Luigi Malerba
pubblicò nel 2004 una raccolta di racconti intitolata Ti saluto
filosofia. All'Università io ho studiato filosofia, oggi mi interessa molto
meno: preferisco le storie, le parole che fluiscono lente dentro il fiume dell'invenzione,
seguendo le anse di quell'inganno programmatico chiamato letteratura, in cui
al reale viene sostituito il vero.
Semplificando, letteratura e
filosofia si occupano, a un tempo, del mondo come tutto e come parti, e cioè
della relazione tra di esse in cui si produce il significato complessivo. Ma
anche differiscono in qualcosa, e forse la differenza più significativa non
consiste nella necessità, in letteratura, della mediazione di personaggi,
dialoghi, descrizioni di ambienti per ottenere la relazione significativa qui
accennata, a costituire infine quel tutto che prende il nome di opera.
La letteratura è piuttosto un
esercizio artigianale in cui si può concepire la parte come tutto; la relazione
è in questo caso interna al personaggio, tra parti distinte che prima
confliggono e poi convergono dentro l'individuazione del sé, direbbe uno
psicanalista junghiano. È così possibile resistere, attraverso il linguaggio
narrativo, alle pretese di ogni ordine simbolico a cui il singolo si debba
asservire, fosse pure un ordine tecnico e scientifico; la scienza è una
particolare forma di filosofia, per inciso.
Un esempio che chiarisca il mio
pensiero lo offre la polemica di questi giorni tra Rula Jebreal e Propaganda
Live. Ora non è importante stabilire se l'accusa di maschilismo, mossa dalla
Jebreal al programma di Diego Bianchi, sia fondata, ma che in un orizzonte
filosofico e, dunque, concettuale, ogni orgogliosa rivendicazione di
maschilismo viene destituita da qualsiasi appiglio razionale e a maggior ragione
etico, almeno nella nostra epoca; per Paolo di Tarso essere maschilisti era
premessa di salvezza, ma quella era un'altra filosofia, un altro tempo.
Il nostro tempo può essere
incorniciato con la parafrasi di una battuta di Clint Eastwood, pronunciata in
un film di Sergio Leone: quando l'uomo col fucile incontra la donna con il
libro e la penna, l'uomo col fucile è morto. Ed è giusto così, nessun rimpianto
premoderno, la filosofia si limita a fare da specchio al mutamento
sopraggiunto.
Ma in letteratura si può essere nella
verità – che è sempre la propria verità, la verità storico biografica del
personaggio – anche mettendo in scena un mondo verbale senza quote rose, un
mondo sovrastorico di intima attualità. Ad esempio uomini che fanno branco,
vanno a pescare, o a caccia, come in un racconto di Hemingway. E sono contenti
così. Talmente contenti di non avere donne tra i piedi, da esclamare la battuta
presente in un altro film, questa volta di Monicelli: "Ragazzi, come si
sta bene tra noi, tra uomini, ma perché non siamo nati tutti finocchi?!"
Dobbiamo ricavarne che Monicelli
fosse maschilista, e anche Hemingway? Forse sì, forse no, o forse chi si pone
la domanda non ha capito nulla dell'arte di raccontare, in cui soggetto e oggetto della narrazione si sfiorano come treni nella notte, scontrandosi solo nelle brutte
storie, quelle in cui il tutto (morale, ideologico, estetico) pretende imporsi con un atto d'imperio sulla recalcitrante minuscola lucina della
parte, che il lettore coglie di sfuggita dal finestrino.
Quando ciò accade e la narrazione
viene costretta dentro un ordine esterno, o, meglio, estraneo alla brancolante ricerca dei personaggi, che si riflette in un viaggio speculare dell'autore per tracciati obliqui e interposti, come il
dio di Eraclito che può solo accennare, mai dire compiutamente la cosa, quando
ciò accade non solo si realizza della cattiva letteratura, ma anche pessima
filosofia.
Per fare letteratura con qualche
speranza di merito, bisognerebbe allora avere il coraggio di pronunciare lo
stesso commiato di Malerba: ti saluto filosofia.
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