venerdì 11 settembre 2015

Fermati e datti un voto, o sulla casta occidentale dell'erotismo femminile


"Fermati è datti un voto".  E’ questo il verso, che io trovo strepitoso, di una fortunata canzone di Renzo Rubino, credo sia arrivata seconda al Festival di Sanremo del 2014. Fermati e datti un voto, ma chi di noi lo fa?

Secondo me le donne, più degli uomini, specialmente nelle relazioni sentimentali. E’ come se già da piccole le donne fossero istruite – e quando ancora non lo sono si esercitano, fanno pratica – sulla misura del proprio “valore di scambio”, e con ciò mi scuso per la spregiudicata conversione dal linguaggio mercantile. Eppure anche nei sentimenti, e a maggior ragione nell’erotismo, tale misura economica esiste, o comunque la facciamo esistere nella prassi condivisa dei rapporti. Frasi come “non mi merita”, “potresti puntare più in alto”, “ha fatto il colpaccio”, “deve strisciare ai miei piedi”, "una come me non la trova più" rimandano alla comune percezione di qualcosa come una scala gerarchica, in cui l’umanità viene a collocarsi quando entra in relazione.

La differenza sta appunto nell’infinita ingenuità del genere a cui appartengo (senza per altro alcun orgoglio), che porta molto spesso gli uomini a percepirsi come onnipotenti, gagliardi, desiderabili quasi per statuto metafisico, e con ciò adeguati a qualsiasi conquista femminile. Per le donne evidentemente non è così. Le donne si fermano, come nella canzone di Rubino, e poi si danno un voto. Ma non solamente a loro stesse, un voto viete assegnato anche ai potenziali candidati, ai fuchi, ai cervi che si incornano per fare la loro porca figura sulle cerbiatte, le belle iridescenti piume del pavone, infinite le corse dei criceti nella ruota. Insomma, siamo ancora una volta noi, noi maschi di specie Homo sapiens sapiens, quelli in coda per ritirare il compito in classe.

Tra i segnacci e le chiose in matita rossa scarabocchiati dalle donne sui nostri quadernetti, sui goffi tentativi di far colpo sulla ragazza pettoruta che traversa la strada a culo dritto, i parametri che traspaiono sono quelli ovvi e di sempre: bellezza fisica, intanto, e poi status sociale, disponibilità economica, talenti pratici o intelletuali, prestanza fisica, sicurezza di sé (la simpatia, spesso accampata dalla donne come qualità massimamente ricercata, è semplicemente una variante della sicurezza di sé) e infine predominanza sugli altri maschi. Sono queste le qualità che ci fanno scalare la vetta dell'Olimpo o rotolare nel Tartaro, almeno quando si parla di erotismo maschile. Gli aspetti interiori e psicologici invece non fanno misura, o almeno godono di scarsissima considerazione ai fini della graduatoria con cui ci viene assegnato un punteggio, subentrando semmai in una fase successiva e diversa – riallacciandoci alla metafora economica, potremmo chiamarli “plusvalore”. O se preferite, c’entrano e pure molto quando si parli di amore, ma poco o nulla nella sua premessa erotica, che è un po’ come la chiave per la porta.

Ciò che viene inizialmente pesato in noi dalla donne sono dunque le possibili declinazioni della “potenza, con un risultato (un voto) però molto diverso a seconda di chi formuli il giudizio. Per intendersi e rimanendo sul piano inclinato e sdrucciolevole degli stereotipi: una giovane studentessa di letteratura troverà magari “potente” (e dunque attraente) il proprio professore di storia medievale con la pancetta e il riporto, mentre una sciampista ritroverà la medesima potenza, il medesimo ed eroico archetipo maschile, in un culturista gonfio di testosterone. Il tema mitologico è lo stesso, ma completamente diversa è l'interpretazione che ne viene data, formata a partire da una diversa storia personale è il concetto di cultura così come antropologicamente inteso.

Esiste quindi una frazione biografica – perché esiste, ed è anche molto precoce – in cui a una donna parrà di riconoscersi in una sorta di equivalente erotico delle caste indù, che la porterà a rivolgere le proprie attenzioni solamente ai pari grado; ad escludere cioè i membri appartenenti alle caste subalterne, ma anche a non mirare troppo in alto nelle proprie ambizioni sentimentali, come un robusto shampoo anti grilli per la testa. O detta in modo ancora più brusco: quando una donna vi fila è perché avete appena passato un esame di ammissione, come quello a una facoltà a numero chiuso, mica perché ancora le piacete, tantomeno è innamorata di voi. E bisogna imparare a fidarsi, almeno in questo, della sensibilità femminile, già che se fosse per noi ci sentiremmo sempre come Marlon Brando nella strepitosa immagine che ne diede Truman Capote: un buddha seduto a gambe incrociate sopra a una piramide di dolcetti.

C’è però un momento in cui la lucidità matematica delle donne – a ogni femmina il maschio che ne completi l’equazione, questa la regola di base  –  diventa più incerta e confusa, per non dire velleitaria. Ed è quando lo specchio di Grimilde si opacizza, smettendo di riflettere l’immagine lustra di chi davvero è la più bella nel reame, o anche appena appena passabile. Sì, stiamo parlando del tempo, ma quello che cola dai calendari e non dagli umidi cornicioni delle garçonnière, il tempo dei lacrimoni delle amanti respinte e tradite.

Qualcuno se lo ricorda Viale del tramonto, con una clamorosa Gloria Swanson ancora convinta di vivere nel cono di luce di una fulgida carriera di star hollywoodiana, ora però rabbuiata dalle ombre scure di un implacabile declino fisico e professionale? Ecco, è come se molte donne rimanessero fedeli a quel primo voto che si sono assegnate, spesso con grande accuratezza, tocca ammetterlo, in gioventù. Purtroppo sono nel frattempo stati lanciati nuovi prodotti sul mercato, e le belle convertibili americane degli anni cinquanta, su cui  Richie, Potsie e Ralph Malf scorazzavano sorridenti negli happy days di qualsiasi generazione, le puoi trovare ormai solo nei più loschi vicoli di Cuba. E' il capitalismo sentimentale, bellezza...

Bisogna dunque concludere che tutto ciò che misurabile (l'amore non è misurabile, l'appeal erotico, avendo basi sociali condivise, invece sì) contiene in sé il germe della propria conversione in negativo. Ma questa consapevolezza di secondo grado è assai più difficile da realizzare, e la dimensione del patetico consiste proprio nell'asimmetria tra una autopercezione gloriosa e la modesta risposta del mondo, come nel capolavoro di Billy Wilder. O detta più pedantemente: l’erotismo, in quanto adesione solidale alla natura che è processo e non sostanza, ossia alla specie prima ancora che al singolo individuo, prevede un solo destino: per la gallina, ma anche per i vecchi e boriosi galletti.

Se dunque non vogliamo finire in brodo prima del tempo, c'è un solo rimedio: innamorarsi, innamorarsi di continuo e soprattutto da vecchi. Con ci ciò riconoscendo che invece l’erotismo, come il gioco del polo, come le degustazioni di vini francesi, come prima lei avvocato, ma si figuri, venga a trovarci quando vuole a Cortina, invece l’erotismo è un’amabile, buffa, divertente quanto vuoi, ma comunque sempre una presa per il culo è!

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