sabato 14 novembre 2009

Omosessuali, gay, finocchi o froci…? Meditazione inattuale di un fascista astrale


Sipario alzato. Arrivo dal Libraccio con una copia dell’ultimo romanzo di Diego De Silva, ciondolando su Via Andreoli verso l’automobile parcheggiata in piazza Alfieri, di fronte alla fermata del passante ferroviario. Sul marciapiede vengo sorpassato da due ragazzi sui vent’anni: scarpe a punta con fibbione di metallo; pantaloni attillati di velluto liscio; gambe lunghe e sottili; uno indossa un cappelletto verde e trendy, da cantante pop inglese. Sento che parlano con voce inacidita di un loro conoscente. Ne parlano malissimo.
Mi basta il colpo d’occhio per pensarlo: finocchi.
Poi mi pento subito del mio pensiero. Finocchi è un termine spregiativo, volgare. Correggo dunque nel più neutrale gay, devono essere una coppia di amici gay. Ma anche qui, ritiro presto la battuta dal mio teatro mentale. Gay significa gaio, spensierato; mentre i due stanno nuotando nel veleno più nero, che si scioglie infine nei loro giudizi. Tutto meno che gai, a me sembrano.
Viro dunque verso un sostantivo più “tecnico”, omosessuali. Ma ancora non sono convinto, continuo a sentirmi un cialtrone… Omosessuale si riferisce infatti al gesto estrinseco di chi pratichi sesso con un suo omologo. E che cavolo ne so io – e che me ne importa, soprattutto – degli interlocutori negli amplessi dei due ragazzi!
Mi pongo allora una questione. Come ho potuto, con quale facilità, assegnare un’etichetta così semplice e avventata (e anche offensiva) a chi mi superava in via Andreoli?
Eppure l’ho fatto, è possibile: lo facciamo tutti. Esistono atteggiamenti, posture, modi di abbigliarsi e accordi della voce, che vanno a costituire delle precise costellazioni dentro la mente. Un insieme di eventi che si verificano spesso in concomitanza. Ad esempio se a una persona piacciono le armi, indossa giacconi mimetici e stivali texani, è amante delle arti marziali e del pugilato, di solito è anche un po’ fascista. L’unica eccezione che finora ho trovato a questa costellazione sono io, che amo le armi, gli indumenti militari, gli sport violenti ma non sono fascista. Al contrario.
Cosa sono dunque questi processi associativi che per comodità ho chiamato costellazioni? Riflettendoci, perso nel mio deambulare per via Andreoli (il libro di de Silva che a tratti pencola dal tascone della mimetica, come un cucciolo di canguro che abbia smania di prateria) riflettendoci arrivo a sospettare che queste costellazioni dentro cui forziamo la realtà esterna, non esprimano tanto i fatti nel loro neutro manifestarsi, quanto qualcosa come un'inalienabile forma di organizzazione dell’esperienza: sia interna (gusti, atteggiamenti) sia esterna (giudizi, spesso affrettati), che trova infine sbocco nel linguaggio. O come direbbe uno studioso della lingua: un idioma non è mai innocente, sintetizzando il vissuto dentro le strutture mobili del desiderio e dell'occorrenza statistica.
Ma torniamo all’esempio dell’omosessualità. L’omosessualità è una prassi, è fuori dubbio. E’ il gesto concreto di chi accosti con intenzione il suo corpo a quello di una persona dello stesso sesso. Punto.
L’eros, il desiderio, sono invece qualcosa di completamente diverso. Il desiderio, in altre parole, non procede per scelte esclusive come quelle a cui l'azione costringe (non si può fare e non fare allo stesso tempo) ma per associazioni tra esperienze analoghe, andando così a costituirsi in modalità molto simili a ciò che ho appena chiamato costellazione.
Credo dunque che quel che affiora nei gesti e modi di essere delle persone, si richiami più alle strutture interne del desiderio, alle modalità di organizzare l’esperienza dentro forme comuni se non addirittura imitative - sulla natura imitativa del desiderio esistono pagine illuminati di René Girard - , che non alle loro scelte consapevoli e ai loro comportamenti sorvegliati; per quanto nel sesso di sorvegliato ci sia ben poco. Io sono l’esempio concreto di un tipico fascista per quanto riguarda le strutture del desiderio, pur avendo per tutta la vita scarabocchiato il mio voto - consapevole e intenzionato - per partiti di sinistra. Uno con troppi pianeti sotto il dominio di Marte, forse solo questo. Un fascista astrale!
Trovo addirittura che questa sovrapposizione tra pratica concreta e atteggiamento mentale contenga qualcosa di ingannevole, di pericoloso. Ho conosciuto omosessuali estremamente virili; come ad esempio lo erano Pasolini o Marlon Brando o Alessandro Magno. Mentre ci sono altrettanti “finocchi” – persone che appartengono a questa costellazione in cui si manifesta una superfetazione del femminile più corrivo e teatralizzato, potremmo chiamarli anche “checche” – i quali hanno una sessualità convintamente eterosessuale.
Bisogna concludere, come fanno certi psicanalisti, che tali persone vivono nell’errore perché non hanno ancora scoperto – individuato - la loro "vera natura"? A me onestamente sembrano un po’ fesserie, quando si sa che noi fascisti astrali tendiamo a guardare le avventure ermeneutiche della psicologia con la stessa diffidenza con cui guardiamo alle checche, stimando moltissimo alcuni omosessuali. Non credo insomma che il desiderio sia desiderio di fare, quanto piuttosto di essere tra le cose, di esistere in un certo modo - di essere "in sé e per sé", per utilizzare una stropicciata formulazione filosofica. Semmai cercando, attraverso il gesto di autotrascenderci, di ratificare l'immagine mentale. Conferma che può però essere ottenuta anche tramite percorsi interni che prescindono dall'azione, in quella polvere di stelle che chiamiamo coscienza.
Ricaccio ora il mio cangurino nel marsupio della mimetica e provvisoriamente concludo che, da bravo fascista astrale, continuerò a chiamare finocchi i "finocchi" - ma solo nel mio teatrino silenzioso -, a indossare quegli indumenti per cui mia mamma ancora si vergogna, commuovendomi di fronte all’ottavo round dell’incontro tra Mohammed Ali e George Foreman. Il tutto confidando senza esitazione nell'idea di un socialismo consapevole e libertario, soprattutto nel desiderare. Certo che l'eros faccia tana sotto il nume di costellazioni ben più alte della mano che cerca di grattarle, e fortunatamente ignote anche ai nostri piccoli gesti.

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