venerdì 23 settembre 2011

Omnia munda mundis, o sull’equivoco della purezza


Tutto è puri per i puri, scrive Paolo di Tarso nella lettera a Tito. Ma cos’è la purezza?

Probabilmente, già in epoca precristiana, con questo termine ci si riferiva all’assenza di filtri intellettuali, emotivi, insomma di una complessa grammatica interiore che faccia da discrimine, e quindi anche da scudo, tra il soggetto e ciò con cui entra in relazione. Il puro ha per così dire un’esperienza immediata delle cose, che al suo meglio produce empatia e dedizione, spirito di comunità. Ma è proprio in conseguenza di un’attitudine fiduciosa ed esposta al mondo che il puro è anche più facilmente influenzabile dall’esterno.

La purezza, da un punto di vista linguistico, corrisponde infatti a pulizia e a “nettezza” del carattere. Eppure è proprio in questo tratto appartenente all’orizzonte semantico dell’igiene che si scorge il potenziale limite del termine: solo chi è pulito può realmente e definitivamente sporcarsi, solo chi è netto può diventare lordo. Gli altri, tutt’al più, sono impolverati e grigi.

In un grigiore diffuso, un’esposizione prolungata al lerciume non ha così l'effetto di uno stigma battesimale, ma tutt'al più induce a lavarsi le mani molte volte, per poi sporcarsi fatalmente di nuovo. O almeno, questa è la reazione che provoca l'ambiente sui lambiccati ed i pensosi, i quali hanno sviluppato una confidenza critica con la sporcizia. Che essi sono però in grado di riconoscere ed eventualmente emendare, anche solo temporaneamente e parzialmente.

E’ dunque e principalmente un’anima pura, un cuore candido, ad essere contaminato e infettato da un ambiente sociale tendente alla lordura. Che il puro non è diversamente in grado di riconoscere e contrastare proprio perché affetto da purezza, da disposizione fiduciosa verso l'altro o, più spesso, verso una comunità di persone di cui si fida per abitudine o istinto, al punto da scavallare il perimetro sospettoso tracciato dalla ragione. E con tutta evidenza, questa è la condizione del tempo attuale.

Conviene allora diffidare delle persone pure, donne e uomini che si descrivono come solari e senza sovrastrutture di pensiero, in un diffuso disprezzo di chi si ostina in forme di anacronismo critico verso l’esistente, che loro chiamano senza distinzione intellettuali. Mentre i puri, con la loro programmatica rinuncia a un’autonomia emotiva, prima ancora che cognitiva, sono la manodopera ideale di ogni élite politica subdolamente totalitaria, che con una mano raccoglie una buccia di banana e con l’altra distribuisce scorie tossiche in lunga processione di container.

E poi come erano pure, empatiche, certe amorevoli missive dal fronte dei militari delle SS. Quando si preoccupavano della carie dentale dei figli – biondi e puri come lo erano loro –, prima di abbandonarsi a minuziose descrizioni delle torture inferte ai prigionieri.

Certo, in un tempo e in una società più decenti di questa, correndo incontro alla vita con fiducia i puri non si macchiavano, e al contrario risplendevano come fiaccole nella notte. Ma è proprio per tale disposizione indiscriminata ad accogliere la vita che, oggi, e per primi, i puri sono stati inghiottiti dalla stessa notte che vorrebbero illuminare. Si chiama legge dello specchio e ci mostra come il pelo del leopardo sappia adattarsi alla savana, e l’uomo ai peggiori orrori di natura.

Credo sia proprio questa l'intuizione più acuta dell'ultimo Pasolini, quando abiurò dalla Trilogia della vita. Ma il suo pensiero era già contenuto in nuce nel breve cortometraggio La sequenza del fiore di carta. In quelle immagini concentrate assistiamo a una spensierata passeggiata di Ninetto Davoli, il più puro tra i puri, per le vie di una indefinita città moderna, accompagnato da una colonna sonora costituita dalle drammatiche notizie radiofoniche del presente. Ma chi se importa, chi se frega di quei lutti e di qui conflitti, sembra dirci il volto sorridente e candido di Ninetto, che saltella con un enorme fiore di carta rosso stretto nel pugno. Lui non ha colpa, è vero. Lui è puro.

Ma ugualmente, si abbatte infine una saetta sulla sua testa riccioluta, scagliata da quel deus ex machina che è il regista. Il film si chiude con Ninetto riverso al suolo privo di vita, con la mano ora dischiusa accanto allo stelo del suo enorme fiore rosso, evidente metafora di purezza interiore. E ciò ad ammonirci che in un mondo violento e malato, siamo, seppure in forme e gradi differenti, tutti complici e responsabili. O meglio ancora, siamo “colpevoli” di quell’antica colpa teologica chiamata omissione.

Ma nonostante il film fosse ispirato a un enigmatico episodio dei Vangeli, forse è il caso di retrocedere ulteriormente nel reperire eventuali riferimenti religiosi nella pellicola. In cui Pasolini, dopo un’evidente sintonia estetico-morale proprio con il cristianesimo di eredità paolina, sembra qui riaccordarsi con la tradizione tragica. La colpa e il peccato di Ninetto non corrispondono infatti a un’intenzione a compiere il male, e da una punto di vista cattolico sarebbe dunque già assolto. Eppure, per Pasolini, questa in-coscienza e non-intenzionalità rappresentano un’aggravante.

La colpa è dunque quella pagana dei padri, che ricade osmoticamente sui figli. Ma soprattutto sono le colpe dei figli senza colpa, che in un’epoca in cui occorre fare invece barriera, assumersi responsabilità, contestualizzare e quindi resistere alle forme diffuse e dominanti di immondizia politica e culturale, si sono arresi al mondo per un eccesso di purezza, di candore. Ed è per questo che anche io, con Pasolini, affermo che i puri sono miei nemici. E che la complessità è un atteggiamento molto più conforme a questo mondo impuro.

9 commenti:

  1. Ma no signor hauser, i puri sono il gioco perfetto per me..
    Donatien Alphonse Francois

    RispondiElimina
  2. La seguo sempre anche se questa è la prima volta che commento. Brevemente, l'immagine "pura" che io ho di un "puro" si discosta dall'ipotesi di una purezza in qualche modo ancora cosciente di sé che emerge dal suo post. Ovvero, piuttosto che veder riflesso il proprio volto pulito e terso nell'acqua di uno stagno anch'esso in qualche modo drenato e distillato dall'immagine stessa che vi si rispecchia, il puro dovrebbe poter guardare quel letto d'acqua e non vedere niente - o men che meno se stesso, la propria fisionomia di puro. O cambiando immagine, dovrebbe essere come il tale che, come ci dice Pascal a proposito delle uniche buone azioni davvero altruistiche, compie il bene senza saperlo, senza averne coscienza, senza neanche sospettarlo né farlo sospettare ad alcuno. Un puro cosciente di esser tale è come un corvo che ha coscienza di essere un uccello: non solo fattualmente impossibile, ma anche teoricamente. Kant sosteneva che puro vuol dire "vuoto". E' la coscienza, in un certo senso, è l'opposto del vuoto.
    Tommaso

    RispondiElimina
  3. Caro Guido, la tua sicuramente è una lettura profonda e condivisibile: ma non è la sola! Ciao mg

    RispondiElimina
  4. @Mariagrazia, è vero, la mia è "solo" una lettura. con la differenza che è una lettura argomentata è conseguente, su cui mi piacerebbe discutere sulla base di letture altrettanto argomentate e conseguenti. il rischio, altrimenti, è quel regime dell'affermazione umorale, che rende orizzontali e simmetriche tutte le opinioni. o detta altrimenti, io continuo a trovare che il termine greco "doxa" abbia usi e significati differenti dal termine "epistème", per quanto stiano cercando di convincerci della loro interscambiabilità... (con simpatia)

    RispondiElimina
  5. @Tommaso, grazie intanto per il tuo bel commento, di cui mi scuso per il ritardo nella risposta. provo quindi ad affrontare di petto l'importante questione che mi poni. il puro sa di essere puro? non mi pare che in alcun passaggio del mio testo - l'ho riletto prima di risponderti - venga esplicitata questa idea che mi attribuisci, ma neppure che rimanga implicita. al contrario, io scrivo che il puro è tale proprio nella "nettezza" da sedimenti culturali, scorie razionali, e dunque tanto più "osmotico" con l'ambiente in cui si riflette. al punto che davvero tra lo stagno e il volto, come tu dici, i confini appaiono sfumati, nei casi estremi addirittura inesistenti. ma è sempre una buona cosa, io mi chiedo, tale identità (ontologica, mistica, cognitiva) con l'esistente? in fondo il principio civile su cui si fondando le comunità umane consiste proprio in una separazione, nel gesto fondativo di romolo che con l'aratro scava un solco, un confine tra ciò che è roma e quel che roma non è. da questo punto di vista potremmo far coincidere l'archetipo del puro con il suo gemello remo, che non riconosce il tracciato terroso con cui romolo ha discriminato le zolle, e con ciò irride e disconosce anche la separazione psichica e culturale "dal" fratello, se non nella forma estrema che quello gli infligge: la morte. è dunque la morte la condizione di separazione vertiginosa su cui si fondano tacitamente le civiltà, ma anche l'identità psicologica, la cultura, la nozione stessa di alterità. ora questo passaggio è estremamente difficile e sottile. perché è proprio il radicale discrimine della morte - e dunque dell'alterità - che in molti percorsi filosofici e mistici viene negato. e anche la moderna fisica della particelle, con il principio di indeterminazione di heisemberg, sembra uscire da una visione duale della materia e del pensiero. insomma, la visione sintetica di remo, per i saperi più avanzati del presente, sembra avere molte più ragioni di quelle che la storia gli ha finora assegnato. eppure io continuo a credere che se a tale acquisizione si giunge senza un percorso - e cioè appunto per innata purezza - il rischio è quello di coincidere con forme subdole di discriminazione, che nascono proprio dall'impeto del cuore. si ritorna insomma al regime discriminante di romolo, per quanto negato da un’intenzione (apparentemente) impregiudicata e fiduciosa. nel mio testo facevo riferimento alla presunta purezza di alcuni militanti tedeschi nel corpo delle ss, durante la seconda guerra mondiale. più ci penso, e più quella purezza non mi appare per nulla presunta, ma del tutto reale. essi coincidevano infatti con i loro sentimenti, con le emozioni, perfino con il paesaggio germanico allo stesso modo in cui remo coincideva con la terra, con "tutta" la terra di cui si colmavano i loro azzurrissimi occhi. con la differenza che il paesaggio dei militari delle ss non era affatto "naturale", come essi credevano abbagliati dal riverbero dello stagno, in cui con purezza di cuore si riflettevano soddisfatti. ciò che appariva loro come natura, come stagno, come pura vita, era infatti frutto di una separazione anteriore, tracciata da quell'altro romolo germanico che fu adolf hitler. la disposizione aperta e fiduciosa di questi uomini puri, in un tempo massimamente impuro, si tradusse dunque nel colmo dell'impurità morale, non so se mi spiego. per questo, nel mio testo, io concludevo con un invito alla complessità e al discrimine razionale. perché in tempi impuri la purezza può essere solamente un traguardo, non una condizione naturale a cui abbandonarsi senza mediazione e filtri di pensiero. e ciò perché lo stagno, in questa epoca di subdoli romoli, non è affatto uno schermo cristallino, ma un labirinto melmoso da cui diffidare di continuo... (spero di essermi spigato meglio, con simpatia Tommaso)

    RispondiElimina
  6. ... è sempre piacevole leggere i tuoi commenti.Con l'affermazione "non è la sola lettura", non volevo sminuire il tuo discorso, ben argomentato tra l'altro.Semplicemente, volevo accostare a questa tua lettura un altro punto di vista: il mio. Ritengo, infatti, che non tutti i puri siano sprovvisti di una complessa grammatica interiore, e dunque facilmente manipolabili.Le persone più belle , colte, interessanti che ho avuto la fortuna d'incontrare nella mia vita, sono anche persone che hanno conservato un tratto infantile, puro nel loro modo di essere.Una purezza quasi naif che li rende partecipi dell'altrui mondo e dell'altrui vulnerabilità. Non è poco! Scrivi di Traguardo... Chissà?!? Non ho i tuoi sofisticati strumenti per argomentare, pur conoscendo la differenza tra doxa e episteme.Sulla presunta purezza del popolo ariano,Hannah Arendt, scrisse e parlò di "banalità". Con simpatia, mg

    RispondiElimina
  7. Ti sei spiegato benissimo. Forse ho interpretato in maniera troppo poco lata quel "descriversi" attribuito ai puri, intendendolo come riflessivo quando riflessivo non è. Per il resto d'altronde sono d'accordo con te, sebbene forse sia giusto (almeno in teoria) salvaguardare quel po' di purezza che (sempre in teoria) ristagnerebbe nel mondo, non foss'altro per consacrarla a ciò che di buono potrà germogliare in una lontana e non meglio definita "seconda età dell'oro", senz'altro molto di là da venire.
    Tommaso.

    RispondiElimina
  8. Mariagrazia, Tommaso, scusate se rispondo ancora con un certo ritardo ai vostri commenti, ma sono giorni in cui il mio accesso al pc è un poco problematico. provo comunque a definire ancora meglio il mio pensiero con un nuovo esempio preso sempre da Pasolini. in un'intervista televisiva, spero di ripescarla su youtube e di poterla postare, Pasolini, parlando della "grazia" (nozione assai vicina a quella di purezza), sosteneva che la grazia è una condizione che si accompagna a una condizione semi-primitiva, che poi viene corrotta da una cultura media, un pensiero medio, che nel caso specifico del suo tempo coincideva con una sorta di "nuovo fascismo" (è sempre il suo pensiero). dal momento che la grazia naturale e primitiva, quando esposta al nuovo fascismo della cultura piccolo borghese, non è più recuperabile, l'unico modo per sperare di attivare una condizione del genere è un altissimo grado di cultura. parole che trovano un correlativo nell'intervista di Pasolini a un Ezra Pound ormai vecchio e taciturno. ecco, quel tappeto di rughe e silenzi appare - dopo aver solcato tutto lo scibile letterario e culturale - in uno stato di grazia evidente. eppure Ezra Pound non è un puro, ha "sporcato" il suo pensiero in anni e anni di letture, si esercitato, forse non sempre con profitto, nella difficile arte della consapevolezza. ma adesso ha guadagnato la grazia non perché aderisce senza riserve al suo tempo e ai suoi miti, ma proprio perché è riuscito a distaccarsene radicalmente. se vogliamo dunque, non so quanto lecitamente, a riconvertire il termine grazia in purezza, vediamo ancora come in un tempo sgraziato è difficile essere puri. se non recuperando la proprio purezza proprio dentro una condizione ante-storica, o post-storica, che è la purezza del pensiero... (spero di essermi spiegato, per quanto non pretendo certo di essere nel vero, nel giusto, ma mi basterebbe uno scampolo di grazia)

    RispondiElimina
  9. La purezza del pensiero...ben detto.Ciao mg

    RispondiElimina