Ricordo il giorno in cui nacque il figlio della coppia, adesso è adulto e
fa l’avvocato, si è sposato con un'avvocatessa bulgara che in gioventù
gareggiava nel lancio del peso, anche loro hanno un figlio. Quella sera il mio
compagno di scuola Federico si era fermato per cena, al termine giocammo con un
biliardino rudimentale, ogni gol veniva scandito dall’urlo di Sandokan; su Rai
1 era appena terminato lo sceneggiato con Kabir Bedi, Carol Andrè interpretava
la Perla di Labuan, fu il mio primo amore.
Da sotto picchiarono più volte sul soffitto, immagino con una scopa o un
bastone, per invitarci a non fare baccano, ma il giorno dopo l'omone dei
francobolli suonò alla porta e allungò a mia madre un sacchettino colmo di
confetti, confetti azzurri. “È nato Francesco”, disse solamente.
Ora siamo invece noi a udire i rumori che provengono dall'appartamento
sottostante. L’uomo si è ammalato di Parkinson e negli ultimi tempi sta su una
sedia a rotelle, per chiamare la moglie emette dei suoni lunghi e indistinti,
ricordano il belato di un agnello che si è smarrito nel bosco. Da principio mi
inquietavano un poco, ma come in tutte le cose l’abitudine ha preso il
sopravvento; non stupiscono le battute che si scambiano i medici in sala
operatoria, o la capacità dei becchini di modificare il tono di voce quando
squilla il telefono. È solo lavoro, ti dicono se gli chiedi chi è.
Ma cosa distingue il lavoro dalla vita, mi domandavo oggi tra un gemito e
l'altro? In fondo è tutto un fare, brigare, ammalarsi e scomparire. Per questo
abbiamo i medici, abbiamo i becchini, ogni stagione è ordinata da leggi
precise; anche il biliardino ha le sue regole, non si può rullare a centrocampo
o segnare con le mani.
Mi è allora venuto in mente di sostituire - certo, solo con l'immaginazione
- a ogni esperienza il sonoro di un’altra, e poi stare ad ascoltare cosa
succede dentro. Immagino così due ragazzini di nove anni, io e Federico
immagino ancora: anziché grida di giubilo per i gol messi a segno, emettono dei
lunghi sofferti belati. Busseremmo ancora al soffitto per farli tacere? E se un
malato di Parkinson invece gioisse, fischiettasse il refrain della sigla di
Sandokan composta da Guido e Maurizio De Angelis, cosa penseremmo, cosa
proveremmo?
Credo che le avanguardie russe, parlando della tecnica letteraria dello
straniamento, si riferissero a qualcosa di simile. È un fatto che quando mi
sono disposto a questo modo inusuale di sentire, l’ennesimo lamento del vicino
mi è apparso diverso, e per la prima volta ho colto lo strazio che conteneva,
l’assoluta oscenità del suo male, il mio male, il male di tutti. E ho capito
anche perché un condominio è fatto di muri, pareti, travature, controsoffitti.
Senza, la vita sarebbe insostenibile. Come a dire vera.
Siamo condizionati, anche dall'aria, ma ancor più dai convenevoli. Dove poggerei le orecchie curiose senza pareti? Dove origlierei le bestemmie del vicino? E senza pareti esisterebbe un altro condizionamento, lo stesso che ci fa uscire compìti, vestiti, in mascherina col buongiorno in canna anche per il vicino più antipatico? Potrei guardarmi un porno alle due di notte senza sentirmi in strana compagnia?
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