mercoledì 13 marzo 2019

Caramelle, o sui baci come collaudo e contabilità

Da qualche tempo mi è venuto il dubbio che le donne, specie quando ancora giovani e al netto dei sentimenti (i sentimenti arrivano dopo, in genere molto dopo), concedano i loro baci per pura curiosità.
Ma per addentrarsi nella macchina femminile – un motore in sé perfetto, che meccanici barbuti hanno cercato troppe volte di aggiustare – bisogna risalire il lungo fiume delle parole, come fanno i salmoni in Alaska. E dunque: curiosità, dal latino cura, a sua volta dalla radice ku-/kav, in probabile relazione con il sanscrito kavi, il cui significato è saggezza. Interessante, no?
I baci delle donne rappresenterebbero insomma una particolare forma di saggezza, che si traduce in uno stratagemma, decisamente empirico ma nondimeno efficace, per far esperienza dell'altro.
E sono appunto quei timidi bacetti alle prime uscite; in realtà dei sofisticatissimi collaudi degustativi, come i bambini piccoli quando assaggiano i giocattoli. Se Capitan America ha un buon sapore ci sta che poi ci gioco, altrimenti mi succhio un Lego. I più maliziosi aggiungerebbero che il bacio serve a testare la convertibilità del maschio in padre, quindi in patri-monio...
Chissà, forse avviene lo stesso anche all'altro lato della mela, ma, per i cuccioli d'uomo (e non di rado per vecchi leoni con la sciatica), il più delle volte tutto si riduce a una forma elementare di contabilità. Il libro mastro viene in seguito esibito tra simili, in quei proto consigli di amministrazione che sono gli spogliatoi: quella l'ho baciata dopo il concerto di Jovanotti, quell'altra pure, è stata la volta che pioveva è l'ho accompagnata a casa con la BMW di papà; mi manca però la sua amica, tu te la sei fatta?
È la differenza che passa tra assaggiare una caramella, rigirarla in bocca piano piano, gusto di menta e rabarbaro che si diffonde nel palato, o metterla in bocca con tutta la carta colorata sopra, per passare subito a un cioccolatino. Sempre e rigorosamente incartato!

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