mercoledì 3 aprile 2019

Gnarly

Cosa hanno in comune un barbuto filosofo greco e un surfista californiano con la zazzera?
Molto, direi, se è vero quel che pensava Wittgenstein sul linguaggio, a coincidere per lui con il perimetro del mondo, un mondo sempre e solo in nome proprio ("the borders of my language are the borders of my world").
Ho scoperto la strana coincidenza ieri, assieme a una parola di inconfondibile provenienza americana, di più, slang, quello della West Coast con cui pronunciare narly, anche se si scrive gnarly e significa stupore, eccitazione, fascino, mescolato a un vago ma tenace senso di paura.
A provarla è come anticipato il surfista, di fronte l'oceano Pacifico e un'onda particolarmente maestosa. Sarebbe bello montarci sopra, pensa, sarebbe cool cavalcarla in equilibrio sulla sua tavola in schiuma di poliuretano, il culo a sbalzo su cui è disegnato l'arcobaleno delle braghette Sundek.
Ma, accompagnato a questo pensiero, cresce di pari passo il timore di essere precipitati fuori, inghiottiti dalla risacca spumeggiante, magari non riemergere più...
Mentre la pelle si arriccia in piccoli pallini, viene così alla bocca uno squittio che ricorda il ruminare del chewing gum, gnarly, gnarly, gnarly, possiamo immaginarlo servito sulla lettiera acustica di una canzone dei Beach Boys.
Eppure, ben prima della band californiana, nella penisola greca, di fronte onde ugualmente minacciose, esisteva un termine che restituiva un sentimento simile. Thauma.
Per Aristotele, la filosofia occidentale nasce da quella concentrazione legnosa e austera di suono, in cui meraviglia e spavento sono inseparabili come Castore da Polluce. Nasce e cresce nel tentativo di sbarazzarsene. 
Dobbiamo allora concludere, e qualcuno lo suggerisce, che la cultura americana rappresenta il più alto inveramento della tradizione classica?
Sì e no, mi verrebbe da rispondere.
Perché se è vero che il solo possesso della parola, thauma, fa del più umile contadino greco un potenziale filosofo – l'uomo che fissa stupefatto il mistero del fulmine, per comprendere ma anche difendersi, farla franca –, nella sua tardiva torsione nominale ha una funzione puramente ludica e operativa.
What I gonna do, si chiedono infatti i moderni epigoni di Socrate. Mi butto tra le onde, rischio, oppure resto sulla spiaggia a spalmare l'abbronzante a qualche nuova pollastrella... Oh, gnarly!
La storia, insomma, si ripete, ma ogni volta con sfasature e varianti. In questo caso e come suggeriva Marx, da tragedia divenendo farsa.

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