domenica 27 settembre 2015

L’umanità? E’ appesa a un filo, anzi, a un capello



Mattina. Domenica. Postumi di un fine settimana in provincia, alcolico quanto basta per l'ennesimo fioretto al dio degli epatociti, che ancora non si è stancato dei miei buoni e negligenti propositi. Raggiungo il bagno per pisciare, ma prima di calarmi gli slip Tezenis dal fascione alto e fosforescente, come sempre controllo la stempiatura nello specchio, l’incalzare del deserto sulla prateria assediata dal nulla. E però un momento, quale dei due devo guardare?! Da una parte ci sta infatti il “vero" Guido, l’io penso quindi sono cartesiano, ma penso a cosa… mah, mentre dall’altra parte, nello specchio trapuntato da goccioline di dentifricio, mi viene restituita un’immagine che corrisponde alla negazione di tutto ciò. Un alieno, un calvo, un estraneo… Va be’, mi arrendo, Ecce Homo! In fondo già avrei dovuto saperlo: la realtà è una torta divisa tra il sogno del pasticcere e la foga del banchetto. Rimane da capire quale sia la sostanza e quale, invece, la rappresentazione. O non sarà che queste due immagini di me, una astratta e mentale e l’altra brutalmente tangibile, intente a traguardarsi sospettose dai due lati dello stretto corridoio del bagnetto, siano piuttosto avvinte, inseparabili, realmente speculari? Allo stesso modo, come io sono conteso tra l’ideale e il suo doppio fisico e corrotto, senza mai approdare a una sintesi dialettica e anzi tendendo sempre più l’elastico, come chi faccia bungee jumping sopra a un abisso senza fondo, anche l’umanità è forse nelle mie stesse condizioni: una moltitudine di disgraziati in mutande Tezenis, una folla di derelitti che sta per pisciarsi addosso, senza più sapere dove e quale sia la tazza… Una sorta di strabismo che ci fa simili a quel personaggio nei film di Ollio e Stanlio, con i baffoni e gli occhi divergenti a confondere perennemente tutte le cose, mentre tiene la buccia e getta nel cestino la banana. Ma siamo sicuri che la parte più preziosa della banana sia la polpa? Per inciampare, ad esempio, funziona molto meglio la buccia... E chissà allora che non sia proprio questa la via maestra, e non un'inutile digressione nel percorso: l'inciampo, la perdita di equilibrio, la messa in questione di ogni certezza e definizione, comprese quelle sulla nostra identità. Perdersi allora per ritrovarsi, ritrovarsi per perdersi e riperdersi, ancora, all'infinito. E solo nel totale oblio di ogni cornice, guadagnare nuovamente la bella e vasta illusione che ci dava un tempo respiro, la fantasmagoria che faceva marciare eserciti e sospirare le fanciulle in fiore. Massì, l’umanità starà pure perdendo i capelli, ma per ritrovare la parrucca.



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