mercoledì 16 marzo 2011

Rosa Fumetto, o sullo strabismo estetico dell'Occidente


“Rosa Fumetto”, scrive la libera enciclopedia Wikipedia, “è una showgirl, danzatrice e attrice italiana.” E continua dicendo che “è stata un personaggio di spicco negli anni settanta degli spettacoli a contenuto erotico. In particolare, è stata una figura di pin-up e spogliarellista del Crazy Horse, storico locale parigino di cabaret.” Quindi viene aggiunta una manciata di informazioni biografiche sulla sua carriera, che non ne modificano nella sostanza il ritratto quasi sempre associato, anche nella memoria dei più, al termine erotismo. Beh, secondo me sono un cumulo di fesserie, e questa volta forse ho l'occasione di spiegarne il motivo.

L'innesco viene da due brevi messaggi che ho ricevuto nei giorni scorsi su Facebook. A inviarmeli è stata proprio lei, Rosa Fumetto. Cosa che naturalmente mi ha sorpreso molto, per quanto Rosa Fumetto fosse già presente tra le mie conoscenza virtuali su Facebook, dopo che ne avevo notato il nome nel lunghissimo elenco di contatti del mio amico scrittore Fulvio Abbate e le avevo inviato una richiesta di amicizia. Sorpreso ed emozionato. Anche perché il motivo per cui mi scrive è un ripetuto invito a ripensarci, a non cancellarmi da Facebook come ho dichiarato di voler fare, argomentando le ragioni con puntiglio anche su questo blog. Ma soprattutto mi ha colpito il tono: ellittico, estremamente letterario, consapevole e allusivo. Bello insomma. Un particolare tipo di bellezza che, sì, in questo caso potremmo definire erotica. Ma Rosa Fumetto davvero non lo è mai stata, erotica. Provo a spiegarmi.

Che Rosa Fumetto non fosse per nulla erotica me ne accorsi già intorno alla tarda adolescenza. Erano i primi anni ottanta quando, mi pare fosse su Rai2, seconda serata inoltrata, inaspettatamente venne messa in onda una trasmissione in cui Rosa Fumetto inscenava brevi spogliarelli integrali, il tutto soffuso in un’efficace cornice psichedelica ancora molto in stile anni settanta. Degli spogliarelli integrali, sulla Rai? Eppure anche se attendevo quel programma notturno – non me ne perdevo una puntata! – non lo facevo con la stessa euforia con cui sfogliavo freneticamente un giornaletto di Ilona Staller, per dire. Oppure guardavo desideroso a quei film che rappresentarono il termine inferiore dell'eterno yo-yo del cinema italiano, con le tette di Edwige Fenech che facevano capolino ovunque, in particolare sotto la doccia mentre il Pierino di turno la spiava da un qualche pertugio nascosto. Insomma, Rosa Fumetto non mi eccitava. Mi piaceva ma non mi eccitava.

Ma forse a questo punto è il caso di fare un piccolo passo indietro e provare a mettere a fuoco cosa, almeno per un maschio adulto, si intenda con il termine di eccitazione erotica. A parte l'evidente condizione fisica che viene associata, su cui non è il caso di soffermarci, l'eccitazione erotica è una dimensione cognitiva rarefatta e incerta, che possiamo ricapitolare nella nozione linguistica di eventuale. Un dettaglio, un fatto, un'atmosfera lasciano presagire che quella situazione possa eventualmente trasformarsi in altro da ciò che è; essendo però l'altro già presente nella forma di un'anticipazione simbolica. L'erotismo, insomma, nega il presente a favore del possibile. Ma soprattutto il possibile coincide con una possibilità inequivocabilmente sessuale, che ha bisogno di essere differita per poter suscitare l'eccitazione.

Naturalmente questi meccanismi, a quattordici anni, non li avevo ancora definiti concettualmente. E però già capivo che se volevo eccitarmi non dovevo seguire gli spogliarelli di Rosa Fumetto - Tinì Cansino, Annamaria Rizzoli, Carmen Russo, Nadia Cassini, queste andavano benone - ma non Rosa Fumetto. Che era realmente un'altra cosa. Ho dovuto aspettare quasi dieci anni ancora per avvicinarmi al mistero di Rosa Fumetto, un altro tempo e un altro luogo. Ora siamo a Pavia, fine anni ottanta, facoltà di filosofia. Al termine di una lezione del corso di estetica accosto il mio professore che, con i libri sottobraccio e le Clarks strascicate ai piedi, si sta avviando pigramente sotto il colonnato del chiostro cinquecentesco, la nebbia morbida che si insinua come l'acqua nel pastis:

- Scusi professore, ma c'è qualcosa che a me non torna in quello che lei ci sta insegnando...
- Dimmi ragazzo, cos'è che non ti quadra?
- Beh, vede professore, fin che lo leggo sui libri è ok, ma se poi guardo una donna capisco che non funziona così, è più complicato.
- Una donna?! Che vuoi dire, cosa c’entra una donna con la filosofia estetica... Puoi spiegarti meglio per favore.
- Una donna, sì. Ma in particolare un’attrice, una ballerina. Se la ricorda, professore, Rosa Fumetto?

A quel punto inizio a raccontargli un poco imbarazzato la mia teoria, che in fondo può essere riassunta in una sentenza epigrammatica:

il culo delle donne è platonico, mentre le tette sono omeriche
.

Vedo che il mio professore aggrotta le ciglia, si ferma e mi fa cenno di continuare. Io la prendo alla lontana e con un gesto vagamente teatrale, simile a un saluto, indico con la mano lo spazio alle mie spalle. Quindi attacco. Nel periodo storico che precede il quarto secolo avanti Cristo, grosso modo, l'uomo greco guardava a valori universali come bellezza, giustizia e verità solo nei termini di varietà espressiva, metamorfosi vitale. Una cosa, insomma, una qualsiasi cosa, era tanto più bella quanto più era in grado di manifestarsi attraverso il mutamento. E questo perché il mutamento – la possibilità di trasformarsi in qualcos'altro – è la caratteristica primaria di tutto ciò che è vivo. La bellezza, mancando altro riferimento se non quello dei sensi, coincideva dunque con la vita. Non stupisce il fatto che di quasi tutti miti sono presenti differenti versioni: perché è così che i miti ma anche gli uomini vivono, nell'infinita varianza delle forme. Tanto che anche la bellezza non poteva sottrarsi a tale destino di mobilità, di continua infedeltà a se stessa. Ma eravamo appunto ancora ai tempi del vecchio Omero.

Poi, un giorno, arrivò un tale Aristocle da Atene, più tardi chiamato Platone dal suo maestro di ginnastica per via delle spalle particolarmente ampie. Questo tale dalle spalle ampie si mise a raccontare una storiella in cui, da qualche parte, in un angolo segreto dell'universo (l'Iperuranio), erano presenti i modelli originari e perfetti di tutte le cose, che in seguito noi sperimentiamo attraverso i sensi. Gli archetipi soprasensibili, si diceva nella lingua sontuosa di quel racconto, specie di formine metafisiche da cui tutte le cose hanno avuto origine, nella deviazione rispetto alla normatività astratta del modello. Non che fossero in molti quelli che diedero credito alle sue parole – era appunto e all'inizio solo una storia, narrazione –, che potremmo paragonare, come portata concettualmente eversiva, a uno che ora andasse in giro a raccontare che Alan Sorrenti è il messia e Figli delle stelle il suo vangelo. Però, dagli e dagli, questa diversa e inaudita concezione iniziò a guadagnare credito, tanto che nei secoli successivi grazie anche alla teologia cristiana che la fece propria, si iniziò ad accostare la bellezza proprio a quei tratti di stabilità e immutabile coerenza descritti da Platone. Mentre il mondo omerico dell'infinita e vitale metamorfosi cominciò a deteriorarsi, a perdere consensi.  La mia idea è che però non si dissolse mai definitivamente: piuttosto fece tana, rimanendo come un tracciato carsico dentro il pensiero e l'estetica dell'Occidente.

Prendiamo ad esempio una donna, continuo così infervorato nel mio discorso. Prendiamo quella particolare e determinata donna reale che è Rosa Fumetto. Quando gli uomini parlano di lei la prima cosa a cui si riferiscono è il suo culo. Un culo magnifico, vero professore? Ma cos’è che ci autorizza ad affermare questa qualità, che ci appare come scontata: magnificenza ma anche perfezione, splendore, incanto, o tutte le varie iperboli della bellezza? Questo più raramente ce lo chiediamo. Beh, io credo che il motivo sia un'idea estetica vagheggiata ed elaborata nei secoli dalla nostra tradizione, nel caso specifico finendo quasi col coincidere con il dato concreto, ponendosi esso stesso come modello di riferimento di ogni successiva bellezza. E stiamo sempre parlando della bellezza di un culo, professore. Con ciò facendo nostra l'idea platonica che stabilisce, nel sopramondo degli archetipi, una sorta di archivio formale che alla voce culo ha catalogato proprio il culo di Rosa Fumetto. E mi piace immaginare l'archivista delle idee originarie che, da bravo e zelante burocrate, tutte le mattine spolvera il culo sodo e statuario di una spogliarellista, per mantenerne intatta la maestà esemplare.

Ma perché, domando ancora al titolare della cattedra di filosofia estetica di Pavia, a cui ormai mi rivolgo come a un compagno di rugby sotto la doccia, ci manca poco che non gli dia una pacca sulle spalle, perché non diciamo lo stesso delle tette di Rosa Fumetto, o di qualsiasi altro paio di tette con cui abbiamo confidenza? Io penso che non lo diciamo - che non possiamo proprio dirlo – perché quando guardiamo a un seno femminile lo facciamo con uno sguardo che è invece rimasto omerico. Come se una parte di quegli antichi uomini che si meravigliavano di tutto (e la filosofia nasce proprio dalla meraviglia, ce l'ha insegnato lei professore), si meravigliavano davanti alla saetta o al volo del falco o ai guizzi della lepre, si meravigliavano al frangersi dell'onda in tante minuscole goccioline, come se parte di questa meraviglia fosse ancora presente in noi. Al punto da farci apprezzare la mobile vitalità di tutte le cose, le differenze sensibili che in quella cornice oculare reputiamo come belle. Ragione per cui agli uomini le tette piacciono sempre, piacciono tutte, piacciono comunque. Sì, proprio come le mamme che son tutte belle, son tutte belle anche le tette del mondo. E questo perché le mamme e le tette sono omeriche, non platoniche.

Magari potremo poi fare delle preferenze, d'accordo, associando la forma di un seno a una memoria biografica, una donna che abbiamo desiderato particolarmente e che ora ci manca. Allo stesso modo per cui ci affezioniamo a nostra madre e non a quella di un altro. Ma manca una sintesi immaginale, una dialettica culturale tra la molteplicità vissuta dell’esperienza. Ossia il comune denominatore – il modello – che tragga dalla varietà sensibile l’idea platonica di un seno perfetto. Al punto che viene il sospetto che esista qualcosa come uno strabismo congenito che accompagna l'intero corso dello sguardo occidentale: come Alessandro possediamo un occhio azzurro e uno scuro, che utilizziamo alternativamente. Ed è dunque con una diversa visuale che assegniamo gli attributi estetici alle cose. Perlopiù usiamo l'occhio platonico, l'occhio dominante, che ci fa dire che una cosa è bella quanto più si avvicina al modello astratto che abbiamo interiorizzato, per stratificazioni culturali. Ma sopravvive anche un residuo ottico ereditato da Omero, che vede le bellezza nella vita, nella metamorfosi, nella variazione. Un occhio che si ridesta dal suo sonno quando guardiamo a un seno femminile, la cui perfezione sta proprio nell'infinita e morbida riluttanza a ogni gerarchia formale.

Pausa. Mi guarda. Pausa. Lo guardo. E' finita professore... Fine della doccia assieme, accidenti. Lui riprende la sua aria compunta, aggiusta il plico dei libri sottobraccio, e come se niente fosse rimette in moto le sue Clarks, con cui pattina lentamente sopra ai lastroni di pietra dal taglio irregolare. Ma prima di sparire nella nebbia pavese si gira nuovamente verso di me. E mi dice:

- Giovanotto, ma perché non ci fai la tesi su questa cosa qui?

Ecco, lo capite ora perché mi sono così sorpreso, e pure un po' commosso, quando ho trovato i messaggi di Rosa Fumetto nella mia casella di Facebook? Io mi ci stavo laureando, su Rosa Fumetto. Stavo per dibattere una tesi in cui avrei parlato lungamente del suo culo come intangibile e assoluto modello di tutta la sensibilità estetica dell'Occidentale; da Platone in poi, almeno. Ma soprattutto io avevo fatto di lei il riferimento filosofico principale della mia breve carriera di ricercatore. Rosa Fumetto che mi scrive su Facebook è come Parmenide che telefona a Severino, non so se mi spiego…

Ma purtroppo non avevo considerato che la vita è molto più omerica di quando non si creda, e così per faccende mie, esitazioni, minimi scarti del caso e degli affetti, ho finito con l'uscire dall'orbita universitaria e anche da quella sinuosa del culo di Rosa Fumetto, smarrendomi nella felice varianza dei seni che in questi decenni hanno avuto la compiacenza di accogliermi. Insomma, non mi sono più laureato. E di Rosa Fumetto stavo quasi per scordarmi.

Ma eccola nuovamente qui, poche parole messe in fila, il registro degli eventi di Facebook le data intorno alle cinque del pomeriggio, l’ora del tè. A tratti sembra che scrivendo voglia apparire intelligente, arguta, come nelle brevi apparizioni video su Teledurruti. Anche lì si vede che vuol far bella figura, mostrarsi all’altezza della geniale irriverenza di Fulvio Abbate. Poi però riprende fortunatamente il sopravvento una sorta di timidezza estroversa, che le conferisce quell’aria così visibilmente antierotica di cui dicevo, persino disarmata e infantile, candida e indifesa. Definitivamente amabile.

Ma proviamo a ricapitolare. Rosa Fumetto era clamorosamente più bella e più affascinante delle molte attici e soubrette che si contendevano la scena tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta. Eppure, io trovo, non ha mai raggiunto il successo che meritava, che in qualche modo addirittura le spettava. Io stesso se desideravo eccitarmi – e a quattordici anni lo desideravo di continuo – preferivo rivolgermi verso il contenuto di altri slip. Il culo di Rosa Fumetto era troppo serafico e manifesto, ecco. Troppo compiutamente realizzato.

Viceversa è proprio nella lieve asimmetria, nello scarto temporale, che come già abbiamo visto si insinua la movenza base del gesto erotico. Essere sempre a un passo dall’oggetto desiderato che si ritrae dentro una piega dell’offrirsi. Questo giochino ancestrale, e nonostante fosse la regina dello striptease, invece a Rosa Fumetto non è mai riuscito completamente, una carta che sguscia fuori nel momento sbagliato dal polsino dell’illusionista. Forse come effetto di una presenza – presente per intero e per davvero – che si avverte in ogni cosa che lei dice o che fa. E dunque mai dilazionata nella promessa sessuale, in una vertigine ulteriore, al punto che la perfezione formale del suo culo potremmo anche vederla come correlativo oggettivo della flagrante epifania del suo temperamento, che sembra non contemplare il sotterfugio amoroso. Come se con quel culo lì non fosse possibile mentire...

Rosa Fumetto non è erotica ma a ben vedere nemmeno pornografica. E questo, ancora, non tanto o non solo per ragioni "tecniche" – che io sappia non si è mai mostrata in sequenze dove compia azioni sessuali esplicite – ma per un aspetto che potremmo nuovamente riferire alla teoria estetica. La pornografia, come l’erotismo, ha infatti bisogno di uno scarto continuo rispetto al suo canovaccio astratto, che pure possiede come alfabeto della ripetizione compulsiva. Scarto che non può però essere temporale come nell’erotismo, dal momento che la pornografia vive della coincidenza tra gesto e intenzione, tra segno e proprio referto oggettivo, e che si traduce allora in uno scarto unicamente formale, in quel godimento della differenza che abbiamo già incontrato. La visione di una scopata diventa tanto più eccitante quanto più è verosimile, plausibile, perfino “corrotta” rispetto a un modello di rarefatta idealità. E dunque ancora una volta dominio di una sensibilità estetica di derivazione omerica, la quale trova il suo compimento nel molteplice che conferisce l’attributo di realtà. E’ vero insomma ciò che è imperfetto, vario, mobile, precario, irrisolto. O detta in una parola: deviato.

Un culo con una punta di cellulite, ma un accenno soltanto, un “attimino”, diviene così molto più pornografico e allettante dell’idea platonica e irraggiungibile di culo. E a maggior ragione se tu sei la portatrice fisica e sana di quel modello di assoluta perfezione, sarai poco credibile come femmina da portarsi a letto. Ma rimane a questo punto da chiarire cosa ci facessi io, quattordicenne arrapato e con i compiti da terminare, ancora sveglio di fronte alle esibizioni notturne di Rosa Fumetto…?

In effetti è da quando ho trovato i suoi messaggi su Facebook che me lo sto chiedendo. E alla fine sono approdato a una risposta provvisoria. Trent’anni fa io non mi trovavo davanti allo sfrigolare notturno del tubo catodico per ragioni legate al sesso, né al desiderio erotico che zampillava a getto continuo dai miei ormoni, ma perché il corpo sessuato di Rosa Fumetto diventava una specie di trampolino verso un’esperienza compiuta e domestica della forma, che in qualche modo mi faceva stare bene, mi faceva stare a posto. Sì, io ero ancora sveglio in un pigiamino Calida blu con il collo a barchetta azzurro, alla stessa maniera dei risvolti elastici dei polsini, gli occhi lucidi e spalancati, il batticuore e gli esercizi di matematica con le parentesi graffe ancora aperte, per ragioni che potremmo definire “geometriche”.

Una roba un po’ da scemi, direte voi. Ok, può essere. Quando sull’altro canale avrei potuto vedermi un video dei Duran Duran o la replica adrenalinica di una puntata di Starsky & Hutch. Eppure anche la mia minima vicenda personale ha forse un nome dentro la lunga tradizione che ci precede, e se tutto va bene ci succederà. Si chiama estetica del sublime. E ancora una volta parte dalla storiella di un uomo dalle spalle tanto larghe da caricarsi più due millenni di civiltà, dalla convinzione che bello è ciò che è stabile, certo e definito. Ma in questo caso – tip tap, tip tap – la sua intuizione ridiscende tutti i gradini della scala che porta all’Iperuranio delle idee astratte, per incarnarsi nel sottoscala dei confusi traffici quotidiani. Il sublime sta infatti sotto (sub) la porta che separa il limite (limes) dell’esperienza sensibile, e in una maniera indefinita e misteriosa consente il dilagare della bellezza anche tra noi, che siamo miseramente esclusi dal mondo intangibile delle idee. Potremmo vedere il sublime come il luogo dove finalmente stai bene dove stai. O meglio, alla maniere di Nietzsche, il luogo e il momento in cui diventi ciò che sei.

Sembra appena una sfumatura ma, a ben vedere, questa ricollocazione della metafisica platonica segna il passaggio dalla dimensione teologica a quell’artistica. Se infatti Dio, gli dei o gli archetipi per definizione si nascondono, il sublime è una categoria che appartiene all'esperienza, qualcosa a cui noi possiamo avere accesso: ma come possibilità, non certo come necessità stabilita. E cioè con il semplice gesto volontario di prestare ascolto, attenzione alle cose belle. Osservato da questo punto di vista il sublime non è nemmeno una categoria esclusiva dell’estetica occidentale, ma propria, ad esempio, anche di percorsi teorici e soprattutto pratici estranei alla nostra tradizione, come il Buddhismo zen. Non è un caso se vengono chiamate “vie”, già che quel che mirano a realizzare è una perfetta fusione dinamica tra presenza vissuta e compiutezza ideale, tra vita e forma.

Mentre a cosa portano l’erotismo e la pornografia? L’erotismo differisce sempre il presente nel desiderio di un dopo, quando la pornografia invece lo imbratta in un tutto qui che è davvero “tutto qui”. Una frenesia sessuale che non rimanda alla forma di ciò che ci è proprio ma nemmeno di quel che ci è altro, e cioè a una trascendenza incarnata dei nostri limiti. E questo non perché manchi intimamente bellezza in un fiotto di sperma che coli da due labbra socchiuse, ma perché la bellezza sta nello sguardo analogico che potrebbe collegare lo sperma all’insieme vissuto e vitale del mondo: la neve, il latte, le meduse, il dentifricio, le stelle filanti, il sapone liquido di Marsiglia, le pistole ad acqua dei bambini, il Vinavil, il gelato Carpigiani che spiove dalle macchinette, la barba lunga e morbida di Babbo Natale all'uscita della Rinascente di Milano. O anche la schiuma del motoscafo che trainava Lacan mentre faceva lo sci d’acqua, con i sui bei capelli folti e candidi al vento, il sorriso stampato di chi ha finalmente compreso cos'è la jouissance, così come nella formidabile fotografia verbale che ci ha consegnato Cesare Garboli.

La bellezza è allora forma realizzata ma anche mobilità dei collegamenti, Platone ma anche Omero: è questo che ci ricorda il culo sublime di una danzatrice del Crazy Horse, prima ancora della teoria estetica. Nell’erotismo e nella pornografia non c’è però niente di tutto questo, solo stanca ripetizione dell'identico, smottamento dell'attimo in cui la bellezza si offre, senza concedere dilazioni. Mentre in Rosa Fumetto che mi scrive come una cartolina che ci mette trent’anni ad arrivare, c’è tanta di quella bellezza da ingozzarsi. Troppa bellezza, forse, perché il piccolo mondo del cinema potesse accorgersi di lei. Ma io devo invece ringraziare anche Rosa Fumetto se sono potuto diventare ciò che sono. Grazie Rosa, grazie davvero.

9 commenti:

  1. evitare di dire troppe cose banali le farebbe tanto bene!

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  2. Ho appena finito di vedere Rosa Fumetto in TV a STRACULT.
    SONO RIMASTO MALISSIMO!!!!!
    C'erano anche Lory Del Santo e Franca Gonella ma lei era proprio messa male.
    Poverina. E' vero che ha 68 anni, ma aveva dei denti veramente spaventosi. Io credo davvero che navighi in bruttissime acque.
    Propongo una colletta su Internet per salvarla.
    scrivete qui.

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  3. Le ho appena fatto i complimenti per come ha citato i " Quanti " : ingolosito mi son letto questo altro pezzo , ruciandomi gli occhi .
    Potevo , francamente farne a meno .
    Lei ha sbagliato tutto , ha fatto una costruzione di sole parole , ha usato difettivi sillogismi , sa poco di psicoanalisi , eppoi la nanetta della Fumetto non è affatto bella , a meno che non le piacciano i bacini grandi da " fattrice " ( una cosa è la donna da sesso , una cosa è la donna da riproduzione . Lieto di spiegarle la differenza ) . Male mio caro amico , mi dia modo di salvarla in qualche modo .

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    1. Non credo sia molto importante, qui, quanto io sappia di psicanalisi, né quale sia la differenza tra una "donna da sesso" e una "fattrice" - categorie da dopolavoro Endas che sono poco interessato ad approfondire. Piuttosto, sarebbe interessante riflettere su quanto un evento particolare - Rosa Fumetto, che per inciso continuo a trovare bellissima - possa riuscire a intercettare e rilanciare un tema di natura filosofica, dunque universale. Sì, il tema del mio testo era la teoria estetica, che semplificando un poco io vedo debitrice della storia culturale dell'Occidente, quindi come scissa tra il trionfo (platonico) dell'universale e la memoria del molteplice incarnato, che trova in Omero il suo primo e insuperato cantore. Se ha qualcosa da dire al riguardo è dunque benvenuto. Diversamente, sono davvero troppo sazio per abboccare all'ennesima esca polemica.

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  4. se la vedi dal vivo ti prende un colpo...io l'ho scambiata per una lavascale disperata

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    1. Qualsiasi donna, ma anche uomo, a quarant'anni è meno attraente di quando ne aveva venti, a cinquanta di quando ne aveva trenta e così via... Ora, a me non pare tanto importante quanti anni abbia Rosa Fumetto (una semplice ricerca su Google può dirtelo), ma quanto aggiunge a noi, al nostro sentirci ganzi, fighi, smart, ribadire pubblicamente un'ovvietà: che le donne invecchiano... (Boh, non ti seguo proprio.)

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  5. La vita è così imprevedibile, la tua prima "zaganella" che ti chiede di non abbandonare Facebook...

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  6. Io invece sono d'accordissimo con lei. Anche la statura di Rosa Fumetto contribuiva alla sua bellezza. Praticamente una Venere in miniatura. Era molto più bella e eccitante ma con classe delle altre attrici del momento, di cui molte non riuscivo nemmeno a fermele garbare. Le trovavo più insulse e banali delle ragazze che vedevo e conoscevo nel mondo reale. Si, allora esisteva solo il mondi reale.

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  7. Io invece sono d'accordissimo con le. Anche la sua statura contribuiva alla sua bellezza, praticamente una Venere in miniatura.

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