martedì 27 luglio 2021

Due Beck's

Nei paesi vicino a Sondrio come Piateda, Caiolo, Buglio in Monte o Poggiridenti, che prima del maquillage fascista si chiamava Pendolasco, in quelle che sono ormai concrezioni di villette geometrico, uomini molto belli si accompagnavano a donne molto brutte; erano gli anni settanta, ottanta o giù di lì. A volte era il contrario, ma ciò era più diffuso in città, dove abitavo io. O perlomeno noi ci sentivamo così, cittadini, forse perché eravamo il capoluogo, ma se ci infilavi tutti a San Siro a malapena avremmo riempito una curva. Qui comunque erano gli uomini brutti a rivendicare la bellezza, e non era raro vedere certi mostriciattoli dire a una donna meravigliosa: "Monta", dopo aver spalancato dall'interno la portiera dell'Alfetta. Se invece li incrociavi a ristorante la conversazione non era tanto più ricca, e al tintinnare delle posate sul piatto in cui era rimasta solo qualche traccia di sugo, potevi, finalmente, sentire dire andiamo; solo quello: andiamo, e lei si alzava e li seguiva in silenzio. Questa diversa simmetria della bellezza, tra campagna e città, mi appariva un po' bizzarra, anche se che col tempo ho cominciato a considerarla come un segno di superiorità – loro, non nostra. Gente che non bada troppo all'involucro, e quando lo fa cerca una concretezza prospettica che si traduca in futuro, figli, famiglia; come mio nonno, che da un rapido sguardo poteva stimare i litri di latte da spremere a una mucca. Ma oggi sono entrato in un piccolo bar di paese e mi sono accorto che non è più così. Erano tutti belli: uomini, donne, ragazzi con il taglio di capelli dei calciatori, i tatuaggi tribali sulle braccia. Anche i cani si sono nel frattempo trasformati, non ci sono più quei cagnetti meticci color cappuccino macchiato, solo bestiole con lunghi pregiati pedigree. È la mutazione antropologica, non ti ricordi di Pasolini, gli Scritti corsari, mi dice una vocina da dentro. Ma poi scorgo un uomo veramente brutto! Non si vede bene perché ha il volto coperto dalla mascherina, è molto magro e indossa una t-shirt nera con l'immagine di Bruce Lee che fa roteare i nunchaki, un drago rosso sullo sfondo. Si intuisce che una volta anche lui non doveva essere malaccio, quel genere di maschi che sfidano gli altri a braccio di ferro, poco importa se poi perdono. Gli occhi verdi cercano nello spazio qualcosa che non sanno: un calendario con donne dal seno prosperoso ben in mostra, in testa il berretto da poliziotto, un po' di sbieco... l'amico nero simpatico superdotato del Big Jim... una pistola ad aria compressa di marca Oklahoma, in effetti ne conosce solo il nome perché i genitori non gliel'hanno mai voluta acquistare, neppure per Natale... la locandina metallica dei gelati, su cui campeggia la sagoma viola e rossa del ghiacciolo Draculino... l'odore dei Moon Boot messi ad asciugare sotto il termosifone della classe seconda F, primo piano, penultima porta, dopo avere attraversato il cortile pieno di neve... il jucke-box in cui infilare cinquanta lire, per poi ricevere il soffio delle note iniziali di Liù, Liù sul letto caldo o sul divano, ingigantita dal falso piano, io mi ricorderò di te, io mi ricorderò di te... Scorie di un passato che non ha dimenticato, almeno una promessa l'ha mantenuta, un passato che viene ora percepito come scoria, tanto più inutile quanto più gravido di parole e simboli che rimandano a sé, nient'altro della certezza di avere avuto un proprio tempo. Ma poi mi accorgo che era solo uno specchio, mi rifletteva mentre pagavo due Beck's. Una la bevo dopo, no, non la stappi. La tengo per questa sera davanti a una serie su Amazon Prime. Parla di supereroi che salvano il mondo dai cattivi e poi vanno a casa dove ascoltano le canzoni di Billy Joel, mentre una ragazza appena rimorchiata gli fa un pompino.

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