lunedì 7 marzo 2011

Congedo di un facebooker cerimonioso, o sul perché su Facebook anche gli scrittori "scraparlano"


Oggi mi sono cancellato da Facebook. Dopo quanto avevo scritto nei giorni scorsi sull'argomento, mi è parsa una scelta perfino obbligata. Oltre che una salutare boccata di ossigeno in un tempo della mia vita saturo di polveri sottili, e ancor più di parole tossiche. Ma ci tengo ad aggiungere che stavolta non c'è davvero nulla di personale, quanto, direi, pensandoci, di strutturale.

Provo a spiegarmi meglio. Negli ultimi anni molti intellettuali si sono affannati a rivedere le tesi catastrofiste che vedevano la lingua scritta ormai completamente soppiantata da media a forte impatto visuale, come il cinema e la televisione. Il filosofo francese Régis Debray aveva addirittura profetizzato l'avvento di una sorta di messianesimo visivo, che ha battezzato "videosfera". Intendendo uno spazio in cui la comunicazione testuale, nella sua forma meccanizzata conseguente all'invenzione di Gutenberg, a sua volta caratterizzante un evo storico da lui chiamato "grafosfera", sarebbe stata revocata a favore del ritorno a un'esperienza solo apparentemente sensibile delle cose, e cioè appunto attraverso la replicazione visibile delle forme. Insomma, il vecchio gioco combinatori dei Sumeri sembrava ormai messo definitivamente fuori gioco; era solo questione di tempo.

Ma, ecco, con internet e i telefonini e le mail - all'improvviso! - è successo qualcosa: si è ripreso a scrivere, a comunicare attraverso segni grafici. Facebook appare dunque come l'inveramento di tutto ciò, il gabbiano che ritorna alla nave ormai perduta tra le onde dell'impressione visiva, ma invece di un pescetto porta nel becco una penna stilo che ancora gocciola inchiostro... Con tutti gli intellettuali che si affannano a urlare: terra, TERRA! E in un certo senso è vero, il profilo di una costa verbale si intravede, si scrive, eccome che si scrive: su Facebook ogni gorgoglio viscerale è occasione per una nota di testo.

L'unica domanda prima di liquidare definitivamente la faccenda, a questo punto diventa: è davvero scrittura questa cosa qui, è la terra a cui eravamo abituati? Vecchia India con un suoi elefanti panciuti e neghittosi, i fachiri e gli incantatori di serpenti, che sgusciano fuori dalla cesta di vimini al suono di una nenia stordente e si innalzano come i punti esclamativi di una frase risaputa, lo stupore dell'ovvio, accompagnati dal crepitio delle reflex giapponesi. O non sarà invece che, senza accorgercene, siamo capitati in America, dove conviene stare attenti alle frecce avvelenate degli Apache... Vediamo.

Storicamente la scrittura ha rappresentato il passaggio dalla caotica mobilità della lingua orale a forme più strutturate, pensate. In questo transito molto si è guadagnato - in precisione, rigore logico e solidità dell'impianto argomentativo e drammaturgico - ma qualcosa è andato irrimediabilmente perduto, come già aveva intuito Socrate e successivamente Platone, che cercò in qualche modo di mediare. Ma ormai, perfino allora, la rotta verso l'America era già tracciata, non si poteva tornare al sogno indiano di Colombo. Platone è dunque stato il Vespucci che ha cercato di introdurci per gradi a un nuovo mondo: quello dei testi scritti, della successiva letteratura.

Ma nel trasferire le caravelle beccheggianti della storia dentro il continente di stabili grafemi, si allontanavano, appunto, anche le coste del vecchio mondo omerico, la vitalità di una lingua che è data dalla sua sonorità e dalla reazione immediata dell'interlocutore, la cui interferenza è l'elemento dialettico alla base delle primitive forme di ragionamento. La domanda giusta da farci non è dunque se adesso scriviamo con più frequenza del nostro passato prossimo - e la risposta è ovviamente sì, almeno tecnicamente - ma se si possa ancora chiamare scrittura l'esperienza che ricaviamo dalla compilazione di testi attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, o se diversamente si profili all'orizzonte un nuovo continente...

La mia idea è che questo rigurgito grafologico non sia propriamente scrittura, ma qualcosa come un effetto provvisorio nella digestione che le moderne tecnologie stanno facendo delle forme storiche del comunicare, il ruttino del bimbo prima della prossima poppata. Non è vero, insomma, che tutti quanti abbiamo ripreso a scrivere con maggiore impeto e foga di quanto non facessimo negli anni scorsi, ma piuttosto il contrario: abbiamo iniziato ad applicare alla scrittura le cadenze e l'impressività del parlato, senza però essere in grado - per ovvie ragioni - di ricalcare anche il ritmo e la gioiosità sonora di una lingua, restituendo così una partitura senza orchestra e una sintassi senza vita.

Tutto ciò è particolarmente evidente proprio su Facebook: basta farsi "amico" qualche scrittore famoso e poi leggerne le comunicazioni confidenziali, i post che rilasciano con generosa abbondanza. Io l'ho fatto, credendo che su Facebook gli scrittori pubblicassero testi o notizie inedite, scampoli del loro lavoro altrimenti indisponibili. E' sufficiente fare come all'asilo e cercare nello sconfinato registro del più famoso social network il nome di un celebre scrittore, quindi dirgli: "Ehi bambino, vuoi diventare mio amico?" E il celebre scrittore ti concede il dono prezioso della sua "amicizia", non devi nemmeno offrirgli in cambio una caramella mou o la coda guizzante di una lucertola. Tanto che la mia prima impressione è stata proprio questa: bambini dell'asilo, siamo tornati tutti a essere bambini dell'asilo.

E questa volta i nomi voglio farli: Aldo Nove; Giuseppe Genna; Tommaso Pincio; Franz Krauspenhaar; Isabella Santacroce; Giulio Mozzi; Loredana Lipperini; Fulvio Abbate; Massimiliano Parente e altri ancora. Asilo. Forse solo l'ottimo Beppe Sebaste, anche quando scrive su Facebook, scrive per davvero, si ostina a conferire forma e struttura e perfino galateo a quel che dice, con un puntiglio che ricorda più le scuole elementari, forse perfino le medie. Beppe Sebaste, insomma, come me ancora confonde i registri e le forme che la modernità impone alle nostre vite. Non capisce, si indigna e si sorprende. Segue una remota e anacronistica rotta indiana. Gli altri pubblicano perlopiù brevi note autoriferite, banalità seducenti o sentenziose, ammiccamenti verbali senza alcun costrutto. Ironia e battutine e darsi di gomito tra amiconi. Letteralmente: bambini dell'asilo. Ma bambini anche un po' toccati, qualcuno...

Poi però vai a rileggerti i libri e ti accorgi che bambini scemi non lo sono mica sempre: semplicemente si rinscemiscono, si rimbambiscono quando iniziano a scrivere su Facebook. In particolare quando flirtano con gli ammiratori che li blandiscono nei commenti ai loro post. Tanto che la scemenza infantile, o meglio l'impressione di scemenza, ti viene il sospetto che derivi dalla sgradevole percezione di veder spalmata e fissata in testo una normale conversazione tra un uomo e una donna. Che si vorrebbe magari portare a letto, perché no? Come se osservassimo il rituale di seduzione dall'oblò di una navicella spaziale che si è smarrita. La cagnetta Laika non è più sola ma ha finalmente trovato un compagno, anzi molti compagni di avventura. Su Facebook.

Se però prestiamo attenzione, ci rendiamo conto che osservare dall'esterno come non richiesti eppure impliciti voyeur, fa parte delle regole del gioco, direi addirittura che è la cifra delle nuove forme di comunicazione, le quali pongono anche il soggetto che le agisce in qualche modo sempre a lato. E ciò che alla fine osservi è allora l'elemento di sotterfugio verbale del corteggiamento, o semplicemente di una svagata causerie, trasferito nell'impassibile rigor mortis di un segno grafico che genera imbarazzo. La ragione è probabilmente da riferire all'assenza del pietoso velo di una riflessione testuale, e cioè di una strategia retorica, e cioè di una scrittura in senso proprio, così da condurre il gesto linguistico ad esiti di assoluta irresponsabilità formale.

Se di questa sciatteria sintattica peccano gli scrittori più affermati, possiamo immaginare come scrivono gli altri, ossia tutti noi... Noi che quando accediamo a Facebook, oppure digitando un sms, rispondiamo velocemente alla mail di uno scocciatore in effetti non stiamo più scrivendo, cercando le parole più adatte o efficaci dentro una strategia comunicativa meditata e responsabile (ossia sempre in debito di una risposta dovuta), ma tutt'al più parlando attraverso grafemi muti e occasionali. Un esercizio in cui contrariamente a quando cercava di fare Platone, che si sforzava di prendere il meglio sia dalla parola parlata che da quella fissata nella forma scritta, combiniamo il peggio di entrambe. Né Colombo né Vespucci, ma una palude in cui ci muoviamo a braccio.

O se vogliamo dirla con un gioco di parole, oggi mi sono cancellato da Facebook perché, dentro lì e giù fino ai più remoti neuroni del cervello, le persone non scrivono, non parlano ma nemmeno straparlano: piuttosto "scraparlano". E anche io, tra le pieghe di Facebook, avevo iniziato a "scraparlare", stavo diventando un bambino che confonde la coda delle lucertole con il riassunto di un coccodrillo, l'India con l'America ma soprattutto l'amicizia con il voyeurismo. Ossia stavo iniziando a combinare, come giusto, come richiesto dalle regole tacite del mezzo, scrittura e parola nella più infelice delle crasi. Tanto che questa unione del peggio con il peggio, viene il sospetto che sia la cifra definitiva del nostro tempo...

19 commenti:

  1. E' stato sulla bacheca di Beppe Sebaste (su facebook) che ho trovato il link per il tuo blog, che ho linkato al mio. Tornerò a leggere presto

    RispondiElimina
  2. grazie Mariella, mi fa piacere non solo che tu sia arrivata qui, ma che ci sia arrivata per quella via (Beppe Sebaste è uno scrittore che ammiro molto, come avrai intuito). ho dato un occhio anche al tuo blog e sembra interessante. spero di ritrovarti presto in qualche maglia di questa rete (o dall'altra parte della canna da pesca, chissà...)

    RispondiElimina
  3. ...è sempre FB che poi porta ai blog, questo bisogna ammetterlo e forse in quel senso è da intendersi "medium" e strumento. Per il resto ti ho trovato postato in una bacheca e con una serie di commenti in noir.
    Bacheca di Giulio Mozzi dove ho risposto così:
    "A parte la disamina su cosa sia o non sia la "scrittura", (decisamente non vale la pena scomodare Socrate e Platone) su una cosa concordo:il voyeurismo feisbucco...e non solo. La miliardata di gente che qui scrive e si prende oltremodo sul serio e cerca consensi e cuoricini demenziali a fronte di poesiucole lacrimevoli e pietose...naturalmente con uso di tag sfrenato e in trepidante attesa che i soliti 20 amici confermino (fintamente) una bravura. Questo è pre-asilo...insulta l'ominide, il sapiens. Naturalmente è vietato commentare con "ma sai che fai veramente cagare" pena la scomunica. Che pena."
    Buonagiornata

    RispondiElimina
  4. Condivido ciò che pensi su molti dei nominativi che hai citato: asilo.

    RispondiElimina
  5. Credo che molti scrittori usino facebook per marketing, per far circolare il proprio nome e non la propria arte. Proprio per questo meglio essere simpatici ed accattivarsi la simpatia di coloro, gli amici di Fb, che sono soprattutto dei potenziali acquirenti. Un peccato veniale, a mio avviso, soprattutto perché molti degli scrittori che nomini sono degli ottimi scrittori. Ma pochi di loro resistono alla tentazione di una vetrina così frequentata per poter mostrare il proprio ego.

    RispondiElimina
  6. anch'io sono arrivato qui dalla bacheca fb di uno dei scrittori citati da te, Giulio Mozzi!
    E' un testo questo tuo pieno di spunti ma non ne condivido la tesi, voglio dire anche gli scrittori parlano tra una pagina e l'altra.

    RispondiElimina
  7. lei ha dato voce a una serie di considerazioni che mi frullavano in testa da parecchio e a un disagio che cominciavo a provare. l'unica cosa su cui non concordo è il nome di giulio mozzi, che rimane persona seria anche su facebook (altra è l'opinione sul codazzo dei fan, che stanno in agguato per commentare, anche solo con un "mi piace", ogni infima uscita. quando non usano il modulo dei commenti per manifestarsi con qualche poesiola). per quanto riguarda gli altri citati, asserire che su fb gigioneggiano è essere pietosi. anna albano

    RispondiElimina
  8. Sono assolutamente d'accordo con lei: sia su Sebaste che sull'uso di facebook.In ogni caso,
    facebook veicola problematiche sociali, che altrimenti non avrebbero visibilità.Purtroppo i cittadini non riescono a farsi ascoltare dai media nazionali;non rimane che internet. Spetta a noi farne buon uso.

    RispondiElimina
  9. @Chiamatemismaele, grazie. ho scoperto che la mia cancellazione da facebook verrà ufficializzata solo fra 14 giorni, e così ho dato un'occhiata anche alla bacheca di giulio mozzi, e al post di cui mi riferisci (o anche lasciato un breve commento). per precisare il mio pensiero ho comunque realizzato un nuovo post, sempre su questo sito. (ho visto che anche tu possiedi numerosi blog, sembrano interessanti. ciao)

    RispondiElimina
  10. @stef, non condivido interamente ciò che scrivi. io non penso che quello degli scrittori sia un uso "strategico" del mezzo, se così posso dire. piuttosto penso che gli scrittori utilizzano facebook come facciamo tutti noi, con naturalezza. e come in tutte le cose naturali - un'onda, un cavallo selvaggio - si lasciano infine sopraffare. per semplice pigrizia o inesperienza. o forse solo perché hanno capito che va bene così: non esiste alcun ditino abbastanza robusto per arginare la diga... (ciao stef, ringrazio anche te per l'intervento)

    RispondiElimina
  11. @elvio, la mia tesi estrema, sì. ma questo anche perché - l'avrai capito - l'impianto narrativo non vuole essere freddamente argomentativo (non sto insomma cercando di accostarmi alla questione con piglio saggistico) ma attraverso uno slancio immaginale. e questo in coerenza all'intenzione originaria di questo sito (il soldo che si getta nella fontana esprimendo un desiderio di bellezza e felicità) che potremmo forse riassumere nel genere della "bio-fiction civile". che poi questo genere esista oppure no, e questione ulteriore che esorbita il getto leggero della fontana... (ho dato un'occhiata anche al tuo blog: mi piace)

    RispondiElimina
  12. @anna, anna albano: cavolo, ma è un nome bellissimo! ;-)

    RispondiElimina
  13. @anonimo: per carità, io non ho nulla contro i cittadini e il tentativo - probabilmente riuscito oltre un'auspicata ragionevolezza - di condividere le informazioni su internet. e probabilmente hai anche ragione a chiamare democrazia, questa cosa qui. rimane da capire se, a volte, la democrazia non sia anche brutta e vagamente "gnucca". ed è un dubbio che scorrendo le schermate di facebook, acquista maggior forza... (grazie anche a te)

    RispondiElimina
  14. wwwhhhhaaaatttt? un nome bellissimo? ma se è comunissimo, ed è tutta la vita che cerco di distinguermi e mi sono iscritta a facebook nella speranza di farmi notare e di uscire finalmente dall'umiliante anonimato in cui per nascita e censo questo aberrante cognome mi ha relegata ;-))

    RispondiElimina
  15. @anna è sonoro, anna albano è un nome che canta. e se non canta una canzone bulgara con sottofondo tibetano, questo non significa che sia meno bello. anche un accordo di quarta ha un suono molto comune. la bellezza è nemica della bizzarria...

    RispondiElimina
  16. sai una cosa? faccio mia la tua considerazione e da oggi in poi la pianto di farmi chiamare louella higgins.

    RispondiElimina
  17. Franz Krauspenhaar mi ama. Lascialo stare.
    SS

    RispondiElimina