mercoledì 1 maggio 2019

Un pesce di cui non ricordo il nome, o sulla responsabilità


C’è un tale di Livorno che allena un'importante squadra di calcio ed è soprannominato come un pescetto, adesso non mi viene in mente il nome ma è molto diffuso nel Mediterraneo. Pare che questo tale abbia negato l'autografo a un bambino, gli si era avvicinato con carta e penna  mi fa un autografo, Mister?  ma l'allenatore con il nome da pesce l'ha allontanato con un cenno del capo.
Molti stanno commentando l'episodio, specie, e con biasimo, i tifosi delle altre squadre. Io seguo poco il gioco del calcio ma mi piace molto la fidanzata di questo allenatore. Fa l'attrice, la presentatrice, fa un mucchio cose divertenti e la pagano pure. Una di quelle donne, insomma, che se dà un bacio a qualcuno la settimana dopo finisce sulla copertina di una rivista con la copertina lucida, così che io poi possa invidiare il fortunato.
Prima di baciare l'allenatore era sposata con un cantante dai capelli ricci ricci, tipo Ninetto Davoli ma senza l'accento romano, che in questo caso è bresciano. Anche i suoi baci finiscono sulla copertina della stessa rivista, anche a lui chiedono l'autografo per strada. E c'è chi lo invidia.
Le parole più precise e vere sull’invidia le ho sentite pronunciare da Paolo Villaggio, che si attribuiva, con un certo vezzo tipico di chi non intona la propria voce al coro, il sentimento più diffuso e negato. Ricordo di averlo incrociato una volta in un ottimo ristorante di Rio dell’Elba, dove avevo mangiato quei pescetti lunghi e sottili di cui ora non ricordo il nome.
Al termine della cena e quando era già diretto all'uscita, una mia vicina di tavolo l'ha chiamato per chiedergli o, meglio, intimargli l'autografo. Villaggio camminava con difficoltà, era già vecchio e visibilmente stanco e si appendeva al braccio di una donna riccia, che però non somigliava a Ninetto Davoli. Credo fosse la figlia. Tutti a quel punto abbiamo pensato: adesso la manda a cagare...
E invece, dopo essersi fermato un po' traballante, aver appoggiato le mani sulla tovaglia e preso un lungo respiro, ha risposto: "Con immenso piacere!" 
Da quel giorno, ogni volta che sento la parola responsabilità –
letteralmente: il sentimento che una risposta sia dovuta, poco importa se ne abbiamo voglia – mi torna in mente quella scena. Forse è solo una mia idea, ma la responsabilità a me sembra l’altra faccia dell’invidia. Lo ricavo dal fatto che il nome per cui ti giri quando qualcuno lo pronuncia, quel nome che è lo specchio pubblico del corpo, prima di finire, se ti va di culo, sulla copertina di un giornale pieno di baci, viene assunto senza filtri e riserve, anche se magari vorremmo scappare e infilarci nei panni di un altro, come fa l’invidioso. E invece stiamo lì, rispondiamo con nome e cognome.
Mentre ogni volta che sentirò la parola acciuga (ecco come si chiama l'allenatore, quello con la fidanzata che mi piace!) penserò a un bambino che torna a casa con un foglietto bianco, un foglietto, come la radiografia di un angelo, su cui non è rimasta impressa alcuna risposta. E nessun nome, per quanto da pesce.

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