giovedì 10 marzo 2011

Che c'azzecca Giulio Mozzi con il chiar di luna e l'aquilotto Armani e l'Odissea e il tesoro della Banca d'Italia e l'incerta fioritura dei gerani?


Un altro piccolo segno, un sintomo meglio. Riguarda il post precedente, in cui mi sono occupato diffusamente delle ragioni per cui mi sono appena cancellato da Facebook. Non sono però ragioni personali - o perlomeno non solo personali - ed esorbitano la mia stessa biografia illuminando alcuni caratteri generali della nuove tecnologie della comunicazione, in particolare quelle attraverso cui la scrittura ha acquisito nuovo impeto e diffusione.
Facebook rappresenta forse la sintesi più efficace ed estrema di tale processo di "ri-grafizzazione", potremmo chiamarlo così, della sfera pubblica dei rapporti che intratteniamo. Qualcosa come una rinnovata diffusione di grafemi scambiati tra amici, conoscenti ma anche tra occasionali compagni di scrittura, un po' come nelle strisce dei Peanuts avviene tra Charlie Brown e il suo "pencil pal"; un amico di penna che abita in un luogo distante e con cui non vi è dunque alcuna possibile frequentazione. Si scrivono così solo delle lunghe lettere a mano, in cui Charlie Brown, con parole semplici e belle, sa decantare tutto il suo allibito e incantato sguardo sul mondo, certo di essere compreso e ricambiato per quella sensazione di intensa specularità che procura lettura, prima ancora della scrittura. Ma la stessa cosa possiamo affermare anche di quel che avviene sui social network? No, le comunicazioni su Facebook non sono affatto lunghe e tanto meno belle, anche quando a scrivere sono persone che lo fanno di professione e soprattutto lo sanno fare bene. Ma solo quando escono da lì.
Questa era in ogni caso materia del mio intervento precedente. Il segno, il nuovo sintomo quotidiano, riguarda invece la smisurata ricezione di quel testo. Alle 10 e 30 del mattino il contatore del mio blog segnava già 353 visite - nei giorni di grazia ne raggiungo a malapena 150, a fine giornata. Andando dunque a scorrere tra i commenti - anche quelli sono inaspettatamente numerosi - mi accorgo che la ragione è da attribuire a un rilancio del mio post proprio all'interno di Facebook. Se ho capito bene deve essere stato lo scrittore Giulio Mozzi, a cui io accennavo nel mio intervento, a segnalarlo nella propria bacheca. E sempre da quanto posso solo intuire, anche lì si deve essere aperto qualcosa come un dibattito, di cui purtroppo mi sfuggono i contenuti. Una cosa è comunque certa e curiosa: la prima volta in cui ritraggo i miei gerani dal davanzale, è anche la prima volta in cui quei gerani fioriscono, sbocciano e le api ne portano i pollini lontano. O se vogliamo mettere una zavorra minerale alle metafore, farle volare un po' più base: l'aver sottratto i miei testi allo sguardo dei miei conoscenti su Facebook, e forse proprio in virtù di tale gesto di negazione, un po' come avviene con l'oro rinchiuso nei forzieri delle banche centrali, ne ha contestualmente rilanciato la percezione del valore.
Se viceversa tu offri una cosa, qualsiasi cosa non richiesta, l'importanza ne viene sminuita. Questo effimero successo in termini di lettori, proprio nel momento in cui la mia parola si fa più discreta, meno esposta, non è allora nemmeno così bizzarro come in un primo tempo avevo avvertito. In particolare se considero come le parole del testo ripreso da Giulio Mozzi, in effetti, non sono più solo le mie parole, ma qualcos'altro in conseguenza del suo imprimatur pubblico, sebbene avvenuto in una forma indiretta che ricorda i versi di quella canzone: "Guarda che luna, guarda che mare..." Che non vuol dire, appunto, guarda che bella luna, guarda che bel mare. Ma semplicemente: guarda!
Eppure anche una segnalazione defilata dal giudizio, partecipa, suo malgrado, dell'estensione carismatica della persona da cui proviene l'indicazione; tanto che forse non era così sciocco il cinese che guardava il dito, quando il saggio indicava la luna. Il processo cognitivo che si è attivato con la segnalazione di Mozzi nella sua bacheca, è dunque simile a quello a cui sono sottoposti un paio di jeans cuciti da una tredicenne - immaginiamola indiana questa volta, così da far incetta di tutti i luoghi comuni in circolazione - a cui il settantenne Giorgio Armani aggiunga un posticcio aquilotto stilizzato, che fa volare il prezzo di quei pantaloni dentro le affollate boutique del centro.
Certo, queste considerazioni potrebbero suggerirmi un moto di tristezza: in fondo in tempi recenti io ho scritto cose anche più importanti dell'intervento su cui si è appuntato l'indice forse inquisitorio di Giulio Mozzi - pantaloni più belli e comodi, ma senza alcun aquilotto che gli mettesse le ali -, cose che sono però passate nella più completa indifferenza tra i miei conoscenti su Facebook. Ma sarebbe solo uno sguardo piccolo piccolo e sottilmente rancoroso, ispirato forse da un altro luogo comune, non del tutto dissennato, che vorrebbe che io cambiassi semplicemente "amici". Il nocciolo della faccenda, o meglio il nido delle aquile, sta invece altrove, e per definizione sempre più in altro. Ma proviamo ugualmente a raggiungerlo.
Attraverso la dinamica occasionale che ho appena cercato di descrivere per immagini, Facebook si mostra come un medium apparentemente orizzontale, ma, a ben vedere, risente di filtri gerarchici impliciti che ne direzionano il traffico anche in un senso che potremmo definire verticale. All'interno delle gerarchie di gusto e valore di Facebook, Giulio Mozzi rappresenta uno che conta - un aquilotto davvero, uno che in quanto scrittore deve vederci più lontano -, e il cui pensiero viene stimato come rilevante e autorevole, perlomeno da una minima comunità che a lui e altre personalità pubbliche della cultura si riferisce. Chiamiamola provvisoriamente un'oligarchia dei volatili superiori, che in Facebook, come in tutti i gruppi spontanei, si manifesta già dalle prime battute quale effetto della psicologia collettiva. Per tale ragione l'offerta comunicativa che giunge dal suo davanzale ottiene maggiore ascolto e considerazione, uno spiraglio di sole che si guadagna spazio nell'ombra mormorante e sgomitante dei molti.
A questo punto del ragionamento veniamo però fermati da un'obiezione, che ci suggerisce di riconsiderare l'elemento gerarchico su basi unicamente quantitative, e cioè nuovamente orizzontali. In altre parole Giulio Mozzi ha molti "amici" registrati: è questa la ragione della diffusa ricezione dei testi da lui presentati, non c'era bisogno di inseguire spiegazioni occulte e simboliche. Chi al contrario ha solo pochi contatti, quattro gattacci spelacchiati, per forza risulterà penalizzato nei termini numerici di visite e forse di letture (le due cose in effetti non coincidono).
Ma come buona parte delle soluzioni semplici a problemi complessi, questa è anche un'obiezione sbagliata. In passato ho infatti avuto modo di incocciare in veri e propri collezionisti di relazioni virtuali, gente che ha più di un migliaio di "amici" su Facebook. La natura questa volta sì davvero orizzontale di tali contatti, data dalla loro assenza di agganci a una qualsiasi categoria storica o personale di valore, non viene però riverticalizzata dal mero elemento quantitativo, nemmeno quando venga dispiegata l'artiglieria attraverso uno spregiudicato utilizzo dei tag. Così quando questi professionisti della quantità pubblicano qualcosa sulla loro bacheca - e lo fanno fin troppo spesso - cade ugualmente nell'irrilevanza; magari qualche pollicione alzato qua e la, ok, come elemosina reciproca tra poveri diavoli a corto di riconoscimento.
Il caso del mio testo involato dalla bacheca di Mozzi, diviene allora sintomatico di qualcosa di più profondo ed essenziale. E cioè, a mio avviso, dell'emergere di una sorta di nostalgia verticale per un principio selettivo - o se vogliamo di un'aristocrazia dello spirito, di un sistema culturale - dentro l'utopia democratica e orizzontale di Facebook. La gente legge quello che Mozzi gli suggerisce (in questo caso me) perché si fida di lui, semplicemente. Ma, attenzione, la gente non si fida di Mozzi per quel che Mozzi scrive dentro Facebook, al contrario per ciò che egli scrive e pubblica fuori. Quella su Facebook non è infatti propriamente una scrittura, come mi sono sforzato di dimostrare nel mio intervento. E siccome Mozzi, come tutti gli altri scrittori che ho citato, è una persona intelligente, l'ha capito benissimo e si è adeguato con duttilità e prontezza al mezzo. Che da lui viene utilizzato come navetta dal fuori al dentro e dal dentro di nuovo al fuori, in una specie di tessitura che ricorda il gesto di Penelope: da una parte i nodi storici del significare vengono ribaditi attraverso il suo lavoro editoriale e letterario, ma dall'altra disfatti nella rapida e disinvolta prosa che regna su Facebook, quale alfabeto per molti versi necessario. O se vogliamo tornare al paragone omerico, ancora una volta, come Penelope, Mozzi condivide le stanze della nuova reggia verbale con i Feaci non per amore dei Feaci, ma nell'attesa del ritorno di Ulisse.
Il problema è che chi non possiede un "fuori" altrettanto strutturato di quello di Giulio Mozzi, o un Ulisse che ha fatto voto di ritornare per salvare le tue chiappe pallide di regina, rischia davvero di vedersi sopraffatto da questa nuova lingua occasionale e sformata, effetto della più infelice crasi tra scrivere e parlare ("scraparlare", io l'ho chiamato). Ma anche in tale babele di segni "scraparlanti", mediamente dissennati e unicamente impressivi, o che appena abbozzano una seria riflessione subito sopraffatta da nuovi stimoli di superficie, mi accorgo ora e proprio sulla pelle dei miei testi che nuovi mattoncini di senso vengono sfornati, e piano piano impilati. Non è ancora una grande torre, d'accordo. E probabilmente è meglio così. Tante piccole torrette, piuttosto, come quelle che si scodellano in spiaggia con la sabbia umida e il secchiello. Oppure nuovamente aquilotti che stentano ad alzarsi in volo, sbattendo le ali per prendere confidenza con i venti e le leggi della portanza. Un agitarsi apparentemente scomposto, caotico, che comunque rimanda all'esigenza di un nuovo sistema gerarchico, attraverso cui smaltire la ridondanza dei segni che le nuove tecnologie producono a getto continuo. I quali segni, ci ricordano i semiologi e i filosofi del linguaggio, hanno sempre bisogno di una mediazione esterna che ne conferisca e preservi il valore, di un fuori che si protenda all'interno, ossia di una dimensione "oscena" che proprio grazie a tale estraneità al contesto assuma una funzione ordinatrice e totemica. E' insomma l'assenza di Ulisse che legittima e garantisce l'autorità di Telemaco.
Giulio Mozzi e i suoi colleghi scrittori stanno dunque assumendo questa importante funzione civile: se non ancora o non sempre di sovrani, quella di vigili, di ausiliari del traffico dentro la caotica circolazione di Facebook. Certo, quando sono dentro lì anche loro si esprimono in quella neo-lingua in cui parlato e scrittura si fanno sempre più indistinguibili, offrendo di entrambi il loro lato peggiore. Ma comunque anche attraverso questa compiacenza svilita alle nuove forme del comunicare, gli scrittori ci ricordano che c'è un fuori, che non tutto si esaurisce in quel chiacchiericcio. E che oltre il robusto portale di Facebook esistono metri e misure del valore a cui essi alludono e con ciò determinano.
Chi se ne importa, poi, se i nostri "amici" di Facebook avranno ancora bisogno dell'indice di Giulio Mozzi per venire a conoscenza delle parole che scriviamo, che sono sempre state lì belle e pronte sul loro davanzale. E chi se ne importa anche di Facebook e di chi saprà tendere l'arco di Ulisse e in fin dei conti anche dell'ottimo Giulio Mozzi. Il quale Mozzi, con il suo ditino puntato e probabilmente ben oltre le sue intenzioni, ci ha ricordato di un mucchio di cose: aquilotti Armani, marine languorose, gerani infiammati, tesori occulti, odissee domestiche, telai che tessono e disfano la trama del loro narrare. Ma soprattutto ci ha ricordato che oltre i confini del pozzo ci sta una luna e oltre la luna, se strizziamo un poco gli occhi, è possibile intravedere anche le stelle più timide e lontane. E allora cosa aspettiamo, per tornarle a rimirare?!

10 commenti:

  1. Giulio Mozzi per quanto mi riguarda è nessuno (nel senso di persona nota a molti). Il post mi è apparso nella home e ha stimolato la mia curiosità perchè mi interessa esattamente tutto ciò che hai appena scritto qui sopra. FB oggi è osservato da vicino da tutte le aziende come un volano quasi indispensabile (e molto economico) per fare promozioni e spostare/pilotare l'attenzione dei potenziali consumatori (lo dico a ragion veduta perchè lavoro nel settore). La logica orizzontale e verticale e la quantità dei contatti viene monitorata con strumenti simili allo share televisivo.

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  2. ciao Guido, mi piacerebbe tanto che tu che sei così ganzo (e qui ci vorrebbe la faccina simpatica!) a trovare le parole che danno forma alla realtà (mirabile il tuo "generazione pàrol") ne trovassi una che spieghi qual è la virtù, la qualità umana - o chiamala come vuoi - necessaria per appassionarsi a fenomeni quali facebook. Sono iscritta da due anni e non ci entro quasi mai e quando mi capita di dargli un'occhiata mi pare di essere finita in una specie di campo di battaglia con pallottole che ti arrivano da tutte le parti (la ridondanza dei segni!!)e io che mi chiedo: "ma a me che me ne importa di tutte ste minchiate che fanno e dicono gli altri?" e lo penso anche se l'altro fosse l'Altro con la A maiuscola....o forse no?
    Luisa

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  3. @chiamatemismaele, credo di aver inteso quel che dici, ma penso che sia un altro aspetto ancora della questione. non credo, insomma, che mozzi, pincio o altri coltivino delle mire strategiche, o subdoli calcoli di marketing. piuttosto, molte oltre le loro attese, devono essersi trovati al centro di un sistema di segni e di aspettative emozionali che li vede investi di una funzione disciplinatrice, o se vogliamo assimilabile a quella di un cane guida per un cieco. rimane da capire se loro abbiano tutte le diottrie in funzione, nella notte semantica di facebook... questo status gerarchico e "referenziale", da loro viene comunque utilizzata in vario modo. mozzi ad esempio si limita a gettare il becchime, ritirando la mano; pincio utilizza modalità linguistiche più sollecite e "dal basso", simili a quelle di un compagno di banco bravo e generoso, che ti lascia copiare; genna è invece un po' una via di mezzo tra i due, e potrebbe forse essere paragonato a un primo della classe un po' spocchioso, o a un alberto sordi molto fiero di essere diventato vigile, dirigendo il traffico con compiaciuta autorità pedagogica. ognuno, a suo modo, sta evidentemente cercando di orizzontarsi dentro la novità del ruolo e del contesto. rimane il fatto che discussioni anche interessanti - quella che è partita da mozzi sul mio post certamente lo era - restano sempre come imbozzolate in una dimensione impressiva. oppure polemica, sbrigativa, teatralmente arguta, ironico-sarcastica, saccente, dispersiva. in ogni caso estranea a un compiuto sviluppo della forma discorso, e ad esiti argomentativi convincenti e utili alla comprensione del reale. ma questo non è davvero colpa di nessuno. scriveva un filosofo spagnolo di cui ho scordato il nome: "una nuova tecnologia non è buona, non è cattiva ma non è nemmeno neutra". e prima di intendere nelle sue profonde implicazioni sociali e antropologiche la non-neutralità di facebook, dovrà probabilmente passare ancora qualche tempo.

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  4. @Luisa e il silenzio, mi è venuto in mente leggendo il tuo messaggio. credo fosse il titolo di un bel libro di claudio piersanti. però io l'ho pensato nella forma ribaltata di segno: luisa e il rumore. e cercando dunque di cacciare le mani e i neuroni in quel rumore, nel frastuono di sillabe scomposte dentro facebook, alla fine "la qualità umana" che tu mi chiedi di indicarti per "appassionarsi a fenomeni quali facebook", è ancora quella vecchia qualità indicata da paolo di tarso. quando scriveva: "non ci rimangono che fede, speranza e carità. la più importante di questa è la carità". ecco, io credo che ci voglia davvero molta umana carità, per muoversi dentro quelle pallottole sonore senza uscirne come un colabrodo... (la faccina la faccio io, dai ;-)

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  5. grazie...credo tu abbia ragione, lo deduco dal senso di leggera vergogna che provo per il tono un po' arrogante con cui mi sono espressa. Mi chiedo ancora però come sia possibile amare ciò che non si capisce.In attesa di essere folgorata come San Paolo sulla famosa via continuerò a non capire (e a non amare).
    Luisa

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  6. Luisa, non so, come hai capito benissimo stavo scherzando, quando ho citato le parole di Paolo (per quanto la compassione è forse davvero un rimedio per infiniti mali, come l'olio 31, che mia madre mi rifilava per qualsiasi inghippo da bambino). l'unica certezza che mi sento allora di passarti come il testimone della staffetta, è che senza facebook, credimi, per quanto possa sembrare strano, si riesce a sopravvivere. io ne sono la prova. e non è detto che il prossimo passo sia addirittura quello di iniziare a vivere...

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  7. oddio Guido, lo so benissimo che si può sopravvivere anche senza facebook..ma non era questo il punto. Mi sto solo rammaricando (e anche un po' invidiando forse?)il fatto di non capire, di non condividere l'entusiasmo di molti miei simili per il nuovo mezzo. Forse perchè vorrei tornare bambina e godere pienamente dell'illusione che il mondo sia magico e facile, un'emanazione della mia psiche...però ganza la tua mamma che ti dava l'olio 31!! ;)
    Luisa

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  8. waho...che meraviglia analizzare minuziosamente per quali motivi verticali orizzontali obliqui, d'improvviso un articolo apparso su un blog ha così tanti lettori. proprio lo stesso stupore della fioritura improvvisa a marzo delle viole.con la replica delle fasi di corteggiamento implicite...oh, ma come scrivi bene! oh, ma che cose sensate che dici! nutrimento d'ego. miele e balsamo e olio 31 per l'umana imperfetta e fragile natura. pollice alzato guido. vai così. indaga ricerca costruisci teorie e scrivi...che son tutti lì ad attendere il tuo nuovo strabiliante articolo sul blog. soprattutto da quando- alfiere di una nuova brigata- ti sei tolto da face book. un eroe. applausi a scena aperta.

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  9. @grazie Mnemosyne, sei troppo buona. anche se mi verrebbe da rispondere al tuo testo, fin troppo generoso nei miei confronti, con le parole di una recente canzone di Giovanni Lindo Ferretti: "Non fare di me un idolo mi brucerò, se divento un megafono m'incepperò, cosa fare non fare non lo so, quando dove perché riguarda solo me, io so solo che tutto va ma non va, non va, non va, non va, non va..."

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  10. @Luisa, ti ho risposto qui: http://fontanaconsoldino.blogspot.com/2011/03/il-potere-osceno-dei-capoclasse-una.html

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