domenica 16 febbraio 2020

Historia est magistra vitae? Non sempre...


Si dice che conoscere la storia serva a evitare gli errori del passato. Non c'è motivo di dubitarne. Ma non bisogna prendere l’esortazione pedagogica alla lettera. Penso ad esempio all'attributo di fascista sempre più comunemente indirizzato a Matteo Salvini, oppure a Gerogia Meloni che in effetti proviene da quella sartoria ideologica, per quanto l'orbace littorio sia più volte stato lavato in candeggina. Rievocare la funesta pagina storica del ventennio, in chi ne richiama di continuo la memoria come insulto, dovrebbe in ogni caso servire a esorcizzare le derive del presente.
Eppure se guardiamo alle differenze oltre che alle analogie, ci accorgiamo che quando Mussolini, ma anche Hitler, salirono al potere trascinati da un diffuso ed eccitato consenso (nella marcia su Roma non ci furono elezioni, ma nel '24 Mussolini raccolse il 64,9% dei voti, e Hitler il 43,9% nel '33), i due autocrati più che incarnare un sentimento genuinamente popolare lo plasmarono a propria immagine e somiglianza, informando l’immaginario delle rispettive nazioni a partire da un generico malcontento. 
E’ così anche adesso?
Proviamo a collaudarne l'ipotesi a partire dallo stesso Salvini. Sì, proprio quel Salvini che citofona agli immigrati dandogli degli spacciatori e accosta il rosario alle labbra a ogni pubblica occasione: più che fascista a me sembra un bulletto da bar tabacchi di periferia, con flipper residuato e bigliardo e il cicchetto di JB che ancora viene chiamato uischettino. Davvero qualcuno crede che una figura più pittoresca che truce possa indurre gli effetti mitopoietici di dittatori dalla robusta mascella, inducendo pigri geometri del catasto a lanciarsi nel cerchio di fuoco?
Un simile ragionamento possiamo replicare con Giorgia Meloni, che promuove con passione una retorica famigliare da manifesto Acli degli anni cinquanta, ma ha un figlio e convive non sposata o, come si diceva con biasimo in quello stesso periodo e ambiente clericale, more uxorio, con un compagnato oscurato dalla sua ombra gagliarda, facendo dunque lui quel passo indietro che Amadeus suggerisce alle donne tutte.
Contraddizioni?
Sì e no. Infatti se pure entrambi assumano posizioni politiche che vagamente (e sottolineo l’avverbio vagamente) ricordano l’orgoglio nazionalista e le chiusure xenofobe del fascismo, quello vero, oltre ai valori della tradizione più oscuramente cattolica o meglio codina, ho l’impressione che non lo siano realmente, fascisti né baciapile, ma sia appunto la postura strategica di chi apra le braccia e accolga il rigurgito neofascista e bigotto che negli ultimi anni è maturato in una componente significativa, forse perfino maggioritaria del popolo italiano.
L’esperienza suggerisce così che i due termini  leader politico e popolo  si siano nel frattempo scambiati di posto. Prima viene il popolo, e come suo confuso riflesso il politico. O detta in forma metaforica: il politico, da burattinaio, è nel frattempo divenuto mimo, foto di classe con corna al più secchione, quando non caricatura di quel che viene chiamato con orgoglio il basso, la gggente. E Movimento 5 Stelle e Sardine vanno nella stessa direzione emulativa, anche se con diverso segno politico. Gramsci direbbe che manca la mediazione intellettuale.
L'analogia con il passato ci porta allora fuori pista. Qui più che libri di storia, servono buoni specchi.

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