martedì 10 aprile 2012

L'a-pensiero, o su quelli che non bisogna pensare...


Mi capita, sempre più spesso, di trovare persone che mi dicono: "Tu pensi troppo". Oppure, in forma imperativa: "Devi pensare meno!" I più garbati usano una formulazione indiretta: "Il segreto, sta nel non pensare".

Anche le narrazioni in voga in questo tempo assecondano tale persuasione. La
letteratura con protagonisti bambini già imparati, ad esempio, o la manualistica con sigillo a vario titolo psicologico – in genere una forma stemperata ed edulcorata di behaviorismo, che sta alle acquisizioni più genuine della psicologia come l'orso Yoghi a un vero e feroce grizzly.

Va dove ti porta il cuore, quindi. Va dove ti conduce la sensazione, l'emozione, il bisbiglio dei sensi. In ogni caso non chiedere mai alle gambe di fornirti la mappa dei tuoi passi: solo cammina, e camminando lo scoprirai. Nel frattempo passa parola, incarna il tuo pregiudizio, non predicare agli uccelli ma diventa uccello tu stesso. Una lunga e spensierata catena umana. O meglio, un girotondo.

A parte il sottile fastidio nel ricevere un consiglio non richiesto, l'unanimismo tanto smaccato verso la "sapienza" emotiva e le virtù del non pensiero – ma sarebbe forse il caso di definirlo
a-pensiero, sorta di fresca disinvoltura che ci fa aderire al presente senza troppi scossoni –, tale diffusa convergenza d'opinione ottiene su di me l'effetto opposto: mi dà da pensare...

Penso, innanzitutto, a quale possa essere il luogo cognitivo da cui scaturisce una certezza tanto inamovibile. Dal momento che io non devo (non
dovrei) poggiare le mie convinzioni sul pensiero, anche chi formula il consiglio si suppone che non lo faccia, che non pensi a quel che mi suggerisce di fare. Non è dunque con il pensiero che mi si dice di non pensare, ma, ne ricavo, è ugualmente per le vie semplificate dell'a-pensiero.

Detto in altre parole, il consiglio di non pensare potrebbe essere tradotto a questo modo: non pensare anche tu. Già che pensando, lo vedete, sorgono dubbi e tortuose interpretazioni, mentre a-pensando si è certi della bontà di quel che si dice. E ciò perché lo si sente, lo si prova.

Allargando, come in un dolly cinematografico, dal dettaglio al totale, anche da un evento così minuto possiamo ricavare alcune significative indicazioni. Ad esempio sul modo in cui l'Occidente si è accostato alla tradizione orientale, e viceversa. Se in Oriente ritroviamo i monaci tibetani che studiano la logica aristotelica, si cimentano con le scienze teoriche, armeggiano con la tecnologia applicata, come lo stesso Dalai Lama che a cinque anni già sapeva smontare e rimontare un orologio, cosa succede qui da noi?

Beh, a me sembra che l'incontro tra le diverse culture si stia riducendo in Occidente a una forma di reciproca elisione, che toglie qualcosa a entrambe senza portare a compimento la parzialità in nuce dentro ciascuna di esse. Quel che noi abbiamo definito, provvisoriamente, a-pensiero, non corrisponde infatti alla ricerca di uno stato mentale di pienezza paradossale, dove Tutto e Nulla si compendiano nella pratica meditativa, ma a un tracciato molto più simile a una scorciatoia neghittosa.

Ciò che in Oriente è un gesto eminentemente ontologico – la ricerca dell'essenza, dell’assoluto dentro la precipitosa transitorietà del momento – viene così a degradarsi quale distrazione da ogni sforzo del concetto. Il che, ovviamente, non conduce al nirvana, ma al trionfo del più vieto luogo comune, prescritto con l'inflessibile sentenziosità di un occhiuto medico dell'Ottocento.

Per la natura intransitiva del messaggio, non è possibile ribattere razionalmente a tale assiomatico invito: non pensare, lasciati andare, galleggia anche tu sulla superficie morbida del presente, come il pedalò sulla cresta del mare azzurro e calmo. Esiste però uno stratagemma per disarmare il nostro interlocutore dalle sue contagiose ovvietà. Basterebbe replicare, ma dopo un lungo respiro, le pupille affilate pronte a infilzare ogni vacuo fumettone, come Robert De Niro quando parla con lo specchio in Taxi Driver: "You talkin' to me? You talkin' to me... E poi: bang bang!

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