martedì 18 maggio 2021

Ti saluto filosofia


Luigi Malerba pubblicò nel 2004 una raccolta di racconti intitolata Ti saluto filosofia. All'Università io ho studiato filosofia, oggi mi interessa molto meno: preferisco le storie, le parole che fluiscono lente dentro il fiume dell'invenzione, seguendo le anse di quell'inganno programmatico chiamato letteratura, in cui al reale viene sostituito il vero.

Semplificando, letteratura e filosofia si occupano, a un tempo, del mondo come tutto e come parti, e cioè della relazione tra di esse in cui si produce il significato complessivo. Ma anche differiscono in qualcosa, e forse la differenza più significativa non consiste nella necessità, in letteratura, della mediazione di personaggi, dialoghi, descrizioni di ambienti per ottenere la relazione significativa qui accennata, a costituire infine quel tutto che prende il nome di opera.

La letteratura è piuttosto un esercizio artigianale in cui si può concepire la parte come tutto; la relazione è in questo caso interna al personaggio, tra parti distinte che prima confliggono e poi convergono dentro l'individuazione del sé, direbbe uno psicanalista junghiano. È così possibile resistere, attraverso il linguaggio narrativo, alle pretese di ogni ordine simbolico a cui il singolo si debba asservire, fosse pure un ordine tecnico e scientifico; la scienza è una particolare forma di filosofia, per inciso.

Un esempio che chiarisca il mio pensiero lo offre la polemica di questi giorni tra Rula Jebreal e Propaganda Live. Ora non è importante stabilire se l'accusa di maschilismo, mossa dalla Jebreal al programma di Diego Bianchi, sia fondata, ma che in un orizzonte filosofico e, dunque, concettuale, ogni orgogliosa rivendicazione di maschilismo viene destituita da qualsiasi appiglio razionale e a maggior ragione etico, almeno nella nostra epoca; per Paolo di Tarso essere maschilisti era premessa di salvezza, ma quella era un'altra filosofia, un altro tempo.

Il nostro tempo può essere incorniciato con la parafrasi di una battuta di Clint Eastwood, pronunciata in un film di Sergio Leone: quando l'uomo col fucile incontra la donna con il libro e la penna, l'uomo col fucile è morto. Ed è giusto così, nessun rimpianto premoderno, la filosofia si limita a fare da specchio al mutamento sopraggiunto.

Ma in letteratura si può essere nella verità – che è sempre la propria verità, la verità storico biografica del personaggio – anche mettendo in scena un mondo verbale senza quote rose, un mondo sovrastorico di intima attualità. Ad esempio uomini che fanno branco, vanno a pescare, o a caccia, come in un racconto di Hemingway. E sono contenti così. Talmente contenti di non avere donne tra i piedi, da esclamare la battuta presente in un altro film, questa volta di Monicelli: "Ragazzi, come si sta bene tra noi, tra uomini, ma perché non siamo nati tutti finocchi?!"

Dobbiamo ricavarne che Monicelli fosse maschilista, e anche Hemingway? Forse sì, forse no, o forse chi si pone la domanda non ha capito nulla dell'arte di raccontare, in cui soggetto e oggetto della narrazione si sfiorano come treni nella notte, scontrandosi solo nelle brutte storie, quelle in cui il tutto (morale, ideologico, estetico) pretende imporsi con un atto d'imperio sulla recalcitrante minuscola lucina della parte, che il lettore coglie di sfuggita dal finestrino.

Quando ciò accade e la narrazione viene costretta dentro un ordine esterno, o, meglio, estraneo alla brancolante ricerca dei personaggi, che si riflette in un viaggio speculare dell'autore per tracciati obliqui e interposti, come il dio di Eraclito che può solo accennare, mai dire compiutamente la cosa, quando ciò accade non solo si realizza della cattiva letteratura, ma anche pessima filosofia.

Per fare letteratura con qualche speranza di merito, bisognerebbe allora avere il coraggio di pronunciare lo stesso commiato di Malerba: ti saluto filosofia.


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