lunedì 14 settembre 2015

Sfratti, o sul tempo che passa anche sotto i sofà



Una donna, superati i cinquant’anni di età, vive il suo corpo come un uomo che avrebbe voluto nascere in un altro sessso, e si consola con un'altra sessualità. Entrambi somigliano a quei personaggi che si risvegliano in un letto diverso dal proprio socchiudono gli occhi con fatica, la luce gli dà fastidio, poi li spalancano in un soprassalto di consapevolezza  dopo una sbornia particolarmente pesante e lacunosa, con la bottiglia del gin ancora mezza vuota sul comodino. Ed è d'obbligo, nei film, l'ignoranza non solo delle ragioni e i sentieri che li hanno condotti lì, ma anche della misteriosa sagoma che ronfa acciambellata al loro fianco. La quale si rivela, neanche a dirlo, una creatura bellissima, che in alcune varianti raggiunge solo in seguito il nostro smemorato eroe tra le lenzuola sfatte, portando un'abbondante colazione. Qui invece si risvegliano soli, e per quanti sforzi facciano per tornare a casa, non trovano le chiavi del portone.

E’ una frase che mi ha detto un giorno una ragazza di nome Stefania. Mi sembra un paragone bizzarro e arguto, che io ho rielaborato solo un poco. Magari, con maggiore indulgenza, potremmo alzare l'asticella a sessanta, perfino settant'anni come si dice "ben portati", estendendo ai maschi, sempre più narcisi, il memento senectute. L'ospizio è in ogni caso già dentro di noi, non fuori. E viviamo sempre sotto sfratto.

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