondario di cui parlava George Steiner, che non di rado finisce col sostituirsi all'opera facendo da velo a una visione disposta alla meraviglia, come avviene nei bambini.

Eppure devo riconoscere che molti di questi giudizi sono attendibili, analisi puntuali scritte da persone di cui ho stima e affinità di gusto; ad esempio Stefano Cappellini con il suo lungo articolo su Repubblica, oppure Marco Giusti. Così finisco con l'arrendermi al pregiudizio: probabilmente hanno ragione loro, si tratterà certamente dell'ennesimo film minore a cui il regista romano ci ha abituato negli ultimi anni.

Ora a scrivere è dunque il mio io pregiudizievole. È deluso, di più, incavolato dal fatto che molte delle sue opere precedenti (specie le prime) non erano solamente dei film. Al di là del valore estetico – qualcuna era più riuscita, addirittura in stato di grazia come Caro diario e Palombella rossa, altre meno – al di là del bello o del brutto erano esperienze, e cioè un corpo che esperisce e quindi restituisce con vividezza di resa l'ambiente in cui si muove, con tutti i limiti di questa focalizzazione individuale.

Quel corpo appartiene al doppio cinematografico di Moretti, come lui è un borghese romano acculturato che prende il nome di Michele Apicella, lo stesso cognome della madre da nubile; ma in alcune pellicole rinuncia anche al filtro di finzione: Ecce Bombo ci dice già a partire dal titolo del suo secondo film, versione ironica e aggiornata dell'ecce homo evangelico.

Un uomo spigoloso, lambiccato, che non nasconde idiosincrasie, vezzi e fragilità. Ed è un borghese saputo come abbiamo già visto, quindi i poveri e gli incolti restano ai margini di quel che vede e che prova. Eppure è proprio mostrando il particolare biografico (scrivi del tuo villaggio se vuoi essere universale, ammoniva Cechov) che Moretti è riuscito a restituirci parti di noi. Ci interpellava nel profondo, ci metteva a nudo di fronte a un enorme barattolo di Nutella.

Il dispositivo occulto era quello dei gruppi di condivisione maschile da lui parodiati; una giocosa psicanalisi collettiva, che negli anni si è però divaricata: il suo vespone blu ha preso una direzione, la mia Seat Ibiza a GPL un'altra. Lo vedrò comunque, l'ultimo divisivo film di Nanni Moretti; tutto preso dall'euforia censoria del branco ne ho perfino scordato il titolo.

Forse mi piacerà pure, o così dirò, per anticonformistica posa, aggiungendo un sacco, mi è piaciuto un sacco. Non necessariamente un sacco vuoto, ma neppure la calza della Befana. Un film, appunto. Solamente un film. Come Zorro, come Giovannona coscia lunga, Altrimenti ci arrabbiamo, Francis, il mulo parlante e non uno specchio da interrogare: "Specchio specchio delle mie brame, chi sono io e quale insidie nasconde il reame?"

In quello specchio è rimasto infatti solo il monumento che Nanni ha edificato a Nanni, finendo, come molti di noi con l'avanzare dell'età, a credere al simulacro, quindi ammiccare a una particolare categoria di spettatore più simile al tifoso: “A’ Morè, daje, facce er numero der pasticcere trockista" gli urla questo spettatore dalla curva dove stanno assiepati gli ultras morettiani, "incazzate con le espradrillas!” E come un moderno Don Chisciotte lui si scaglia contro mulini a vento ricoperti da espadrillas, calzature non più indossate da almeno quarant'anni.

O forse no, forse mi sto pigliando una cantonata, pisciando contro vento, accordando a un coro stonato... Speriamo. In fondo sto parlando di qualcosa che non conosco, in quella prassi diffusa dove prima ci si esprime e dopo, solo dopo ed eventualmente, se si ha voglia, tempo e non altro da dire all'immaginario pubblico di un social network, si imprime la conoscenza. Prendetelo dunque come esperimento di critica cinematografica 2.0, dove chi sa possiede pari autorità discorsiva di chi ignora.

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