lunedì 11 marzo 2024

Ceccherini, o sull’estetica marxista

Ceccherini che commenta la notte degli Oscar con la frase “tanto vincono sempre gli ebrei” commette nella migliore delle ipotesi una gaffe, e nella peggiore dice una scemenza colossale. Poi però prova a spiegarsi, aggiungendo che con le sue parole si riferiva al contenuto – tutti quei film nei quali gli ebrei e, in particolare, la Shoah sono assunti quale oggetto – e non a una presunta lobby ebraica che da sempre si spartisce i premi.

Al riguardo, una mia amica insinua sorniona: pensa cosa sarebbe successo se avesse detto tanto vincono sempre i film sullo schiavismo… È vero, sarebbe successo un casino. Ma i film sullo schiavismo, come i film sugli ebrei, non sono lo schiavismo, e piuttosto opere di finzione che muovono a partire da tale premessa storica; da onorare sempre e comunque, aggiungo a scanso equivoci: ma che possono produrre opere mediocri.

Se Ceccherini fosse stato più chiaro e meno impulsivo si poteva anche concedergli delle ragioni, e non solo accettarne le scuse. Ci sono infatti dei contenuti (e la Shoah e lo schiavismo sono tra questi, ma anche, attenzione, l'immigrazione clandestina con le numerose sofferenze connesse, che è il tema del film di Garrone cosceneggiato da Ceccherini) la cui enormità drammatica produce un pregiudizio virtuoso, mettendo in secondo piano la forma attraverso cui vengono restituiti dal racconto cinematografico.

Non è certamente il caso della Zona di interesse, e al Dolby Theatre di Los Angeles ieri non è stata premiata la Shoah ma una sua specifica restituzione prospettica (la prospettiva è ovviamente quella di Jonathan Glazer) che pare possedere i caratteri autentici dell'arte – ma possiamo dire lo stesso della Vita è bella di Benigni, che pure vinse l’Oscar a partire dal medesimo tema?

A Ceccherini, da toscano come Benigni, la coincidenza probabilmente non sfugge, e con parole sbagliatissime prova a dirlo. Una volta chiarite le sue intenzioni si potrebbe anche chiudere la polemica. E semmai provare a comprendere ciò a cui rimanda, chiedendoci se, nel sistema delle premiazioni, non sia tutt’ora presente un’ipoteca dell'estetica marxista, per cui i contenuti prevalgono sulla forma.

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