domenica 14 ottobre 2012

Gastòn, o sul paradosso artistico



Il cane che si vede nella foto si chiama Gastòn. No, non Gastone come il cugino fortunato di Paperino, ma proprio Gastòn, alla francese, con la pronuncia tronca e l’elisione dell’ultima vocale. L’uomo su cui posa le lunghe zampe e guarda dritto negli occhi si chiama invece Sergio, Sergio Ucciero, dagli amici detto Bubu. O almeno io l’ho sempre chiamato a questo modo, Bubu, da ciò ricavando che era mio amico.

Forse non amico-amico, d’accordo: comunque una persona con cui ogni volta che ci si incontrava era una sosta festosa, l’occasione anche solo per uno scherzo o una battuta veloce e arguta. Peccato che capitasse sempre più raramente. Negli ultimi anni si era infatti trasferito fuori dalla Valtellina – prima a Bergamo, poi Bologna e infine Jesi, dove viveva con la moglie Giuliana e naturalmente Gastone, anzi Gastòn – si era trasferito per via del suo lavoro come agente della casa editrice Einaudi.

La prima libreria l’aveva aperta a Sondrio nel 1975. Solo un bugigattolo, a dire il vero, così piccino che quando d'inverno accendeva la stufa a gas ogni tanto bisognava uscire ad acciuffare un po' d'ossigeno, come i pescatori polinesiani di coralli. Anche il nome rifletteva le dimensioni, Ced, ma, vai tu a sapere come, riusciva a tenerci anche dischi, più che altro dischi. “Consci questo gruppo?” mi chiedeva sornione un Bubu poco più che ventenne, sollevando una copertina variopinta dal mucchio. E io, che di anni ne avevo – e continuo ad averne – nove meno di lui, io preadolescente impacciato e guascone facevo finta di pensare… “Mmm, no, temo di no”. Allora Bubu si avvicinava al suo giradischi Technics, sfilava con dita delicate quello che allora si chiamava un long play, e strizzandomi l'occhio aggiungeva: “Ascolta, va’… Poi mi dici, se riesci ancora a parlare.”

Roba che davvero le parole mi si inceppavano in gola. E quando finalmente rispuntavano, era per pronunciare nomi come Genesis, Led Zeppelin, Doors, Jimi Hendrix, Pink Floyd, Crosby Stills Nash & Young, Jackson Brown, King Crimson. Quindi il suo favorito: Bob Dylan! Così ogni sabato, con i soldi risparmiati sulle mancette dei nonni, gonfio di aspettative mi presentavo alla Ced, da cui uscivo con la benedizione di Bubu e un disco di purissimo vinile, che era la mia eucarestia laica da assaporare durante i giorni successivi. Un disco a settimana, una scoperta, azzarderei perfino a dire un’iniziazione.

Ma come in tutti i culti, c’erano peccati che io dovevo assolutamente sottacere, il più ignominioso dei quali era ascoltare quei gruppi che Bubu liquidava con un aggettivo che vibrava sulle note dell'infamia: “commerciale”. E tra le eresie messe all'indice ci stavano purtroppo anche i Queen (ogni tanto anche i profeti sbagliano...), che erano il mio credo segreto ma, come Pietro a ogni chicchirio del gallo, finivo anch'io col rinnegare: “Non ti piaceranno mica i Queen, vero?" E la mia testa che si muoveva veloce a sinistra, destra, ancora sinistra; per poi fermarsi e chinarsi verso il basso. "Guarda che quella è merda commerciale per piccolo-borghesi con l’otite purulenta!”

“No No, a me piacciono solamente i dischi che mi consigli tu, Bubu, i dischi pregressivi”. “Progressive, Guido, si scrive pro-gres-si-ve ma si pronuncia progressiv…” (Sempre stato un poco pedante, tocca ammetterlo, Bubu.) “Ma ora ascolta questo album appena uscito”, continuava il mio mentore dopo la bonaria reprimenda, da cui uscivo assolto come da una confessione mai fatta, ma da lui sempre intuita. “Si intitola Born To Run ed è di un giovane cantautore americano, uno che si farà. Ah, si chiama Bruce Springsteen.” Ecco, questo era Bubu.

Ma Bubu è anche quest’altro, scopro pochi minuti fa da un titolo sparato su internet:  ”Omicidio in stazione a Bologna: Sergio Ucciero uccide a coltellate Alessandro Porrovecchio”. E così continua l’articolo: “Omicidio in pieno giorno, ieri mattina, nella stazione di Bologna, dove un marito accecato dalla gelosia, l’agente di commercio Sergio Ucciero, 55 anni, ha ucciso a coltellate il nuovo compagno della moglie, l’informatico Alessandro Porrovecchio, 53enne residente a Torino.”

O detta diversamente, la persona che per me ha socchiuso la porta della musica, della bellezza, dell’arte e perfino della gioia, aspettando come ogni buon Maestro che fossi io a spalancarla con un calcio, si rivela ora uno spietato omicida che elimina il rivale in amore con dieci coltellate, otto delle quali vibrate al bersaglio del cuore, una di striscio sulla spalla e l'ultima alla schiena, l'eterno sigillo dei vili. E lo fa con premeditazione, seguendo di nascosto la moglie con un lungo coltello da cucina infilato in un quotidiano, lo fa di fronte a una folla sgomenta con la simmetrica precisione di chi stia sgozzando un maiale, lo fa come se semplicemente fosse una cosa da fare, come testimoniano le sue uniche parole:

"Fuggire, non fuggo. Quello che dovevo fare l'ho fatto."

Ma siamo proprio sicuri che, alla maniera della scienza empirica e del mercato azionario, anche nella vita degli uomini ogni nuova informazione sostituisca la precedente, rendendola obsoleta se non del tutto falsa? No, io non ne sono più certo. Allo stesso modo per cui non sono più sicuro che Bubu fosse solo quel bravo Maestro che ho conosciuto, la battuta pronta e il sorriso indulgente di chi prima ti avvita le rotelle alla bicicletta, ma al momento giusto, zac, le sfila a tradimento e ti ritrovi a pedalare da solo e in equilibrio. Ma allora da dove salta fuori, chi è, Sergio Ucciero detto Bubu dagli amici?

Non lo so, ecco.

Ed è così che una vicenda tanto terribile da inceppare le parole e stringere l'aria nei polmoni – la vittima della furia di Bubu aveva due giovani figlie, due belle ragazze già orfane di madre, due intere famiglie distrutte – si trasforma in una traccia diversa da quella che cercavo: non chi è Bubu, che a questo punto resterà un enigma anche per sé stesso, ma che cos’è l'arte, la letteratura, cosa sono tutte quelle pratiche virtuose che hanno occupato più di trent’anni della vita di chi ha scoperto suo malgrado di essere l’assassino, alla penultima pagina del romanzo.

Perché la grande arte è questo e quello, non sintesi ma paradosso, corda tesa sull’abisso. Se tutti i giornali fanno ora a gara per contendersi il mostro da piazzare in prima pagina, certi della turpe verità dei fatti, a me viene da dire che sarei una persona diversa e peggiore, una camera senza porte né finestre se non avessi conosciuto Bubu e accolto i suoi consigli letterari e musicali, che hanno contribuito a far diventare casa la mia tiepida tana di bambino. Ma diversa e peggiore è adesso anche la vita di molte persone, a cui si aggiunge quella di un bel cagnolone maculato, un Grand Bleu de Gascogne che immagino seduto di fronte alla porta, lo sguardo basso e la coda riposta tra le cosce muscolose.

Sì, è un’immagine vagamente patetica che forse non fa buon servizio alla causa, ma c’è un momento in cui l’esistenza di ognuno viene contesa dentro una biforcazione dolorosa: da una parte i buoni, i belli, i giusti, mentre dall’altra ci stanno i brutti, sporchi e cattivi. È dunque questa la vera immagine del mondo? A leggere il verbale dei Carabinieri, sembrerebbe proprio di sì: c'è un carnefice, c'è una vittima e c'è un intero coro tragico, che punta l'indice. Eppure da qualche parte ci sono anche quelli che non capiscono, che stanno lì e continuano a farsi le domande, non credendo che le cose e le persone si possano separare con un coltello, come ha cercato di fare Bubu alla stazione di Bologna.

E allora se la parola verità diviene puro balbettio nella cronaca giornalistica e vertigine retorica nell’arrampicata concettuale dei filosofi, chissà che non vada ricercata proprio nella figura del dubbio letterario, in cui la responsabilità penale non fa sconti a nessuno ma quello che viene sospeso è il giudizio umano, riflettendosi infine negli occhi acquosi di Gastone, da pronunciarsi mi raccomando alla francese. Che è ancora lì di fronte al portone serrato, Gastòn è li che aspetta e forse si domanda: “Ma quando torna Bubu, quand’è che mi porta la zuppa, quando andiamo al parco a giocare a barattolo e pallina, quando…?”


(Ps - Sono andato su Facebook è ho ricercato anche il profilo della vittima. Sembra una persona per bene, a cui piacciono le cose belle: la buona musica, il jazz in particolare, e dispiacciono le cose brutte. I riferimenti umani e culturali - "il pedigree" dei social network - è incredibilmente simile a quello di Bubu, come se avesse scagliato la lama contro uno specchio in cui non ha riconosciuto il proprio volto. Ma Facebook è uno specchio opaco che non seppellisce i suoi morti, e Alessandro Porrovecchio è ancori lì che ci guarda da sotto le lenti impenetrabili e scure, mentre sulla sua bacheca compare questa scritta: "La voglia di sorridere, su tutto e nonostante tutto...")

4 commenti:

  1. Purtroppo non riesco a commentare, ho ancora una grande tristezza, comunque il bel Gastòn non è un Bracco d'Ariége ma un Grand Bleu de Gascogne.
    Così Sergio mi correggeva con orgoglio.
    Un abbracico al Sergio che conoscevo e che sicuramente è ancora.
    Peccato, ricorderò sempre le birrette accompagnate da bocconcini messicani piccanti all'Irish Pub.

    Igino

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    1. grazie Igino, sia per l'attenzione che per l'indicazione cinofila (ho prontamente corretto l'errore, e prendo nota anche del fatto che gli irish pub hanno ormai sbaragliato anche i confini marchigiani... ;-)

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  2. è passato più di un mese, e ancora non riesco a farmene una ragione

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