lunedì 24 maggio 2021

Battiato, o sull'esotismo come fattore artistico


Dopo quanti giorni un morto è davvero morto? Di Socrate si parlava ancora al presente a centinaia di anni dalla morte; con Napoleone si è scesi a qualche decennio; Battiato, e le polemiche innescate con lui ancora in vita da Michela Murgia sulla qualità dei suoi testi (ma Tommaso Labranca era arrivato prima, vent'anni fa includeva l'artista catanese nella sua arguta fenomenologia del cialtronesco), Battiato è già stato rimpiazzato sui social da più nuove e ghiotte polemiche su cui azzuffarsi, ad esempio la vittoria dei Maneskin all'Eurovision. E così dopo nemmeno una settimana Battiato è morto definitivamente, riposi in pace o si reincarni, come gli è forse più congeniale.

A noi il compito di provare ad articolare un ragionamento equilibrato sul suo lascito corposo. Sulla musica credo non ci siano dubbi: era quasi sempre ad altissimi livelli, con alcuni capolavori che resteranno. Ma io credo resteranno anche i testi, e non perché gli argomenti della Murgia, Labranca e, più di recente, Fulvio Abbate siano del tutto infondati. È vero, nelle rappresentazioni verbali di Battiato era a volte presente qualcosa di approssimativo, a compiacere un immaginario che si sovrappone, occultandolo, al miserabile dato di realtà. Come le passeggiate sulla prospettiva Nevskij, italianizzazione del russo prospekt che a regola andrebbe lasciato così com'è o tradotto con viale, come fanno gli anglosassoni dicendo Nevskij Avenue, su cui Battiato non incontra dei poveracci infreddoliti ma niente di meno che Igor Stravinskij. Urca!

Eppure sarebbe un errore, anche nel caso dei numerosi riferimenti alla spiritualità orientale, confondere questi richiami con l'imputazione d'inconsistenza teologica o peggio di kitsch, che i dizionari fanno coincidere con un'emulazione semplificata di modelli alti, del tutto priva d'ironia. Come in Indiana Jones, nelle canzoni di Battiato l'ironia invece abbonda, e la figura estetica corretta non è dunque quella di kitsch ma di esotismo, in cui l'altrove (geografico, culturale, perfino mistico) viene ricostruito all'interno di un orizzonte a un tempo finzionale e funzionale; quando la funzione è ovviamente quella di evocare, indurre stati emotivi alterati che facciano tutt'uno con la musica.

Ma esiste anche un esotismo di altissimo livello, diciamo pure artistico, affatto letterario, di cui L'isola del tesoro di Stevenson e i romanzi di Salgari sono esempio. Viene così il dubbio che anche nell'epica in genere, e, in particolare, in quella omerica e shakespeariana, si attinga a piene mani alla strategia retorica dell'esotismo, per non dire nel melodramma. Vogliamo dunque liquidare anche Omero, Shakespeare, Salgari, Stevenson, Puccini e Verdi, affermandone l'inconsistenza perché si discostano dalla realtà storica e sociale?

Ma l'esempio più vicino a Battiato mi sembra quello di Paolo Conte. Non è necessario che canti di aguaplani che sorvolano sfrenate danze tropicali, o di Africa in giardino tra l'oleandro e il baobab, quando anche Genova viene completamente trasfigurata dentro lo sguardo di un piemontese di provincia, che intimorito dal suo stesso immaginare (il sole diviene un lampo giallo al parabrise, scimmia di luce e di follia) preferisce arretrare a un'immobile campagna, e il resto è pioggia che ci bagna. Meglio mantenere il sogno esotico, sembra suggerirci Paolo Conte, che sfidare la realtà rugginosa. E così la canzone si risolve nella supplica: Genova, lasciaci ai nostri temporali, ai giorni tutti uguali.

Ciò che distingue Conte da Battiato è che quest'ultimo non arretra invece dalle sue visioni, le offre, le condivide come un eucarestia laica dentro marcette elettroniche o larghi sinfonici, a volte ci lascia perfino nel dubbio se ci creda o ci faccia, ma alla fine il suo esotismo (artificiale come tutti gli esotismi) arriva e tocca in noi corde profonde, e per una volta l'aggettivo mitico non è qui abusato. Ed è così che ci sembra di sentire lo sferragliare lento di un treno per Tozeur, e chissà dove cavolo si trova Tozeur, se esiste veramente un luogo chiamato così... Tutti dilemmi pleonastici per l'immaginazione, in cui anche noi cominciamo a vivere a un'altra velocità, mentre da una casa lontana tua madre mi vede, si ricorda di me e delle mie abitudini.

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