domenica 20 settembre 2015
Gli immortali, dialogo notturno con il filosofo Jovanotti da Cortona
Noi siamo gli immortali, noi siamo gli immortali, immortali...
E’ il refrain di una delle ultime canzoni di Jovanotti, credo. Credo che sia una delle ultime, intendo – non ho mai seguito troppo la sua musica, tanto che nemmeno sono sicuro se si chiami ancora Jovanotti, oppure, adesso, Lorenzo.
Si tratta in ogni caso e certamente di lui: la voce è quella, con la zeppola, leggermente nasale: tra un adolescente che racconta agli amici della nottata trascorsa in una discoteca dall’esotismo padano, e il padre di quello stesso adolescente che lo aspetta sveglio fino al suo rientro mattutino, fingendo a quel punto di dormire.
Ma neppure io dormo, anche se è l’una di notte passata. Sto guidando, guido senza fretta e guardo distrattamente dal finestrino: Meda, Barlassina, Lentate al Seveso… prostitute slave giovanissime e semi nude, accampate, da sole o in coppia. ai lati della statale 35, la strada dei Giovi. Intanto ascolto Jovanotti, o Lorenzo, vallo a sapere, sull’autoradio. Una stazioncina locale pescata a caso nel mucchio, quella che semplicemente gracchiava meno delle altre. E lo devo dire? Massì, mi sta contagiando, sarà la notte, la nebbia, la Ceres appena bevuta a canna gettando il vuoto dietro al sedile, ma ora seguo il ritmo e le parole, inizio a canticchiare:
“Noi siamo gli immortali, noi siamo gli immortali, immortali…”
Ma cos’è un immortale?, riprende il sopravvento la mia vocina interna, che con cipiglio reclama ragioni logiche e dimostrabili, se non proprio scientifiche. La mano che batteva il ritmo sul volante adesso si è bloccata e stringe con determinazione lo sterzo. Mica esistono per davvero, insomma, gli immortali!
– Nei fei proprio ficuro? – fa eco una diversa voce, quasi impercettibile, come spersa nella nebbia brianzola. – Ne fei convinto, prova a penfarci bene, incalza ancora la voce, ora più forte e decisa.
Cavoli: ma è Jovanotti!
– Immortale è tutto ciò che non ha una fine – gli rispondo di getto e con piglio deciso, quasi arrogante. – L’immortalità sta nelle mancanza di un termine, un limite temporale, o se preferisci una scadenza, come nello yogurt. Per gli uomini, la scadenza è la morte fisica.
– La morte, lo yogurt, la fcadenza... Ok, ok: hai fparato la tua cartuccera di metafore. Ma non è tutto, c'è dell'altro – risponde lui pacato, vagamente sornione. – Penfaci meglio e poi dammi una risposta. – Quindi aggiunge, intonando nuovamente la voce in musica:
“E lo ridico ancora \ per impararlo a memoria \ in questi giorni impazziti \ che qui si fa la storia… noi siamo gli immortali, immortali!”
– Maddai, Jova, cosa dici?! La storia è fatta di tempo, la storia è l’insieme lineare e cumulativo degli attimi di tempo:“il numero del movimento secondo il prima e il poi”, lo chiamava Aristotele nella Fisica. E cosa c’azzecca la storia con l’immortalità?! E’ un paradosso, non lo vedi?
– Fì, un paradoffo: embè? – ribatte un poco piccato Jovanotti. – E poi non mi hai ancora rifposto, finora mi hai moftrato folo l'argenteria del tuo piccolo fapere liceale. Conosci Ariftotele, ok, promoffo. Ma adesso dai, dimmi chi è un immortale, a parte l’ovvia coftatazione che non muore?
– …
– Ti fi è feccata la favella?
– Mi arrendo Jova, dillo tu: ma non fare il furbo, guarda che ho studiato filosofia!
– Filofofia? Bene. Allora dovresti fapere che c’è un altro famofo filofofo, tale Gino Paoli da Genova, che prima di me aveva capito che immortale è chi non ha limite nel tempo, fì, ma pure nello fpazio: immortale è un effere fenza limiti di alcun tipo, un effere “fenza fine”.
– Senza fine… Forse inizio a capire.
– Bene, bravo. Prova allora a dirlo con parole tue.
– Beh, sì, insomma… l’immortalità è una totalità fisica realizzata, un tutto, o meglio l’esperienza cognitiva ma anche emozionale del Tutto. In pratica è una plenitudine – concludo io con il sopracciglio leggermente aggrottato, una percezione totalizzante e satura del reale!
– Plenitudine, brrr, come parli... Con quefte tue parole dotte e fupponenti non lo vedi che dividi, fepari. Non arriverai mai a comprendere le canzoni, fe continui a parlare a quefto modo. Eppure – continua Lorenzo alias Jovanotti, inghiottendo qualche cucchiaiata di esse –, eppure ti ho fentito, prima, mentre ftavi canticchiano anche tu. In quel momento c’eri quafi arrivato…
– Perbacco, hai ragione Lorenzo, mi sa che sto iniziando ad afferrare. Esperienza, pensiero, emozione. E poi io, tu, mondo. Il tutto frullato dentro la medesima percezione, senza più transenne e steccati. Senza più pensieri e parole, anche. Sì, senza fine... In pratica: un sapere senza conoscenza!
– Lo vedi, che fe ti ci metti…
– Ma allora, riprendo io colto da un’urgenza quasi fisica e senza lasciarlo terminare, la musica leggera, la canzone popolare, al loro meglio sono proprio questa cosa qui: una voce, un ritmo, anche un semplice gesto, l’importante è che ti facciano sentire che noi siamo qui ma pure in un altro posto, in altri luoghi e forse in altre dimensioni. E’ come se, ascoltando la tua canzone, Jova, percepissi che c’è un poco di me da tutte le altre parti e in tutti gli altri tempi, soprattutto nelle altre persone. E questo segreto non riesce a entrare nel mucchio di libri che ho letto finora, nemmeno nei manuali di filosofia.
– Bravo! – risponde Jovanotti dandomi una sonora pacca sulla spalla.
Va be’, la pacca sulla spalla non me l’ha data, e forse nemmeno mi ha risposto mai, Jovanotti, Lorenzo, come accidenti volete chiamarlo, anche se l’ha fatto con la sua canzone. Una semplice e leggerissima canzone, non un trattato di filosofia, non un'equazione matematica, ad accompagnare questo viaggio notturno tra capannoni in eternit, sale giochi, distributori automatici di preservativi, centri scommesse, lampioni, distributori di benzina, pizzerie, concessionari di automobili, saloni cinesi di massaggi e poi femmine, femmine tante e in lunga processione, tutte giovani, scosciate e bellissime. Quasi fosforescenti.
Ma una è più bella e nuda e fosforescente delle altre, sembra che mi guardi, sì mi sta guardando, sorride e poi strizza l’occhio. No, non strizza l’occhio al potenziale cliente, lo strizza proprio a me: è un cenno di intesa, di complicità! Forse ha compreso che, finalmente, ho compreso anch’io. E mentre gli altri dormono, io e lei ci guardiamo ancora e lo sappiamo. Anzi, lo sentiamo: perché davvero noi siamo immortali!
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