venerdì 23 giugno 2023

Angeli


Dopo gli anni delle elementari spesi a rincorrere un pallone in campetti da calcio defilati e spontanei (la differenza con i campi veri è che quando arrivava il proprietario del prato dovevi scappare via, afferrando i maglioni appallottolati a simbolizzare i pali della porta) e un tentativo poco convinto nella Sondrio Sportiva di nuoto, lo sport a cui mi dedicai fu la pallacanestro.

Una delle attività più faticose in assoluto, non ci sono tempi morti, avanti, indietro, difesa, attacco. I ruoli si invertono di continuo senza lasciare ai polmoni il tempo di acquietarsi, mentre il cuore batte il suo tamburo come il batterista di un gruppo hard rock. Forse solo le tappe alpine del Giro d'Italia riescono a suonare una musica più forsennata. Lo strusciare fighetto del charleston è estraneo alla pallacanestro e al ciclismo, quelle sono finezze jazz da sport come il curling o il tiro con l'arco, fino ad arrivare al minimalismo bradicardico del Subbuteo.

Una fatica e un ritmo che facevano tutt'uno con l'energia dell'adolescenza, e non venivano avvertiti come costo ma come remunerazione, sfogo, piacere. Il basket davvero è un gioco e in ciò mantiene quel che promette. Sei o sette anni, divertentissimi, trascorsi in braghette di raso; per la precisione ero guardia destra della Sondrio Sportiva di basket, sempre lei. D'altronde, altre società sportive nel paese dove sono nato non ce n'erano, e lo sponsor ci aveva fornito una divisa particolarmente graziosa: bianca come il latte di cui era il principale produttore, ma solcata da righine verticali blu, quasi un gessato. Non ho mai capito cosa stessero a significare. Forse la strada dritta segnata sulle mappe – l'unica strada, la statele 36 – da imboccare per scappare via da una valle stretta e lunga, sempre scappare anche quando non arriva il proprietario del prato.

Se potessi tornare indietro, non ripeterei però la scelta per lo sport che mi ha fatto da specchio in gioventù; contro la Forti e Liberi di Monza vinsi addirittura il titolo di best scorer of the match, una formula pomposa per indicare chi infila più volte la palla nel canestro. Ma intanto (e come sempre) ci avevano messi sotto di una ventina di punti. Ogni sport restituisce un'idea di mondo implicita, e in quella del basket non mi ci sono mai riconosciuto completamente: troppo americana, troppo yeah dammi il cinque fratello. Se lo dicevano giovani uomini enormi nelle palestre di Springfield, Massachusetts, dove tutto è cominciato.

Sceglierei adesso di dedicarmi ai tuffi, ma ci sarebbe dovuto essere perlomeno un trampolino nella piscina che si trova proprio a trenta metri da casa mia – per la Sondrio Sportiva un inutile orpello, bastavano e avanzavano i blocchi di partenza in cemento grezzo per le gare di nuoto.

Poco male, mi sarei spostato a Morbegno, come ogni tanto già facevo. Venticinque chilometri di distanza e diciotto minuti se il treno è un diretto, quasi mezz'ora se locale. Altre volte ci andavo con il pulmino della Sondrio Sportiva, un Ford Transit verdino da nove posti; dunque potevamo portare solo tre riserve, l'allenatore faceva anche da autista e massaggiatore. Di fatto era un derby. Il capoluogo, noi, contro la seconda città per abitanti della Valtellina, ma prima per economia. A basket erano bravini, ce la giocavamo all'ultimo canestro, per quanto avessero in formazione un quindicenne che già misurava un metro e novantatré. Bisogna riconoscere che hanno sempre pensando più in grande: non crescevano bambini, ma giganti come a Springfield.

Dallo stesso spirito, think bigger, che nel dialetto locale diventava fa' 'l ganassa, veniva forse la presenza del trampolino nella loro piscina: tre metri soltanto, ma a cinque già inizio a provare vertigini. Scendevo dal predellino del treno, salivo sulla scaletta in acciaio del trampolino (non vestito, prima passavo dagli spogliatoi e mi mettevo il costume Diana con due bande rosse laterali, la cuffia non era ancora obbligatoria, quindi spruzzavo sui piedi il disinfettante contro le verruche) e poi cominciavo a tuffarmi e rituffarmi di testa in uno stile che definivo carpiato, replicando un termine orecchiato in tivù. Quando cominciavo sentirmi un po' stordito facevo il percorso a ritroso: spruzzata sui piedi, giù il costume e su le mutande, jeans Fiorucci, t-shirt Fruit of the Loom, Converse All Star, treno per Sondrio e allenamento serale di basket.

Giocavo a basket continuando a pensare ai tuffi. Diversamente dagli altri sport, i tuffi non si propongono come metafora della vita reale, ma di quella possibile, sono il riflesso di un'utopia. Il tuffo perfetto non è infatti costituito dal coordinamento millimetrico di ogni parte del corpo in aria, unito all'assenza di spruzzi nell'impatto con l'acqua determina il voto impresso sulla paletta dei giudici. Tutto ciò è difficilissimo ma ancora non basta, quando io non ho mai saputo se le mie gambe si piegassero leggermente, compromettendo la freccia degli arti tesi nel perforare il bersaglio, come vedevo fare a un ciccione scomposto che si alternava al trampolino con me, e prima di lanciarsi in acqua emetteva un urlaccio. Il tuffo perfetto, qual è allora il tuffo perfetto?

Me lo chiedevo osservando gli altri nuotare dall'estremo limite prima del vuoto; non consideravano l'ipotesi che avrei potuto cascargli sulla schiena, peggio ancora se fosse stato il ciccione, che se non altro veniva anticipato dall’urlo. Ognuno sembrava fare mondo a sé, pesci in un acquario che solcano l'acqua senza preoccupazioni. L'unica cura del nuotatore è quella rivolta alla sincronia tra inspirazione ed espirazione, da eseguire in movimenti esatti, sempre uguali. Prima la torsione del collo, faccia fuori, aria dentro, collo riallineato e faccia sotto a saggiare il gusto del cloro, mentre l'aria fuoriesce da dove è entrata. D'altronde anche il tuffatore si sente sempre da un'altra parte, in un limbo tra cielo terra; una terra solo un poco più liquida, ma non cambia molto. Il tuffo perfetto, di nuovo: qual è il tuffo perfetto?

È il volo, ecco la risposta che alla fine e dopo molti anni mi sono dato. Ogni tuffo è un decollo. E anche il sublime Greg Louganis, il più grande tuffatore della storia, o perlomeno per la mia generazione, nello sprofondare nell'acqua tiepida di una piscina olimpica scontava un fallimento. Tutti in piedi ad applaudire, ma lui sapeva di avere fallito. La direzione di marcia nella sua testa avrebbe dovuto essere un'altra.

Come quell'angelo che sente di essere, il tuffatore sogna – io almeno continuo a sognarlo – di prendere slancio dalla flessuosità del trampolino e poi salire in alto, ancora più in alto, non basta, il tuffatore continua nella propria ascesa, ma quanto cavolo di energia cinetica ha incorporato pensano i nuotatori, per una volta distratti da qualcosa che non sia la conta del numero delle vasche. Quindi si fermano. Tolgono gli occhialini. Osservano il corpo del tuffatore che esce da finestroni fortunatamente lasciati aperti, e si dirige verso cirri sfilacciati. In culo alla legge di gravità!

Lo stesso destino della donna cannone cantata da Francesco De Gregori, seguendo il suo esempio, quando avessi realizzato il mio tuffo perfetto, non sarei stato richiamato dalla voce della terra, torna giù non fare il pirla! Avrei continuato a volare, di questo sono certo. Volato in cielo in carne e ossa, e senza fame e senza sete, e senza ali e senza rete...

O magari le ali ci sono e nessuno le vede, nascoste sotto felpe dei Los Angeles Lakers e camicie hawaiane e lupetti neri da esistenzialista corrucciato. Voi fate un po' quel che vi pare pensa il tuffatore, riprendete pure a nuotare che fa bene alla salute e corregge la scoliosi, ma io adesso volo via, seguendo leggi fisiche diverse da quelle che stanno scritte sui libri. Tenetevi lo stile libero, il dorso, la rana e pure il delfino. Il basket non era male ma tenetevi pure quello, assieme al curling e al tiro con l'arco, il ciclismo, le partitelle a calcio con i maglioni appallottolati al posto dei pali, il contadino che ti rincorre, ragazzini andate via e non tornate mai più, mi rovinate l'erba! Il Subbuteo, se riuscite a ritrovarlo in qualche mercatino dell'usato, è il bonus del venditore di pentole. Tenetevi tutto, ciao!

Ma allora i tuffi, oltre al volo e all'utopia, sono quanto di più simile al suicidio, e viceversa. In fondo anche il suicida è un angelo mancato, sa di avere ali nascoste, poco importa che il capannello di persone adunate attorno al suo corpo schiantato al suolo continuino a non vederle. Si concentrano sul fiotto di sangue che esce dall'orecchio destro, a intermittenza, e si espande sui cubetti di porfido striato, la chiazza si allarga a disegnare una di quelle figure che gli psicologi ti mettono davanti e poi chiedono: Cosa vede? Una fica enorme viene voglia di rispondergli, ma solo per farli contenti.

Poverino dice intanto l'unica che riesce a parlare, in genere è sempre una donna, gli uomini stanno chiamando l'ambulanza con gli smartphone, vince chi prende la linea per primo. Poverino ripete la donna. Deve essere una delle prime parole italiane che ha imparato, poi aggiunge qualcosa in ucraino che nessuno comprende, forse si tratta del frammento di una preghiera ortodossa. Meglio pulire subito le fa eco un'altra donna con accento valtellinese. Quando si rapprende il sangue è difficile da lavare, ci vogliono dei detersivi speciali che costano più degli altri.

Nessun commento:

Posta un commento