giovedì 15 giugno 2023

Canarini e avvoltoi, o sui social e la morte

 


Il post perfetto è quello da zero like. Lo sostengo, ma soprattutto perseguo, da molto tempo, senza esserci mai riuscito. Una moneta nel cappello del mendicante da qualche anima pietosa scivola sempre. L'ultima cosa che ho pubblicato su Facebook ci è comunque andata molto vicino, ancora un piccolo passo e precipiterò nella boccia del pesce rosso, dove le labbra si muovono senza produrre alcun suono. Perché rosso sono sempre rosso, non è bastato lo scempio del PD per farmi cambiare colore.

Pasolini sosteneva che morire, per lui, equivaleva a smettere di comunicare. Ma quella sui social è già un'assenza di comunicazione. Piuttosto uno di quei party dove si gira con un piattino e un bicchiere di plastica, la bocca troppo piena per parlare, se non a grugniti. Ciascuno ha portato qualche manicaretto da casa. Prendete e mangiatene tutti, queste sono le mie parole offerte in sacrificio per voi. Fate in fretta però, domani saranno già scadute, rancide, immangiabili.

Essere sgraditi su un social – ammesso e non concesso che i like rappresentino la misura del gradimento, e non invece voto di scambio – significa essenzialmente due cose: scrivere male, oppure essere altrove. Ma dove, quando da McLuhan in poi sappiamo che il mezzo coincide con il messaggio?

Un messaggio che fa di un abusivo un inetto, e di un inetto un cittadino con pari diritti e spazio per esporre la propria mercanzia, venite gente c'è posto per tutti! La bravura consisterà dunque nell’attrarre clienti, di più, amore, già che altra valuta non ne circola, poco importa se in forma surrogata.

Lo stesso delle giovani prostitute slave sulla statale dei Giovi. Dopo un minuto, massimo due che ti succhiano il cazzo rialzano la testa e ti dicono con sguardo severo, da maestra elementare che ti ha preso in castagna con la tabellina del sette: Tesoro, ancora niente...? Ti sbrighi a venire! E hanno ragione, perché per loro il tempo è denaro.

Un particolare che ci obbliga a ribaltare anche il tradizionale orgoglio maschile: essere lenti, prendersi tutto il tempo per provare e offrire piacere. Al suo posto velocità, leggerezza, intrattenimento svagato. Calvino aveva dato la risposta giusta alla domanda sbagliata. Non era la sagoma della letteratura successiva a essere prefigurata nelle Lezioni americane, ma quella di Facebook. Oppure cercare piaceri osceni e non remunerati, significati eccentrici. Più spesso entrambe le cose: inetti e abusivi.

Avere avuto conferma della mia inettitudine e abusività scrivendo di Berlusconi mi appare sintomatico. Lui l'uomo capace, perfino in morte, di attrarre consenso, uno share mostruoso per il suo funerale, secondo forse solo a quelli di Kennedy e Lady Diana. Ma ancora prima il politico del fare, anche sotto o sopra le lenzuola. Immagino i suoi orgasmi con le Olgettine in perfetto sincrono con i consigli degli acquisti.

A tutto ciò si sarebbe dato nel secolo scorso il nome di società dei consumi, e ora società e basta. Baricco la chiama The Game, e per una volta penso abbia ragione lui.

Ma allora la morte di cui parlava Pasolini – assenza di comunicazione, ripeto – diventa desiderabile, un silenzio a cui mi sento ora più vicino che mai. Confortato dal pensiero che non vi avventerete sul mio cadavere per consumarlo come avvoltoi. Almeno un elemento di bellezza lo riconosco ai social: siamo canarini che emettono gradevoli suoni, il bel piumaggio esposto nei selfie. Troppo sazi per mettersi in coda al momento dell'eucarestia.

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