martedì 17 novembre 2009

Viva Baricco abbasso Baricco, o della differenza tra pensiero critico e reattività del branco


Provo a circoscrivere subito il tema, che sarebbe forse: le categorie del giudizio al tempo di Facebook.
Ma anche le nuove forme di appartenenza ed esclusione; l’appannarsi di un pensiero critico; la finta democrazia delle opinioni
Insomma, questa volta il tema è davvero Il tema.
Per accostarlo e meglio definirlo, credo che convenga però partire da un paio di esempi. E da una premessa.
Da poco tempo ho iniziato a frequentare Facebook. Dentro questo luogo di parole che con enfasi vengono definite “libere”, con scettica curiosità ho partecipato ad alcuni forum di discussione. Considero questi miei interventi come dei veri e propri collaudi linguistici e antropologici, per altro non voluti e alla fine anche frustranti. Proverò a darne conto con lo stupore di un neofita, affidandomi ai due esempi anticipati.
Tra i mie contatti in Facebook c’è una poetessa piuttosto brava – piuttosto è un aggettivo che non mi piace e che cerco di evitare, ma nel caso mi sembra il più adatto a definire una condizione che mi appare come di incertezza: potrebbe essere o diventare anche molto brava, oppure rivelarsi come una fregatura, un prodotto culturale in sintonia con quella provocazione programmatica tanto in voga (le foto nuda con gli anfibi, teatralizzazione di un aristocratico disincanto, soprattutto erotico e sentimentale). Ma questo è un limite mio di canonizzazione del presente e insomma bon, questa poetessa piuttosto brava e molto bionda è tra i miei contatti su Facebook. La leggo, ne traguardo i pensieri.
Nei giorni scorsi riporta nella sua bacheca un articolo di Massimiliano Parente, uno scrittore che pure considero bravo per quanto vagamente antipatico (ma la simpatia non è uno dei compiti statutari di uno scrittore), un articolo pubblicato su “il Giornale” del 12 novembre 2009. Il tema è l’ultimo romanzo di Baricco, Emmaus, Feltrinelli 2009.
Dopo una lunga prolusione in cui viene sarcasticamente inquadrata la biografia intellettuale di Baricco (con qualche buona pennellata, bisogna riconoscere), Parente comincia a strutturare la sua proposta critica. Che lui stesso riassume a questo modo: “il baricchismo appartiene al genere Narrativa Per Adulti Scritta Come Se Fossero Bambini. È un trucco che funziona sempre, intellettualmente e sintatticamente, con tantissimi precedenti. Devi scrivere del Sessantotto ma scriveresti un libro banale? Scrivi Lettera a mio figlio sul Sessantotto. Devi scrivere dell’aborto? Scrivi Lettera a un bambino mai nato, parlando direttamente al feto. In ambito narrativo non ne parliamo, la strada è stata battuta e ribattuta da Aldo Nove, Simona Vinci, Niccolò Ammaniti, Melisse e Pulsatille e Ciabatti, fino ai romanzi di Veltroni e di Franceschini, aspettando che si mettano a scrivere anche Marino e Bersani ...”
Bene, data questa premessa – che almeno in parte condivido - secondo me sarebbe ora interessante capire come invece si dovrebbe scrivere; già che così, come un bambino, secondo Parente non si scrive. Oppure si potrebbe cercare di capire perché attraverso questa postura accattivante – accattivante mi sembra un aggettivo utile a inquadrare tutta l’opera di Baricco – attraverso questa postura e questo stile il tema risulti mancato; tema che con buona semplificazione potremmo riassumere in verità e menzogna, nel conflitto tra bene e male oppure nella purezza, che al centro di quel conflitto può sorgere come una rosa in un orinatoio (tutta l’opera di Baricco è sottilmente attraversata da queste ossessioni, per altro comuni all'intero genere romanzesco, dalla sua genesi tardo rinascimentale in poi).
Parente retrocede invece dalla sue lucide premesse, sostando solamente sull'uscio di ciò che rappresenta un'autentica esplorazione critica: cercare corrispondenze tra assunti teorici e strategie concrete, messe in scena verbali. Il chiamare in causa altri autori, rende ancora più generico e spuntato il suo discorso, più confuso. Aldo Nove e Simona Vinci fanno ricorso a tecniche di imitazione del parlato infantile, se non dell’anacoluto vero e proprio, con intenzioni narrative assai diverse: tra loro e anche da Baricco. Siamo insomma al cospetto di gesti letterari profondamente diversi, per quanto accomunati da una resa formale con tratti convergenti. Per intenderci e in modo ancora più esplicito, se non brutale: un trans rimorchiato su viale Monza applicherà alla tua carne lo stesso proposito, lo stesso "gesto tecnico" potremo dire, della fidanzata che hai promesso di sposare, quando vi attardate in macchina sotto casa di lei. Ma immagino che, nella testa delle due "donne", la sostanza emotiva di quel medesimo agire sia completamente diversa.
Per l’insieme delle ragioni che qui ho cercato di riassumere, considero l'articolo di Parente, scintillante sul piano stilistico, appannato proprio nel suo slancio critico: non riesce a penetrare il suo oggetto trovandovi corrispondenza con la vita; o anche solo, e più modestamente, con quella sottovita che è la letteratura. Ma riporto ora i commenti che si trovano sotto il post della poetessa piuttosto brava e molto bionda, tra cui anche il mio. Li riporto senza alcuna interferenza:

1) Mary Barbara T. (poetessa bionda)
merita. leggetelo.
12 novembre alle ore 18.09

2) Vittorio C.
Letto e ora condivido
12 novembre alle ore 18.22

3) Roberto C.
sono un osservatore attento dell'uso del lessico che si fa sui quotidiani di battaglia. sempre parlando di letteratura, i "cagacazzi" della quint'ultima riga fanno un bel paio con la "ministronza". possiamo dire che che è un lessico ...muscoloso? il maestro, del resto, è feltrusconi, dal vasto immaginario escrementizio, che ha fatto tanti proseliti. la ricordate la cacca sul ventilatore? meglio di kubrick.

4) Massimo M.
Roberto, sono d'accordo, però il pezzo vale. Baricco è nauseabondo.
12 novembre alle ore 21.18

5) Mary Barbara T.
c'è anche poi l'ipotesi che con le parolacce si possono costruire anche dei capolavori (da aretino a houellebeq passando per sade) e che da un lessico forbito può fuoriuscire tanta mediocre volgarità. se vogliamo prendercela con il cuoco, facciamolo non per gli ingredienti che usa ma per il modo in cui li cucina.

6) Massimo M.
assolutamente sì
13 novembre alle ore 8.30

7) Massimo M.
c'è un termine - usato anche nella valutazione di certi vini da meditazione - che ben si addice alla "mediocre volgarità": "stucchevole"

8) Roberto C.
ehehe, ma voi volate alto. io parlavo solo di cacca e letteratura.
13 novembre alle ore 10.20

9) Mary Barbara T.
no roberto. tu parlavi solo di cacca e ideologia, e con la letteratura c'entra assai poco. la solita tiritera del noi siamo, noi crediamo, noi capiamo. beati voi.
13 novembre alle ore 11.59

10) Carla S.
Beati loro davvero. A loro basta portarsi la mano sulla testa e mangiare una umile frisella.
13 novembre alle ore 12.30

11) Mary Barbara T.
effettivamente con l'umile frisella il senso di provocazione stenta. naturalmente non sto più parlando della roba qui sopra. mi fai pensare a una cosa, che agli uni piace il senso critico e agli altri il senso della provocazione. mica ho capito cosa funziona meglio, in letteratura, anche se a guardare chi l'ha fatta, intendo pound, proust, borges etc...pare che la provocazione abbia la meglio. è come se la provocazione contenesse l'aspetto critico. ma non è detto che il senso critico contenga la provocazione. suppongo sia tutta una questione di rischio.
13 novembre alle ore 12.58

12) Massimo M.
Mary, secondo me non è possibile fare della letteratura senza giocarsi la propria idea del mondo. E' una credenza, quella di poter fuggire le proprie "linee di fuga" (per dirla alla Deleuze). Prima che narratori siamo anzitutto viventi, mimi ed interpreti, e lettori. E' naturale - è sano - chiedersi "di cosa stiamo parlando?"
13 novembre alle ore 13.58

13) Mary Barbara T.
e chi dice il contrario?
13 novembre alle ore 14.19

14) Riccardo F.
In effetti, se certa gente esercitasse un po' di senso critico sulle proprie pulsioni, eviterebbe tante provocazioni delle quali francamente non si sente la necessità.
13 novembre alle ore 16.14

15) Guido Hauser
provo a suggerire un punto di vista alternativo. ora a me non sembra che sia un problema scrivere come un bambino di 5 anni piuttosto che scrivere cagacazzi, ministronza o porcoddio. sarei invece curioso di sapere se, con quella scrittura da cinquenne o da ministronza o da scaricatore di porto, tu riesci a illuminare un aspetto del reale altrimenti oscurato. aldo nove, citato nell'articolo di parente, attraverso i suoi anacoluti infantili mi sembra che abbia ottenuto qualche risultato non disprezzabile; o almeno io non liquiderei aldo nove con la stessa sbrigativa sufficienza di parente. poi magari baricco è pura merda, ok. ma siamo sicuri che le scelte linguistiche di un moresco, mettiamo, sarebbero state più adeguate per rischiarare la materia tematica che baricco (o aldo nove o simona vinci o che ne so) cerca di penetrare?
Sab alle 14.00

16) Mary Barbara T.
scusi Hauser, mi par chiaro che le cose che si raccontano son sempre le stesse (scusi sa, dopo "l'essere è e il non essere non è" ho la vaga impressione che non si sia inventato più un cazzo). quindi ritengo forse un attimino fondamentale il come le cose (sempre le stesse, appunto) vengano dette.
Dom alle 10.19

17) Guido Hauser
scusi mary barbara, ma il "mi par chiaro" della sua premessa a me non pare affatto chiaro. ricordo un bel saggio di pontiggia in cui smontava proprio questo "mi par chiaro", con buoni argomenti sostenendo un "mi par chiaro" di segno contrario. le cose raccontate, ma narrate per davvero, sono per pontiggia proprio quelle nuove; o almeno a uno scrittore non dovrebbe mai mancare questa fiducia, come a un cercatore d'oro. così, per inciso, quando aldo busi parla dell'eros, anche a me "par chiaro" che non solo ne parla in modo diverso da shakespeare che ne parlava in modo diverso da petrarca che ne parlava in modo diverso da saffo e così via, ma che è proprio "la cosa" di cui parlano, l'eros, a essere diversa. insinua allora pontiggia: anche le cose mutano dentro lo sguardo, non solo lo stile, il modo con cui le restituiamo dentro i minuscoli specchi della lingua. detto ciò, questo è il "mi par chiaro" di pontiggia, mary barbara t. ha un suo "mi par chiaro" e io vorrei farmi un po' i cazzi miei, almeno su questa questione. semplicemente volevo aggiungere che, se rileggi le poche righe che ho scritto, dicevo esattamente il contrario di quanto tacitamente mi attribuisci; una certa ingenuità campagnola e sospirosa, diciamo così ("scusi hauser", "dopo l'essere è.." "un attimo fondamentale", "mi par chiaro" .. è il modo in cui ci si rivolge a un imbecille, diciamola tutta). quando, seppure con altre e affrettate sfumature, mi pare (mi par chiaro) che ora stiamo dicendo la stessa cosa. ossia che è necessaria una lingua adeguata - un modo, uno stile, una forma .. chiamala come vuoi - per scrivere certe cose piuttosto che altre. semmai io proponevo l'idea che le cose da dirsi - stesse o meno - son più d'una. e con tutta probabilità anche i linguaggi con cui restituirle sono fortunatamente molteplici. quando non è detto che la bella lingua di moresco (che io pure amo moltissimo) sia l'involucro più adatto per impacchettare le madeleine dagli anni ottanta di aldo nove, o il sottomondo infantile della vinci. insomma, prima di preoccuparsi del "come dire", credo che ci si dovrebbe chiedere: "come dire cosa?" (ecco, a me pareva che nell'articolo di parente, da cui abbiamo preso avvio, non fosse contenuta una risposta adeguata a questa domanda)
Dom alle 11.40

18) Mary Barbara T.
capisco
Ieri alle 0.15

19) Anna C:
io no
3 ore fa

Dello scambio che ho testualmente riportato, secondo me sono decisivi alcuni passaggi. Intanto il consenso immediato che viene accordato a qualsiasi giudizio critico su Baricco; come se la figura retorica dell’antitesi, al tempo di Facebook, si stesse rivelando un formidabile catalizzatore del consenso. E’ l’inveramento del “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” di Montale.
Baricco è belloccio è piacione scrive semplice e ammiccante come un ragazzino, e per opposizione io divento qualcosa: uno a cui Baricco fa schifo. O meglio mi riconosco in un insieme di persone che fischia il suo buuu, Baricco pussa via, paraculo, sei nauseabondo ... E questo no collettivo diventa il timido principio di un . Insomma, dentro una logica puramente oppositiva si fa comunità, si fa gruppo o meglio ancora branco. Se non ancora "io".
Al terzo commento, quello di Roberto C., abbiamo però una prima voce in lieve seppur ironico disaccordo. Ed è interessantissimo quanto consegue al commento 10 di Carla C. (che è un’altra poetessa piuttosto brava), quando in lei si allerta qualcosa come un sistema immunitario plurale, una flottiglia di globuli rossi che fanno sibilare in aria le spade. Un primo avvertimento, un colpo in aria.
Roberto C. viene così individuato da Carla quale virus che minaccia la comunità del dissenso, e subito ricollocato dentro al pronome loro: “beati loro davvero. A loro basta portarsi la mano sulla testa e mangiare una umile frisella”.
Non c'è stato scontro, bene. E' bastata la misura del patetico, della compassionevole complicità tra adulti che la sanno lunga, grazie alle loro buone letture, per immunizzare il corpo estraneo; che infatti sparisce dalla conversazione, si eclissa.
Un capolavoro di pensiero aporetico, dunque quello di Carla C. Nel senso che “noi” - noi che non leggiamo Baricco, noi che non ci facciamo abbindolare dall’ideologia, soprattutto quella insidiosa della semplicità (“l’umile frisella”) - noi siamo quelli che non hanno alcuna certezza di sorta. Ma paradossalmente il non averne, il non avere un io corazzato dentro il pregiudizio ideologico, rende così solido e inattaccabile il fortino. Un'arma segreta e invincibile con cinque P: Pronome Personale di Prima Persona Plurale.
Oppure ancora una sola enne: Noi.
In una logica insiemistica, questo noi concavo e svuotato dai cascami ottocenteschi di un soggetto saturo di anima e di viscere - di tradizione -, potremmo considerarlo come l’insieme degli io senza io. Che è pur sempre un insieme, un’identità collettiva o un meglio di niente, perdio!
Ed è con la stessa strategia anticorpale che il gruppo si difende bruscamente anche dal primo intervento dissonante di Guido Hauser, il commento numero 15. A cui segue la definitiva liquidazione da parte della poetessa bionda - e piuttosto brava - che è anche la tenutaria della bacheca da cui tutto è cominciato. Si sente così in dovere di fare anche i disonori di casa, di allontanare l'ospite sgradito. Basta una sola parola: "capisco".
Infatti ormai è chiaro, come lei sottolinea con uguale espressione, che io sono un nuovo virus da espungere, allo stesso modo in già è stato liquidato Roberto C. Un capisco simile a quello che si risponderebbe a chi ti abbia appena rivelato di avere le ragadi anali, un figlio handicappato e frocio, il gatto finito sotto al treno; e frocio pure il gatto, già che ci siamo. Poi c’è anche chi infine "non capisce", ma è l’altra faccia della stessa logica di esclusione.
Morale della favola: Baricco merda. E così sia.

Passiamo ora all’intervento di Fulvio Abbate. Che è uno scrittore e una persona che io stimo moltissimo, senza alcun se ma o piuttosto. Però, nella circostanza, aveva appena pubblicato su Teledurruti un intervento che io trovo particolarmente fiacco. Non ne anticipo le ragioni, che mi pare emergano con sufficiente chiarezza dai commenti, se non che si parlava della possibilità che a Walter Veltroni venga assegnato il prossimo premio Strega:

1) Dario M.
Geniale!
Dom alle 16.47

2) Maddalena B.
Eccellente.
Dom alle 17.31

3) Giacomo C.
Grande Fulvio!
Dom alle 17.59

4) Antonio D'A.
ciao Fulvio! una curiosità .... ma c'è qualcuno che compra ancora l'unità??!! quante copie vende ? io lo comprato di recente per curiosità e l'ho trovato un oggetto ridicolo! piatto , piccolo , svuotato di rabbia! ciao
Dom alle 18.11

5) Lino M.
Totalmente d'accordo
Dom alle 18.15

6) Francesco C.
Prima di vedere il video ti dico: Spero tu stia scherzando!!!
Dom alle 18.26

7) Francesco C.
Infatti. Sei grande, Fulvio. Ma davvero ti pagavano 60.000 lire a pezzo? Mia moglie è convinta che con la scrittura si guadagna... eccola servita.
Dom alle 18.35

8) Filippo B.
L'ho letto, è un libro eccezionale! "Noi" di Walter Veltroni? No, La pelle di Curzio Malaparte.
Dom alle 21.06

9) Filippo B.
Vorrei dire agli scrittori, ai pittori, ai cantanti, ai registi: basta con le saghe familiari intergenerazionali!
Dom alle 21.08

10) Gerardo De R.
L'ex leader della parte avversa al PDL farebbe del bene all'umanità se eremitasse in un piccolo polveroso villaggio africano... temo però che gli piacciono troppo le comodità, la buona tavola, le comparsate in tv e lo stipendio da parlamentare con privilegi annessi. Ah!... vederlo con il cappellino fatto con le pagine dei suoi "libri" a costruire scuole per i bimbi negri... E invece leggeremo delle sue cene in qualche villla inaccessibile sull'Appia Antica, come a Piazza di Spagna, tutti insieme appassionatamente "destra" e "sinistra" a magna'...Ciao Silvio, ciao Gianfranco, ciao Pierferdinando, ciao Pierluigi, ciao Uolter...
Ieri alle 8.47

11) Guido Hauser
fulvio, c'è una cosa che non torna nemmeno nel tuo discorso, te lo dico con simpatia. o meglio una domanda: il libro di veltroni è bello o brutto? perché risentendo anche i tuoi precedenti interventi, non parli mai delle specifiche qualità, cioè naturalmente anche dei limiti di quel testo. sembra addirittura che il libro non esista, che sia un dettaglio privo di importanza. se non avessimo di te altra esperienza, parrebbe addirittura tu ti sia allineato a quelle logiche da sociologia della cultura, giochi di potere, riverberi emotivi e dell'interesse privato in luogo pubblico, verso cui si protende bellicoso il basco del tuo durruti. aggiungi infatti che non voterai veltroni perché ha trasformato l'opposizione politica in una musichetta leggera (per ceti medi); o perché è il tacito mandante delle vigliaccate di concita de gregorio; o ancora per via che lui stesso ti pagava solo 60.000 lire, all'unità - e per inciso: potevi anche rifiutarle, le 60.000 lire di walter. diversamente lo voteranno (lo voterebbero) veronesi e riccarelli, che da veltroni hanno avuto beneficio. ora, da un punto di vista strettamente logico, è interessante notare come la dinamica cognitiva alla base del (presunto) voto di riccarelli e veronesi, chiamiamola così, sarebbe specularmente omologa alla tua, cambiando solo di segno ma non di prospettiva. infatti voi tutti voterete (votereste) sulla base di elementi assolutamente estrinseci alle qualità letterarie del testo: tu sulla pungente spinta del rancore (principio oppositivo), veronesi e riccarelli sospinti dalla dolce brezza della riconoscenza (principio analogico). ma se è vero che la logica ha una sua implicazione morale, una ricaduta nella prassi, davvero si fa fatica a capire in cosa eventualmente ti distingui da riccarelli e veronesi..
Ieri alle 22.35

12) Francesco C.
Il libro di Veltroni è brutto.
Ieri alle 22.47

13) Zio Bernardo T.
probabilmente fulvio si distingue per il fatto che sia caduto dal lato giusto del giudizio, a prescindere dalla prospettiva, nei confronti del prete mancato leccaculista e rovinafamiglie valtere... gli altri che avete citato, nella loro presa di posizione, sono stati piu' sfortunati e hanno preso un granchio.
8 ore fa

14) Guido Hauser
onestamente e senza offesa, ma credo che il "probabilmente" di zio bernardo c'entri davvero poco. io mi riferivo a un problema di merito del giudizio, non di merito oggettivo. con ciò intendo che un magistrato può anche decidere se l'imputato è innocente lanciando la monetina: testa o croce. nel caso, non discuto, mi è cioè indifferente, fulvio potrebbe anche aver azzeccato il lato giusto della monetina. rimane il fatto che nello specifico (e ribadisco "specifico") il tema sollevato dallo stesso abbate è proprio il "merito del giudizio". alcuni giurati dello strega potrebbero esprimersi sulla base di un merito non specifico ma di vincolo personale (la riconoscenza), quando lui stesso dichiara di voler fare esattamente lo stesso: sulla base di un merito non letterario ma, nella migliore delle ipotesi, politico-esistenziale.. (cavolo, ma è così difficile far passare quest'idea: in fin dei conti ai giurati di miss italia si chiede di riconoscere la topa!)
7 ore fa

15) Zio Bernardo T.
anche il mio intervento era ironico, e credo che se veltroni avesse scritto un capolavoro, il buon abbate non avrebbe fatto fatica a riconoscerglielo.
Aggiungo che l'ironica premessa fosse lo scarso valore - l'appiattimento, la narcolessia - della cultura italiana al giorno d'oggi, quindi che un giudizio di merito sul romanzo fosse gia' stato formulato. giudizio che probabilmente non valeva la pena di essere esplicitato. Forse per pudore, intelligenza, per evitare una forma di accanimento.
Quindi lo sfogo delle sessantamila ci sta benissimo, visto che magari, rovinati come siamo e grazie facce di bronzo guidate da favori clientelari ben piu' indicibili, veltrone tra i suoi premi di "consolazione", lo strega e' capace di portarlo via davvero...
6 ore fa

Ecco, di questo scambio la cosa veramente interessante a me sembra questa: ad Abbate viene ormai accordato un consenso preventivo, quale quello che si assegna a una rock star, a un calciatore, un belloccio televisivo con molti boccoli neri. I geniale, gli eccellente, i grande Fulvio, stanno così a sottolineare più che lo specifico merito del discorso, il grado di intimità (presunta) che attraverso internet si stabilisce.
Abbate ogni tanto risponde ai lettori – con me non l’ha fatto, non escludo però che possa farlo in futuro – ma sempre in forma sbrigativa e sintetica. Non voglio contestare questa elusione, intendiamoci, che rischia di condurre a sterili forme di dissipazione verbale - il mio spendermi su Facebook si è rivelato completamente dissipativo, anche umanamente.Vorrei piuttosto sottolineare l’illusorietà contenuta nel mezzo.
Facebook produce l’illusione di dialogare sullo stesso piano, dentro categorie di merito, di giudizio: non più imboniti come dentro l'asimmetria programmatica dei media tradizionali. Siamo dunque all'affermazione delle teorie libertarie sulla democrazia delle opinioni?
Al contrario, anche su Facebook le opinioni sono l’espressione di una ristretta cerchia di élite intellettuali; o élite del gusto, della simpatia: comunque élite, capobranco che trovano la loro autorità dentro un consenso carismatico, non dialogico o razionalmente persuasivo.
E' così disarmante assistere al muro di gomma e di incomprensioni, muti sghignazzi, ogni volta che ho provato ad argomentare un pensiero dentro Facebook: un pensiero solo un poco disallineato, non certo eretico. E devo confessare che ho trascritto gli interventi con una certa pena.
Il rischio è dunque quello che anche con Facebook, o più in generale tramite la mediazione delle nuove tecnologie, le persone continuino ad assegnare le loro deleghe in bianco, un favore pregresso ed emozionale, limitandosi a sfiorarne con le mani il lembo del mantello della loro star.
Come nel ribaltamento del titolo di un celebre film di Wim Wenders, quanto più ci sentiamo vicini quanto più nuovamente ci allontaniamo, blindandoci dentro comunità ristrette e settarie, digrignanti e aggressive a ogni accenno di intrusione. E poco importa se siano supporter calcistici, poetesse piuttosto brave e disinvoltamente stronze, o gli amici dell'ottimo Fulvio: che corrono a difenderlo al primo accenno di effrazione totemica, più realisti del Re.
Tutto ciò comporta una vertiginosa caduta delle categorie sottostanti un possibile discorso critico, prima ancora della critica stessa. Che finisce con l’implodere per mancanza di strumenti, non certo di volontà - la critica ci determina infatti nella forma di un' inesausta formazione reattiva, come già abbiamo visto.
La differenza tra critica e "reattività", si ritrova allora nel merito: nella doppia accezione di virtù e di referenzialità contestuale; ossia di aderenza analitica alle specifiche qualità della materia dibattuta, qualsiasi essa sia. Una volta, quando la mia maestra elementare ancora odorava di gesso e caffè, si sarebbe detto che bisogna prima conoscere e poi criticare. Nei tempi nuovi di Facebook, è però forse diventato vero il contrario: criticare per conoscere.
C’è un bel libro di Raymond Carver intitolato “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?” Ecco, di cosa parliamo quando ora parliamo di Walter Veltroni o di Baricco o sventoliamo la bandierina di Deleuze e umili le friselle, da posarsi sulla testa …
Io una risposta me la sono data: parliamo di noi.

Ps - 10 secondi fa mi è arrivata una mail con la risposta di Fulvio Abbate, appena pubblicata nella sua bacheca di Facebook. Riporto testualmente:

"@Guido, scusa il ritardo: irrilevante, la qualità del libro: Veltroni ci deve garantire case scuole e ospedali. Stop."

4 commenti:

  1. Mi piace questo "lavoro" su facebook, dimostra tante cose. Specchio della società e delle persone che la compongono con le loro manie, i loro partiti presi e tanti pregiudizi (quanti ne ho sentiti per l'insegna sopra la mia testa). Il tutto condito da un semi o totale anonimato che non guasta mai.

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  2. "semi o totale anonimato" che è l'anticamera dell'aggressività. come le sigle in luogo dei nomi, sul braccio dei deportati, o le corna dal finestrino dell'alfetta..

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  3. ma perchè deve essere spesso l'anticamera dell'aggressività? C'è così tanta frustrazione in giro? Bulletti cibernetici e bulletti in carne e ossa.

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  4. frustrazione, sì, probabilmente è solo questo: bulletti in cyber e doxa..

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