mercoledì 14 settembre 2011

Asprealina, o sul perché la realtà è reale ma non necessariamente vera


Leggendo l'affettuoso e lambiccato tira e mola verbale tra Gianni Vattimo Maurizio Ferraris sullo statuto filosofico del reale – esiste la realtà oppure è tutto, come voleva Nietzsche, interpretazione? – mi è venuta in mente una cosa magari anche un po’ scema. L’Aspirina.

L’Aspirina, sì.

Uno l’acquista, apre la confezione, legge le indicazioni su quel foglietto che chissà perché chiamano bugiardino (io un’idea ce l’avrei, ma lasciamo andare…), dove viene spiegato che l’Aspirina serve ad alleviare i sintomi del raffreddore, oppure per i dolori muscolari, come antipiretico e insomma funziona un po’ per questo un po’ quello. Funziona.

Poi, però, il nostro acquirente legge ancora più avanti e spesso anche più in piccolo, e decide di lasciar perdere e bersi un bel bicchierone di latte caldo con il miele. Siamo infatti arrivati alle precauzioni.

Ma che cosa sono, concretamente, le precauzioni?

A ben vedere le precauzioni non si preoccupano realmente di te, ma del signor Bayer che primo a battezzato quel semplice e geniale intruglio a base di acido acetilsalicilico. E infatti il tempo verbale con cui vengono coniugate le precauzioni, o più comunemente dette avvertenze, è il condizionale, a suggerire che ciò che qui compare non va certo preso alla lettera.

Effetti indesiderati: secchezza delle fauci; cefalea; disturbi dell'accomodazione: tachicardia; ulcera gastrica; narcolessia; emipistosi; trombolemmia; sfiatofonia... E potremmo continuare all'infinito, o almeno fino a supercapsula prematurata con scappellamento a destra come se fosse antani.

Chiamiamolo allora e semplicemente "il coccolone", come facevano i nostri nonni.

Già che lo sapevano anche i nostri nonni che non è vero – ma, attenzione, non è nemmeno falso – che se dopo un paio di starnuti prendi un'Aspirina poi ti viene il coccolone. Anzi, normalmente è vero il contrario. E cioè che l’Aspirina allevia i sintomi del raffreddore, i dolori muscolari e tutte quelle cose che ci stavano scritte prima, quando i caratteri erano più grandi, impavidi e sentenziosi.

La "verità" di un farmaco (il suo quid ontologico, direbbe un filosofo) sta dunque tutto in quella parolina: normalmente. Normalmente l’Aspirina ti fa bene, ma, insomma, vedi un po' tu: noi ti diciamo pure che eccezionalmente può farti male, e così ci pariamo il culo.

O detta altrimenti, l'effetto di una sostanza chimica sulla varietà biologica umana, non ha né può avere una fondazione stabile ed incontrovertibile, come ad esempio può assicurare un esperimento di meccanica replicabile nel tempo, nella diversità dei luoghi ma alle medesime condizioni. Per quanto venga chiamata scientifica, quella farmacologica non è quindi una verità certa, assicurata dall'esperienza o dal suo riflesso nella teoria.

Eppure, la maggior parte di noi sembra non farsi troppi problemi epistemologici, e ai primi sintomi di raffreddore discioglie in un bicchier d'acqua una pastiglia sfrigolante d'Aspirina. E ciò non perché l'umanità sia regredita allo stadio del pensiero magico, ma perché è ragionevolmente prevedibile che i propri sintomi ne abbiano sollievo, e che non ti venga il coccolone.

Per la chimica farmacologica la verità nasce dunque dal confronto tra un numero significativo di eventi casuali, che tendono a riproporsi seguendo un certo schema di probabilità, sul quale poi la statistica stabilisce dove mettere l’asticella: oltre una certa misura un effetto può essere ritenuto vero, sotto quella soglia invece possiamo tranquillamente valutarlo come falso, o tutt’al più come gentile elargizione di quell’altro e misterioso laboratorio chimico chiamato effetto Placebo.

Bene, a me non sembra tanto complicato. L’Aspirina in fondo funziona, da un punto di vista probabilistico è da ritenersi senza dubbio "vera", anche se io preferisco il termine reale. La realtà cade infatti sotto il dominio semantico dell'esperienza, mediata e compromessa a partire dei suoi presupposti fisico-quantistici, da quasi un secolo formalizzati nel principio di indeterminazione di Heisenberg, con il proprio osservatore. Ma già Kant e la tradizione filosofica continentale avevano intuito qualcosa di "costruito", o meglio ancora di umanamente partecipato, nella forma assunta dalla realtà attraverso i sensi che l'esperiscono.

Mentre la Verità, anche quando risistemata con l'abito arlecchinesco della statistica o della nuova fisica relazionale, risente ancora dell'imprimatur logico della certezza sillogistica e dell'eredità dello scetticismo filosofico, che come abbiamo visto sfuggono a quella roulette truccata costituita da ogni singolo e concreto evento. Ma in fondo è come ribadire, platonicamente, che quelle che scorgiamo nella caverna non sono le Idee, piuttosto la loro ombra impigliata in infinite e umane influenze.

Quindi, filosoficamente, ma anche nell'incognita variabilità dei casi: o la va o la spacca... E' sempre così, prima di ingollare un farmaco. Non c'è niente di vero.

Non è vero che un farmaco ti fa guarire, ma non è vero neppure che ti fa venire il coccolone. Si tratta sempre e solo di verosimiglianze. Ma è grazie anche alla verosimiglianza dell'Aspirina se la vita media è aumentata un po’ da tutte le parti, o almeno dove viene usata al posto dello sterco d’asina mescolato alle code di lucertola. Poi, però, ogni tanto, qualcuno si prende un'Aspirina così come un bambino prende distrattamente una lucertola per la coda, e insieme all’Aspirina gli viene il coccolone.

La chiamano sfiga, ma in effetti è l’altra faccia, o meglio l’ultima, quella piccina, di quel diadema unico ma infinitamente sfaccettato che è la Verità, e che ogni tanto riesce a scavarsi un varco e a raggiungere le sue più numerose consorelle, che hanno libero corso dentro la polimorfica e frantumata realtà della caverna. E ciò forse proprio perché c'è qualcosa come un accordo sul valore da assegnare a ogni singola ombra, cioè ancora sulla verità, questa volta però scritta con l'iniziale minuscola. Che è per l'appunto l'opzione filosofica postmoderna, qui sostenuta da Gianni Vattimo:

La verità umana è una interpretazione tra la tante, ma diversamente dalle altre è funzionale alla stabilizzazione delle strutture (simboliche, giuridiche, religiose ed economiche) del Potere.

L'interpretazione postmoderna però trascura, a mio giudizio, il fatto che per quanto non ci siano verità più vere di altre - dunque nemmeno la postmoderna -, esistono quelle verità verosimili a cui già abbiamo accennato, e cioè più frequenti o dove l'accordo umano è maggiormente solido e tenace. E questo non necessariamente per motivazioni connesse al dominio e alla volontà di potenza, ma per qualche "callosità" nell'oscillazione ideale dell'ombra, chiamiamola così, in quei punti più resistente agli assalti di una psiche onirica e desiderante.

Ed è allora proprio su quei punti di resistenza che guadagna spazio la ragione. La quale, sulla scorta di un minimo appiglio di realtà, può divenire concertante, ossia realmente e compiutamente democratica.

Del funzionamento dell'Aspirina bisogna infatti prenderne semplicemente atto, non c'è nulla da concertare. Ma il suo modello probabilistico - Ferraris lo chiama "realismo modesto", che è un po' come la sorpresa nell'uovo di Pasqua: qualcosa c'è, ma non sai esattamente cosa... - il suo modello può fornire la base proprio alla concertazione politica, prima ancora che filosofica, non so se mi spiego.

Ad esempio uno si alza una mattina e afferma: "Vi offro un milione di posti di lavoro". Così che gli altri, dopo essersi presi un'Aspirina per alleviare i sintomi delle risate, sono nelle condizioni di rispondergli: " Ok, spiegami quante probabilità hai di farlo, e in che modo e al prezzo di quanti coccoloni." Ma soprattutto, dopo aver rotto l'uovo la mattina di Pasqua, sono in grado di intimargli: "Questa non è la sorpresa che ci avevi promesso, dove è il milione di posti di lavoro che doveva starci dentro? Adesso o ci cambi l'uovo o te ne vai!"

Come si può vedere, non sempre il realismo (specie quello modesto) è funzionale alle logiche conservative del Potere.

Ricapitolando. Per il signor Bayer e per i suoi fortunati eredi, la loro candida e miracolosa pasticchetta non è concettualmente superiore allo sterco d'asina mescolato con code di lucertola. Ma funziona. E' il principio della techné, spesso aborrito proprio da certa filosofia novecentesca, che però avrebbe qui occasione per riappropriarsene in un senso democratico e costruttivo. Infatti, se è più probabile che prendendo l'Aspirina ti passi il raffreddore, sarà allora anche più probabile che una proposta politica argomentata con gli stessi criteri di persuasività pragmatica, abbia successo sull'ingannevole millanteria.

La concertazione democratica nasce infatti da un confronto tra interpretazioni alternative, spesso è una danza di ombre, questo è risaputo. Ma ciò che distingue il confronto dallo scontro è proprio quell'elemento discriminate che sta alla base del giudizio, e che leva all'ombra non la sua natura fantasmatica - desiderio e paura, in sintesi - ma di impermeabilità paradossale. Fissandola quindi a una sorta di coerenza formale: queste sono la tua forma e le tue parole, e adesso ne verifichiamo le corrispondenze, gli effetti, se non assoluti almeno più comuni. E dunque, superando qualche imbarazzo filologico, possiamo senz'altro e perfino con orgoglio chiamare tale fissazione realtà.

Sì, un po' più di realtà sarebbe forse l'unico antidoto a questo diffuso reificarsi dei sogni, degli altri, in incubi nostri.

Ammesso che ci si ricordi che un'ombra resta un'ombra, e che una cosa reale non è perciò stesso vera, né tanto meno "più vera" di una così improbabile da non essersi ancora verificata. E allora, se proprio Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris hanno deciso di dare un nome filosofico a questa cosa qui, io gli propongo di chiamarla ontologia farmacologica. O più semplicemente e comunemente: Asprealina.

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