sabato 27 agosto 2016

Selfie, o sull'isteria come fattore politico



Una cosa che mi affascina nell’utilizzo dei social media, è l’incalzare della pubblicazione di autoscatti nelle pose più varie e introspettive e sensuali, specie da parte delle donne, giovani ma anche meno giovani, che ora vengono chiamati selfie. Questa pratica comune nei confronti della quale non ho una posizione ostile – forse un poco di noia, ma solo per la sua ridondanza –, mi ha fatto tornare alla mente quanto diceva Jacques Lacan sull’isteria. Secondo la prospettiva psicanalitica l'isteria rappresenterebbe il tentativo di rispondere a una domanda profonda, pure più frequente nella sua formulazione al femminile, per quanto esistano anche gli isterici, ma per sua natura irrisolvibile: che cosa è una donna?

L’isterica è come torturata da questo dubbio, e cerca così di aggirarlo per emulazione – di altre donne, di una madre simbolica – oppure attraverso l’attivazione del desiderio in un maschio, che senza consegnarle la soluzione dell’enigma perlomeno la rassicuri sulle proprie capacità: continuo a non sapere cosa sia una donna, ma, ecco, vedi, ora ne detengo la facoltà di attirare in questo vuoto (di senso) il pieno saturo e desiderante della vita.

Purtroppo è una gratificazione effimera, già che l’isterica, una volta attivato seduttivamente il desiderio nell'altro, smette a sua volta di desiderarlo, avendo ottenuto ciò che davvero le interessava: non l’altro, ma la propria immagine come magnetizzata, caricata del polo elettrico femminile attraverso l'evidenza del suo potere di attrazione (una donna è qualcuno che può senza il potere della Legge, questo, dunque, un primo incompleto abbozzo di risposta).

Ma anche nel narcisismo abbiamo un'attenzione ossessiva alla propria immagine, non sarà la stessa cosa? Sì e no. Ciò che distingue isteria da narcisismo è l’utilizzo della medesima rappresentazione con finalità alternative, che per il narcisista – più spesso invece di sesso maschile, come nel mito – corrispondono a un tentativo estremo di coincidere con la figura idealizzata di sé, in cui risolversi senza bisogno di intermediari esterni. Ed ecco allora Narciso immergersi nello specchio, per essere inghiottito dal cortocircuito che l'annulla.

Diversamente, l’isterica percorre la traiettoria in senso opposto: dal reale del corpo, dalla vicenda tangibile del sedotto e abbandonato, cerca di intercettare l’immaginazione mitica che cela la sua segreta identità di genere, per il tramite del desiderio. Desiderio che per l’isterica è tutto, mentre per il narcisista niente. Ciò che rende malato il comportamento isterico non è quindi l'autoreferenzialità del suo oggetto – in fondo, nell’altro sempre si cerca qualcosa di proprio – ma la coazione a ripetere infinitamente uno schema incompiuto.

Un circolo vizioso che forse potrebbe essere interrotto sostituendo la domanda, appunto impossibile, che cos’è una donna?, con una domanda assai più umile: cosa succede quando incontro qualcuno che mi osserva e ascolta con attenzione partecipata? Succede, ad esempio, che quel qualcuno si stacchi da una folla indistinta e prenda un nome, divenga un tu, che parlando proprio a me, non a un'altra che mi somigli, faccia risuonare anche il mio nome trasformandomi in io. E' quindi dall'incontro reale di un tu con un io che la domanda iniziale perde di urgenza e interesse: chi se ne importa di sapere cosa sia una donna, in generale, quando posso sapere cosa e soprattutto chi sia questa donna qui.

Cambiando la domanda, si riuscirebbe magari anche a scoprire che la risposta non stava fuori ma neppure dentro, e piuttosto a un livello intermedio, in quello scambio di sguardi e parole che somiglia a un cerchio perfetto, e iscrive entrambi nella fotografia finale di quel che sono, quel che siamo: due, ma anche, per il reciproco rifletterci e così definirci, ogn-uno. (Dante sapeva dirlo con parole molto più semplici e belle: “Amor ch’a nullo amato amor perdona.”)

Facevo queste considerazioni sfogliando le cartelle fotografiche delle mie amicizie femminili su Facebook, che mi apparivano, nel loro continuo tentativo di cogliere in immagini la natura sfuggente del proprio femminile, quasi tutte isteriche. Ma non perché esse davvero lo siano – almeno clinicamente – e piuttosto perché è probabilmente il mezzo a indurre questa risposta compulsiva, in misura leggermente ridotta anche nei maschi.

Su internet l’altro non è infatti mai davvero un tu, e il desiderio si astrae nella ricerca di un consenso indifferenziato, una sorta di audience, come avviene nello show business. Ma senza interlocutori reali o meglio realizzati, anche l'identità finisce con l'appoggiarsi alla dimensione astratta e vagamente stereotipa di un personaggio cinematografico, e tanto più ci si cerca, interrogando la nostra immagine come fa Grimilde, quanto più ci si perde. Che è proprio quel che avviene negli isterici, quando inseguono nell’immaginario ciò che nel reale non sanno (o non vogliono) vedere.

Ma se la donna e l’uomo assoluti stanno sulla stessa mappa che segna l’isola di Utopia, anche noi, poveri cristi che ci torturiamo di selfie su Facebook, finiamo col diventare della stessa sostanza intangibile di cui sono fatti i sogni. E nel tentativo di risvegliarci, invece di agguantare una mano tesa a bucare lo schermo come in un vecchio film di Woody Allen, cerchiamo dentro lo specchio, nell’obiettivo di uno smartphone o tra i like che con misericordia depositano gli "amici" sulla nostra bacheca grondante di autoscatti, quello che non potrà mai essere senza l’incontro con il desiderio di un altro in carne e ossa. O per dirla con i versi conclusivi di una poesia di Milo de Angelis: “se ti togliamo ciò che non è tuo \ non ti rimane niente”.



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