mercoledì 17 ottobre 2012

La New Age come le lingue straniere: se non li conosci, la fai franca. Ma se li frequenti ti uccidono il cervello!


La New Age, dico, la cosa che non capisco e mi fa impazzire nella New Age, è che sono un po’ tutti scemi. Dove l’accento non andrebbe certamente messo sull’aggettivo indefinito poco, che un poco di qualcosa lo siamo tutti quanti, ma forse nemmeno sul qualificativo scemi. No, l’elemento curioso e singolare della New Age sta nel quantificatore: tutti. Chi si interessa di New Age, gira e rigira, finisce insomma che la pensa e si comporta in un modo sorprendentemente uniforme, che secondo me è un modo un po’ da scemi. E non sto nemmeno insinuando – me ne guardo bene! –  che la New Age sia una cosa scema, scema in sé. Essendo tante cose, tanti pensieri diversi, sotto l’etichetta della New Age ci staranno infatti dei pensieri diversi, e scemi, ma anche dei pensieri-diversi-intelligenti, non so se mi spiego. Eppure anche i pensieri-diversi-intelligenti, quando raggiungono il bersaglio, o più spesso quando lo mancano, nella New Age producono effetti di “scemitudine”: è questo che non capisco, e più ci penso più ci divento matto. L’unico paragone che mi viene in mente è allora quello con le lingue straniere. Che, secondo me, e anche questo non l’ho mai capito, ma chi studia le lingue straniere e viaggia per il mondo perché dice che a lui, o a lei, meglio a loro interessano le lingue straniere, e se devono dire una battuta o una cosa d’effetto la dicono in una lingua straniera, bon, quelli lì, gira e rigira ancora ma sono un po’ tutti scemi anche quelli, e va da sé che il motivo continuo a non capirlo. Eppure l’aveva già intuito uno che scemo non lo era di sicuro. Si chiamava Friedrich Nietzsche, e, in “Umano troppo umano”, scriveva: “L'imparare molte lingue riempie la memoria di parole invece che di fatti e di pensieri; mentre la memoria è un serbatoio che in ogni individuo può ricevere solo una certa limitata massa di contenuto. Poi, l'imparare molte lingue nuoce in quanto produce l'illusione di una grande versatilità ed effettivamente conferisce anche un certo ingannevole prestigio nei rapporti con gli altri; nuoce poi anche indirettamente perché ostacola l'acquisizione di cognizioni solide e l'intenzione di meritarsi la stima degli uomini in maniera onesta…” O ridetta in soldoni, sempre secondo me, ma pure Nietzsche pensava che sono un po’ tutti scemi, questi delle lingue straniere. Una scemenza diversa da quella dei new ager, d’accordo, una scemenza internazionale e cosmopolita e disinvoltamente flessuosa, up-to-date, ma sempre scemenza è. Una scemenza in stile mela di Steve Jobs, ecco. E allora la cosa che mi chiedo, e vi chiedo, in realtà sono due: 1) perché ci sono dei pensieri, delle attività, che magari nella sostanza sono anche intelligenti, ma che a frequentare quei pensieri e quelle attività, si diventa il contrario dell’intelligenza?; 2) ma soprattutto perché, allora, così tante persone fanno proprio e solo quelle cose lì, che poi a me sembra che diventano un po’ tutti degli scemi…?

3 commenti:

  1. No, no: insinua pure. So' scemi proprio!
    Perché tanti le fanno quelle cose lì? Eddai, bando alle domande retoriche: sono cose facili e fanno sentire con poco sforzo superiori alla media.

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  2. la new age è "facile", sì, rappresenta una scorciatoia per il pensiero. però ci sono anche autori finiti dentro il calderone del new age, che, facili, non lo erano per nulla. provo fare alcuni nomi un po' a casaccio: guenon, aurobindo, jung, huxley, per non dire fritjof capra, con il suo tortuosissimo "tao della fisica". ma pure i testi sacri delle tradizioni orientali, diffusamente saccheggiati dal new age, possiamo in coscienza affermare che siano facili? boh, io li conosco poco, ma non mi sembrano tanto accomodanti, e tantomeno banali. piuttosto che nell'oggetto - butto lì... - la scorciatoia del new age non starà forse allora nello sguardo, nel modo in cui ci accostiamo alle cose? come a dire che anche heidegger, se lo comprimi dentro un bigino, schiaccia, taglia, accorcia e parafrasa, e diventa una roba un po' da scemi... (ho dato un'occhiata al tuo blog, RobySan. Bello!)

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  3. Il trucco consiste proprio nella semplificazione o, per dir meglio, nella banalizzazione spettacolarizzata. Huxley, Jung e Aurobindo non sono facili. Ma assumere quel tono, quel modus, quella maniera di guardare-muoversi-interloquire-ammiccare e quindi sentenziare in un modo che possiede l'ambigua caratteristica di essere vago e non ammettere repliche: se replichi è perché non hai colto l'illuminazione. Ma, mi diceva un mio professore di elettrotecnica (*): se incontri qualcuno che, quando parla, pare illuminarsi dall'interno, guarda bene dove tiene nascosta la lampadina.

    Grazie per la visita al mio blogo.

    P.S.: quello di Fritjof Capra è proprio un calderone o poco più. E' uscito in un periodo in cui andavano di moda i libri scientifico-filosofico-esoterici che facevano le scintille mescolando tutto con il contrario di tutto. Prendi per esempio "Goedel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante", di Hofstadter. Questi signori riempivano le loro pagine di considerazioni a metà tra il serio e il fantastico e le condivano con un grafico. Il grafico mancava sistematicamente delle indicazioni metriche sugli assi: questa è la firma del venditore di fumo! Un grafico non circostanziato e generalizzato arbitrariamente: gli fai dire tutto quello che vuoi. Senza possibilità di replica (o di "falsificazione", direbbe un popperiano). A tale proposito sono oggi in auge sonori sproloqui sugli universi paralleli, come conseguenza delle undici dimensioni nelle quali sono descritte le teorie di superstringa e di membrana (M-theory). Roba da very-very-new-age. Cave!

    (*): non si trattava di un "tecnico" in senso stretto, come li si intende oggi. Era un "intellettuale della Magna Grecia", con formazione classica, e venuto a laurearsi in ingegneria nucleare al politecnico di Torino (all'epoca in cui si pensava che si sarebbero costruite molte centrali nucleari - remember Felice Ippolito). Lui e altri, naturalmente. E io ho avuto la ventura di averli come professori.

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