sabato 4 maggio 2019

Gastone, o sul neo-social-fascismo

Tra gli interminabili commenti a un post bruscamente e, forse, anche maldestramente politico di un mio contatto Facebook (al contrario suo, io non penso che i fascisti debbano “essere arrestati o ancora meglio scomparire dalla faccia dalla terra, così avremmo", sono parole sempre del mio contatto, “un bel po’ di coglioni in meno”, e ne conosco e frequento al Bar Piero anche di molto simpatici), leggo ciò che scrive tale Simona Bazzi: "Mussolini era un fiore all'occhiello del nostro Paese."
Con l’unica ombra, certo, continua Simona con quell'aria di obiettività pensosa che ha la consistenza di un bignè, dell'alleanza con Hitler. “Ma chi non ha mai fatto”, conclude come lo sputo di glassa sul suo bignè, "qualche piccolo errore?”
Il merito di tali affermazioni si commenta da sé, e lo trascuro con un sorriso non sarcastico (l'ignoranza è una delle espressioni involontarie del comico, e a questo modo va accostata) per provare a fare un breve ragionamento sull'involucro linguistico, e cioè sulla metafora con cui si è scelto di rappresentare l'ultimo dittatore italiano. E cioè fiore, ed occhiello. Ossia quella che, ai tempi in cui Petrolini ne faceva la parodia, era la divisa del dandy impomatato e blasè, incarnato da Gastone.
Gastone, un uomo che nasce in frac, "anzi quando sono nato mia madre mica mi ha messo le fasce, macché. Un fracchettino. Camminavo per casa sembravo una cornacchia". Gastone che l'ha rovinato la guerra, "se non c'era la guera a quest'ora stavo a Londra. I londrini vanno pazzi, io sono molto ricercato nel parlare nel vestire, ricercato dalla questura." Gastone e le sue cadenze rallentate, il volto ceruleo che piace tanto alle donne, da lui sedotte e abbandonate a profusione, forse perché "sei proprio un bell'adone, Gastone, Gaastoooneee..."
Mussolini come Gastone, dunque. Era questo l’obiettivo camuffato della satira di Petrolini? Non direi proprio. Il comico romano – che era molto intelligente ma anche molto fascista – aveva piuttosto in mente la decadenza borghese dei costumi, caratterizzata da un progressivo e languido svigorimento, non solo morale. Quando il fascismo, almeno quello adunato per la prima volta in piazza San Sepolcro, nel 1919, era muscoli, lampo, manganello; ma anche automobili rombanti ed elettricità, secondo la preveggente intuizione dal futurismo. Non certo fiori all’occhiello.
Ora però il cerchio si chiude, con il neofascismo che, oltre a minimizzare quali errori veniali delle immani catastrofi storiche, ribalta e si appropria dialetticamente di quell'immaginario esangue, a suon di ceffoni cercato di emendare proprio dal fascismo. Ma più che a Hegel il mio pensiero corre a Marx, quando affermava che "la storia si ripete due volte. Come tragedia, e poi come farsa."

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