lunedì 16 novembre 2009

Tra poesia e poetico 2


(Sempre sul tema di poesia e poetico, da Tellusfolio pubblico una mia risposta a Maeba Sciutti. L'intero scambio dei commenti si può trovare qui, mentre il testo di partenza qui.)

maeba e stefano, intanto buon giorno e ben trovati.

con un certo imbarazzo vi confesso che il mio intervento a cui trovo in calce i vostri commenti, nasce, a sua volta, come post al testo di maeba sciutti. è dunque solo grazie alla compiacente attenzione della redazione di TF, e qui li ringrazio, che con un certo stupore ho ritrovato le mie parole in forma autonoma, come un palloncino che si sia staccato dalla mano. provando a riacciuffare quel filo, così di impulso mi verrebbe da aggiungere:

- hai ragione maeba, o perlomeno io la penso come te. venuti meno i vincoli formali della tradizione, la linea di discrimine tra poesia ed altre scritture può essere individuata proprio dentro l’individualità della visione; o dentro qualcosa di ancora più “profondo”, che più che all’estrinsecità dell’organo visivo io paragonerei al sistema digerente: la poesia come scomposizione e assimilazione di uno o più mondi da parte del soggetto

- a tale opera di scomposizione e assimilazione, ne succede però una di segno uguale e contrario: la rigenerazione. è come se il poeta incarnasse la figura della lupa mitologica. la lupa che assale e divora ogni cosa che incontra; ma anche allatta i due gemelli, restituisce dentro la lingua i suoi saccheggi.

- come sempre maeba suggeriva, il gesto poetico è in ogni caso irriducibile alla comunità, almeno nel suo farsi. da questo punto di vista un altro riferimento mitologico – trascurando quelli più ovvi (e secondo me anche fuorvianti) di apollo ed ermes ed orfeo – potrebbe essere quello di antigone. antigone che oppone la legge del cuore a quella della polis.

- ma di chi è il cuore? il cuore è di chi “ha cuore”, semplice. cioè di chi sente, di chi fa esperienza delle cose attraverso un corpo vivo e palpitante. ecco allora il poeta che batte e ribatte il suo tamburo, per usare una bella immagine da una canzone di lou reed (lou reed che è stato un poeta, ricordiamolo, prima ancora che un cantante).

- da questa peculiare prospettiva, si delinea anche un'ulteriore e possibile linea di discriminazione tra poetico e romanzesco e filosofico. infatti nella parola filosofica non c’è un corpo che sperimenta il mondo, ma solo una voce astratta, una "res cogitans" – o almeno non c’era fino a certi esiti della filosofia francese e tardo novecentesca, o del pensiero della differenza.

- nella filosofia abbiamo un’entità astratta che parla, che parla d’altri e mai di sé: voce monocorde che declina il “loro”. nel romanzo abbiamo invece una polifonia di voci che fanno esperienza del mondo, le potremmo riassumere nel pronome “noi”. infine la poesia, che sempre assume la prospettiva di un “io”. (ed è interessante il fatto che questo io, quando anche plurale come lo sciame di api nell'opera poetica di andrea roas, diventa un io corale, ma pur sempre un io.)

- per ricapitolare, da un punto di vista cognitivo io vedo delinearsi queste 3 figure: loro (filosofia); noi (romanzo); io (poesia).

- ma la cosa a mio avviso davvero interessante della poesia contemporanea, è che la sua energia centripeta dentro un io, un corpo irriducibile alla moltitudine delle voci, è stata così violenta e definitiva da dissolvere spesso la sua unica premessa. trasformandosi in un io senza più io, un io sperduto nel non-io.

- da qui montale che pronuncia la sua celebre dichiarazione di resa al mondo:

“codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo."

- o ancora più radicale è milo de angelis, quando conclude sconsolato:

“se ti tolgono ciò che non è tuo / non ti rimane niente.”

- e così, provvisoriamente, il talento poetico è per me un “talento digestivo”, uno sminuzzare il mondo attraverso minuscoli enzimi verbali. per restituire infine quello stesso mondo fatto a pezzi attraverso due possibili figure di sintesi: la cacca oppure il latte, per allevare un nuovo mondo.

ps – possiamo abbattere gli schemi, mi chiedi maeba. sì, certo che lo possiamo fare: possiamo fare quel che vogliamo. in fondo abbiamo montagne di letame con cui costruire le nostre cattedrali. ma anche qualche goccia di preziosissimo latte, con cui annaffiarle.

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