giovedì 29 luglio 2021

Pareti, o sulla vita vera


Nel condominio in cui sono cresciuto e ancora mi trovo in un tempo supplementare che non contempla i rigori – il palazzo è di cinque piani, senza fronzoli estetici, costruito a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta – al terzo piano vive una coppia di ottantenni; lei è piccolina e furba e lui un omone di oltre cento chili, con la passione dei francobolli. Io e mia madre abitiamo nell'appartamento di sopra.

Ricordo il giorno in cui nacque il figlio della coppia, adesso è adulto e fa l’avvocato, si è sposato con un'avvocatessa bulgara che in gioventù gareggiava nel lancio del peso, anche loro hanno un figlio. Quella sera il mio compagno di scuola Federico si era fermato per cena, al termine giocammo con un biliardino rudimentale, ogni gol veniva scandito dall’urlo di Sandokan; su Rai 1 era appena terminato lo sceneggiato con Kabir Bedi, Carol Andrè interpretava la Perla di Labuan, fu il mio primo amore.

Da sotto picchiarono più volte sul soffitto, immagino con una scopa o un bastone, per invitarci a non fare baccano, ma il giorno dopo l'omone dei francobolli suonò alla porta e allungò a mia madre un sacchettino colmo di confetti, confetti azzurri. “È nato Francesco”, disse solamente.

Ora siamo invece noi a udire i rumori che provengono dall'appartamento sottostante. L’uomo si è ammalato di Parkinson e negli ultimi tempi sta su una sedia a rotelle, per chiamare la moglie emette dei suoni lunghi e indistinti, ricordano il belato di un agnello che si è smarrito nel bosco. Da principio mi inquietavano un poco, ma come in tutte le cose l’abitudine ha preso il sopravvento; non stupiscono le battute che si scambiano i medici in sala operatoria, o la capacità dei becchini di modificare il tono di voce quando squilla il telefono. È solo lavoro, ti dicono se gli chiedi chi è.

Ma cosa distingue il lavoro dalla vita, mi domandavo oggi tra un gemito e l'altro? In fondo è tutto un fare, brigare, ammalarsi e scomparire. Per questo abbiamo i medici, abbiamo i becchini, ogni stagione è ordinata da leggi precise; anche il biliardino ha le sue regole, non si può rullare a centrocampo o segnare con le mani.

Mi è allora venuto in mente di sostituire - certo, solo con l'immaginazione - a ogni esperienza il sonoro di un’altra, e poi stare ad ascoltare cosa succede dentro. Immagino così due ragazzini di nove anni, io e Federico immagino ancora: anziché grida di giubilo per i gol messi a segno, emettono dei lunghi sofferti belati. Busseremmo ancora al soffitto per farli tacere? E se un malato di Parkinson invece gioisse, fischiettasse il refrain della sigla di Sandokan composta da Guido e Maurizio De Angelis, cosa penseremmo, cosa proveremmo?

Credo che le avanguardie russe, parlando della tecnica letteraria dello straniamento, si riferissero a qualcosa di simile. È un fatto che quando mi sono disposto a questo modo inusuale di sentire, l’ennesimo lamento del vicino mi è apparso diverso, e per la prima volta ho colto lo strazio che conteneva, l’assoluta oscenità del suo male, il mio male, il male di tutti. E ho capito anche perché un condominio è fatto di muri, pareti, travature, controsoffitti. Senza, la vita sarebbe insostenibile. Come a dire vera.

1 commento:

  1. Siamo condizionati, anche dall'aria, ma ancor più dai convenevoli. Dove poggerei le orecchie curiose senza pareti? Dove origlierei le bestemmie del vicino? E senza pareti esisterebbe un altro condizionamento, lo stesso che ci fa uscire compìti, vestiti, in mascherina col buongiorno in canna anche per il vicino più antipatico? Potrei guardarmi un porno alle due di notte senza sentirmi in strana compagnia?

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