martedì 18 settembre 2018

La femmina non esiste, o sulla partita a calcio tra eros e civiltà


La donna non esiste. Anzi, la femmina, la femme n'existe pas, come affermava Lacan con un sorrisetto sornione, dopo essersi ravvivato la lunga zazzera bianca.
 Una provocazione tra le altre buttata lì, con distratta nonchalance, per vedere di nascosto l'effetto che fa, secondo la felice formula di una canzone di Jannacci? No, per il grande psicanalista francese la femmina non esiste veramente, esplosa nello scontro tra treni che corrono in opposte direzioni. Ma potremmo, magari con tonalità meno drammatiche, dire lo stesso degli uomini, che somigliano a un iceberg dove a emergere è solo la settima parte della massa. Quello è l'Io.
 Sotto, nell'acqua gelida, l’enorme scoglio di ghiaccio si divide in altre due parti distinte, che non sono immediatamente percepite (quindi inconsce) e spesso in conflitto tra di loro. Freud diede a tali istanze psichiche il nome di ES e Super Io, a cui Lacan aggiunse qualche nuance, ma in fondo si attenne a tale schema. Semplificando un poco, non è difficile vedere in esse la sedimentazione interna di esperienze molto comuni. Da un lato abbiamo infatti la specie e dall'altra la società, o se si preferisce e con più precisione: la civiltà.
 Ciò che reclama la specie è unicamente la replica di sé, in una riproposizione infinita dell’identico solo minimamente perfezionato a ogni giro. Siamo insomma ancora dalla parti di Darwin, con l’umanità vista come una dea bendata che si muove un po’ a tentoni. Un cammino accidentato dove non viene premiato il più giusto ma, come si dice, il più adatto, che sarà il più sano, forte, bello, almeno a quel livello lì, che possiamo immaginare come privo di volumetrie. Ed è così che la specie procede per vie cocciutamente orizzontali, del tutto disinteressata a ogni verticalità dello spirito.
 Ci penserà allora qualcun altro a introdurre variabili meno materiali, quali ad esempio il potere, la giustizia, il peccato e la virtù. Questo qualcuno si chiama appunto civiltà, e si occupa della produzione di un’immagine per tutto ciò – chi coltiva rimpianti marxisti può anche chiamarla sovrastruttura, o più burocraticamente codice assiologico. Tra le varie immagini forgiate dalla civiltà vi è naturalmente anche un prototipo del femminile; che non coincide con la donna così com'è, attenzione, ma come dovrebbe essere!
 La donna reale, la femmina in carne e ossa, è tenuta da quel momento ad adeguarsi al modello, pena la svalutazione sociale sotto forma di stigma infamante (puttana, cattiva madre, lazzarona), in seguito interiorizzato per il tramite di abili stratagemmi, tra cui quello religioso. Il senso di colpa sta in fondo tutto qui, come anche il complesso di inferiorità – ho le tette troppo piccole, ad esempio. Ma rispetto a cosa? Semplice: alla donna che dovrei essere.
 La sostanziale differenza tra uomini e donne sta nella maggiore divaricazione, per le donne, tra le richieste della civiltà e quelle che provengono dalla specie. Negli uomini vi è al contrario più allineamento, forse perché la civiltà è stata creata dagli stessi maschi, e non ostacola il piacere maschile al servizio della specie. Ma vediamo come ciò sia stato possibile.
 In Occidente l'invenzione del femminile ha seguito diverse fasi, ma l'esito più influente, e tutt'ora operante, nasce nelle corti provenzali attorno all'anno mille. Sono stati i poeti a sillabare il femminile moderno per la prima volta, quindi a precisarlo, a infiorarlo con caratteri eterei e rarefatti che scontavano un eccesso di idealizzazione, e ciò per via del fatto che quella donna il più delle volte non era accessibile; non era insomma la loro fidanzata o moglie, ma la moglie di qualcun altro. Donna angelicata, dunque, perché dalle mani che vorrebbero afferrarla vola via verso la testa, dove lievita nel sogno a occhi aperti.
Una genealogia condivisa con il sentimento amoroso, così come mostrato da Denis de Rougemont nel suo capolavoroL'amour et l'Occident. Il problema è che l'altra parte immersa, quella che fa capo alle specie, possiede idee del tutto differenti su ciò che debba essere una femmina, ed è qui che si precisa l'enigmatica sentenza di Lacan. La femmina non esiste perché, nella nostra tradizione almeno, la sua immagine pubblica è stata generata da maschi adulti e desideranti, che non hanno però tenuto in alcun conto delle esigenze concrete che fanno tana nel corpo di una donna. Tra cui la principale è riprodursi sessualmente, seguendo gli appetiti del tutto diversi della specie.
Sarà allora nel conflitto tra specie e civiltà che la donna smarrisce definitivamente la sua esistenza, già che le due voci sono difficilmente compatibili: o ascolta le sirene letterarie dei poeti provenzali, e diviene sempre più disincarnata, astratta e tanto buonina, come Lupo de Lupis, oppure condiscende i richiami del suo ventre, che la portano a celebrare la specie a danno della civiltà che ne ha prodotto l'immagine.
Nella grammatica lacaniana possiamo vedere contrapporsi queste forze attraverso due altre nozioni, quella di immaginario e di simbolico. Nella prima il femminile coincide ancora totalmente con la femmina biologica, e il desiderio non subisce il limite della legge di castrazione, che come noto è la categoria psicanalitica fondante: non cercare l'intimità con il corpo della madre, pena l'evirazione da parte del padre.
Una legge che solo in seguito, con l'accettazione e incorporazione del simbolico, ossia non solo del limite ma anche delle forme, delle strutture positive che il limite viene a prendere nell'incontro con il linguaggio, solo in seguito, dicevamo, può agire dall'interno, trasformando attraverso l’interiorità psichica la femmina in donna. Ma l'elemento femminile o, meglio ancora, sessuale, nella donna non può mai venire superato e risolto in immagine pubblica e virtuosa, pena la vanificazione della specie.
Non sarà finissimo, ma nemmeno una forzatura individuare l'ambiguità di questa condizione in una diffusa pratica erotica, in cui l'oscillazione del significare prova a coniugare gli opposti, senza mai trascenderli in dialettica. E si tratta ovviamente della fellatio. Nell'accostarsi al fallo maschile, la donna, infatti, sembra onorare l'oggetto simbolico per definizione, nel gesto genuflesso e subalterno del suddito che bacia lo scettro del sovrano. Ma invece cosa fa, non arresta le labbra alla superficie, non si ferma allo smagliante luccichio dell’oro zecchino o ai diamanti che ricoprono l'asta della Legge, ma affonda la sua bocca fino a incorporarla, a sbranarla, evirando idealmente il maschio e facendo proprio il suo potere, assieme al seme della vita che reclama tutto per sé.
Da questa immagine vietata ai minori di diciotto anni, si potrebbe provare a sviluppare ulteriormente l'intuizione di Lacan. La donna, in quel momento, esiste e non esiste allo stesso tempo, come la particella quantistica nel celebre principio di indeterminazione di Heisenberg. Nel nostro caso, attribuiremo il collasso della funzione d'onda a un osservatore esterno che coincide con l'intera storia umana, come un enorme occhio in cui oscillano le pupille di tutte le persone venute al mondo, portando la particella subatomica a dover scegliere tra eros e civiltà, tra specie e società, in un'infinita fellatio dagli esiti mai conclusi. Quindi attenzione, quando una donna si china su di voi…
Certo, ci sono state epoche, come l'Ottocento vittoriano, in cui la specie sembrava stesse per capitolare a vantaggio della civiltà, e le produzioni astratte e culturali, gli ideali di grazia, di bellezza, informavano delle loro invenzioni le smanie sommerse della vita. Ma ora le cose non stanno più a questo modo, e anche le donne, come gli uomini, come le baccanti di Euripide, si stanno liberando della gabbia simbolica della civiltà. Ed è il ritorno del rimosso o, più prosaicamente e di frequente, lo smuoversi del capriccio: una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte: ferma restando la salute, come ammoniva Nietzsche dalle pagine dello Zarathustra.
Nel dispiegarsi di un desiderio senza più il limite contenitivo di alcuna legge, le donne, le femmine, le indeterminate di genere femminile, hanno così iniziato a sbarazzarsi di quegli orpelli che erano stati cuciti loro addosso dalla civiltà, stracciando le pudiche gonnelline a riparo delle gambe oscene dei comò. Abbiamo quindi assistito a un'evirazione su larga scala, via, a morte tutto ciò che prova frapporsi tra le donne e il principio puro del piacere, e non possiamo non riconoscere che si siano riprese ciò che era loro. E’ come una partita di calcio in cui, dal 1968 in poi, la specie è in vistosa rimonta sulla civiltà, che ormai vaga in campo del tutto attonita e incapace di reagire.
E allora bye bye femmine angelicate, Laure, Beatrici, adesso le donne non ricercano ideali estetici o morali, ma estratti conto belli grassi. Oppure cartelle cliniche che certifichino una sana e robusta costituzione, per vivere in un eterno presente fatto di bellezza, forza e gioventù, da coltivare con cure estetiche e sfiancanti sedute di stepping in palestra. Ma è un minimo corredo che richiedono, anzi reclamano anche e soprattutto nei maschi, in una perfetta e realizzata democrazia del desiderio: ci volete fighe per gratificare, oltre al vostro uzzolo, la specie di una progenie degna del dott. Mengele, e noi vi vogliamo fighi. Tutto il resto non ci interessa. Facciamocene dunque una ragione, tanto già sappiamo che la femmina non esiste...

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