Sabato ho sparato a
un gatto in un prato.
Stava già morto stecchito crepato
e così gli ho sparato
con un fucile a turaccioli.
Vai a vedere se l'hai colpito
dice la nonna, e io mi sono avviato
verso il gatto morto sparato
da un cacciatore
che io pensavo dormire sdraiato
in un prato appena falciato.
Ma il gatto morto stecchito sparato
da me e dal cacciatore, l’avrà
scambiato per un tasso,
non faceva più ron ron come i gatti
se gli grattavo la schiena e il musetto.
Era morto. Stecchito. Sforacchiato.
Lo conoscevo, si chiamava Rosso,
era vivo inseguiva le lucertole
ieri, le puntava prima.
Io l'ho puntato con il mio fucile
a turaccioli, un ciuffo di peli
rossicci proprio al centro del mirino
e bum bum ho gridato,
i turaccioli erano due.
Vai a vedere insiste la nonna,
controlla se l'hai ammazzato.
E io sono andato, ho visto, ho toccato
e ancora ho gridato (ma non bum bum)
e ho spaccato – brutto fucile! –
il mio nuovo fucile a turaccioli.
Poi ho capito: le cose per finta,
le parole anche, perfino i pensieri
a pensarli bisogna stare attenti,
che diventano veri.
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