lunedì 12 luglio 2010

Il romanzo im-mondo, o sulla faglia che solca la nuova scena letteraria italiana


Da qualche tempo si sta facendo spazio dentro di me un'idea. Un sospetto, meglio. Quello che alcuni tra i più significativi narratori di questo paese abbiano fatto della letteratura un totem, una sorta di mistica privata ma anche tribale, a cui accostarsi con toni accigliati e severi.

Ricavo tale sospetto non dalle opere, che sono anzi estremamente varie e felicemente differenziate, ma da diffusi interventi che leggo sul web, vero e proprio terreno di coltura che ha consentito il rifiorire di qualcosa che somiglia a un dibattito culturale.

E fortunatamente solo ci somiglia, senza esserlo, perché sul web ci si è molto allontanati dalla sclerosi formale e accademica con cui il termine si accompagnava negli anni passati, riavvicinando la riflessione critica all'esperienza viva e spesso sofferta del presente. Dopo un periodo di oblio in seguito al farmaco assopente degli anni ottanta, gli autori contemporanei hanno ripreso a mettere a tema il proprio lavoro, compreso quegli aspetti che derivano dalla visibilità sociale ottenuta, sviluppando una riflessione ricca, varia e articolata, ma accomunata da quei tratti di idiosincratica radicalità che abbiamo registrato all'inizio.

Anche i testi narrativi patiscono il presente, ma non in forma unitaria e piuttosto lacerata e franta. Non siamo insomma al cospetto di “opere-mondo”, per utilizzare il bel termine inaugurato da Franco Moretti, con cui caratterizzava certi esiti onnivori della letteratura americana post-moderna. La sintesi la troviamo invece nella parole lucidamente autocritiche delle nuove leve di scrittori, che al netto di Roberto Saviano, il quale ha fatto di una concreta utopia civile il proprio tema personale, manifestano un progressivo fastidio verso ogni appartenenza non solo politica ma anche geografica.

Nonostante il diffuso riferirsi a un autore come Pasolini, recuperato in funzione magistrale con un'unanimità di consenso che appare perfino imbarazzante, è difficile scorgere nel panorama letterario italiano una reale tensione d'appartenenza, seppure nostalgica come appunto avveniva in Pasolini, a una comunità allargata che faccia riferimento a un luogo fisico. Ciò in cui si incaglia la continua riflessione di questi autori è dunque proprio l'assenza di qualcosa come una “heimat”, che faccia da cornice comune anche nel dividersi, nello schierarsi, come avveniva fino a un paio di decenni fa. Viceversa è proprio la nozione di patria, per quanto lasca o estesa come il termine Occidente, o Europa, a procurare maggiori defezioni.

Tutti si occupano del paese o della civiltà in cui ci sentiamo storicamente ingaggiati, ma nessuno ne avverte personalmente il legame, se non in una forma sarcastica e stupefatta – quella tragica meraviglia da cui i Greci trassero la filosofia (“thauma”).

Non è presente negli scrittori contemporanei nemmeno una mitologia esotica, come all'inizio del secolo, o il rinnovarsi del sogno americano, che ha più tardi segnato gli autori del secondo dopoguerra; in seguito fu invece il Sud America o altri lembi di mondo. No, non c'è più nessun altrove geografico a distrarre le poetiche del presente; ma neppure nessun qui e non dico ora, ma domani, dopodomani, a configurarsi quale utopia civile.

L'imbuto geografico sembrerebbe condurre a una sensibilità nichilista, al buio sconforto della generazione del “no future”, che solo nelle forme frastagliate di una ribellione senza oggetto, prima ancora che senza speranza, ha caratterizzato una significativa minoranza negli anni settanta. Ci sono però molti segnali che ci allontano anche da questa interpretazione. Si registrano infatti molte parole circostanziate ai luoghi, ed è grande e convinto il coniugare verbi al presente. Oltre appunto una grande attenzione alle dinamiche politiche e antropologiche del quotidiano, come se ci stesse muovendo in folta schiera verso qualcosa...

Ma dove stanno andando tutti questi scrittori, in quale direzione, se non hanno in tasca alcun biglietto aereo; e nemmeno una zappa o un badile o un martello, con cui ricostruire questo paese dall'interno?

Forse non sono in marcia verso un luogo, ma all'interno della letteratura stessa, che sembra essere divenuta lo spazio concreto in cui i nuovi narratori sono diretti. Ma attenzione, letteratura intesa non come forma vuota di parole, cioè come struttura linguistica, gioco combinatorio, ma come crogiolo in cui il corpo intercetta il mondo e le altre presenze vive che lo abitano, che solo attraverso tale attrito paiono acquisire consistenza, diventare dicibili.

La serietà e perfino la prosopopea, alle volte, di questi nuovi autori, segnala dunque l'impossibilità di una vita dentro questo mondo; ma allo stesso tempo allude all'assenza di un altro mondo in cui rifugiarsi, se non all'interno di sé e nelle relazioni orizzontali e selettive tra naufraghi.

La letteratura diviene così uno stigma di appartenenza, un tulipano nero tatuato sotto la camicia, che davvero ci allontana dal Novecento ma non in un definitivo balzo in avanti, e semmai indietro. Il sospetto iniziale si precisa così nell'immagine biblica di una comunità letteraria impegnata in un esodo di massa verso l'Ottocento. Cioè verso una socialità in cui le distinzioni non avvengono tanto per reddito, censo o progetto politico, ma per “estetica”. E intendo il termine nel suo significato originario e filosofico, e cioè di percezione sensibile del reale circostante.

Nell'Ottocento si contrapponeva la grassa e pigra estetica borghese a quella degli artisti. Ora i termini sono più confusi, sfumati. Ma mi pare evidente che gli esiti della politica, in particolare la politica dei consumi e della finzione spettacolare, e cioè l'uroboro che in questo paese parte e ritorna a Mediaset, abbiano portato le persone a una radicalizzazione del conflitto, che non è ormai più politico ma appunto estetico e di sensibilità.

La letteratura, come da suo mandato, rende tutto ciò semplicemente più evidente. Ma non essendo una scienza esatta e fintamente neutrale, lo fa con una passione di parte che sembra non lasciare più scampo a utopie rigenerative. L'Italia è morta, sì, e una comunità civile non solo non è data ma nemmeno più pensabile, sembrano dirci i nuovi autori. Se non nella forma trasversale di comunità estetiche non localizzate, e dunque letterarie.

La nuova tendenza che ricaviamo dalla lettura dei romanzi, ma soprattutto degli interventi sul web dei narratori contemporanei più interessanti, non ha ancora un nome né contorni definiti e certi. In opposizione ironica alla formula di Franco Moretti a cui già ci siamo riferiti, mi verrebbe però da battezzarla provvisoriamente a questo modo: “romanzo im-mondo”.

Che ci ricorda come non ci sia più un mondo in cui il presente possa essere ricomposto in figura, una società in cui sviluppare dialetticamente il conflitto estetico. Ma se afferriamo i lembi lacerati della ferita, come i nuovi narratori ci insegnano fare, forse riusciremo anche noi a cavare qualcosa di ancora vivo e palpitante, quattro gambette che scalciano e si dimenano.

Non due, quattro. Perché si tratta con evidenza di gemelli eterozigoti, che non hanno più nessuna intenzione di condividere lo stesso utero angusto

Eppure è proprio a questo livello germinale, ossia letteralmente dell'origine, del corpo, del sangue e del sesso e del male, che possiamo vedere come la letteratura sappia ancora svolgere la sua preziosa funzione di compendio paradossale. Perché se anche la puerpera è ormai cadavere putrescente, ci accorgiamo che i due gemelli -l'Italia berlusconiana e quella anti-berlusconiana, potremmo dire semplificando - sono pur sempre figli della stessa tribolazione.

E allora forse non è tanto importante recuperare il sentimento di una comunità territoriale, ma un sentimento, uno qualsiasi, segno che il corpo non ha ancora cessato di fare esperienza di quel che ci sta là fuori, e con parole balbettanti prova a restituirne lo stupore.

Torniamo a thauma, a un mondo senza patria, confini, ci stanno così sussurrando i nostri più vigili scrittori.


(Ps – Ho volutamente cercato di evitare di nominare specifici autori o correnti, riservandomi di farlo in un secondo momento. A questo primo livello intuitivo credo sia opportuno mantenere i contorni nella necessaria vaghezza. Contemplando, negli esiti futuri, anche quello dell'errore.)

1 commento:

  1. Ciao! caloroso saluto.
    il tuo blog sembra piacevole.

    Se siete alla ricerca di carattere univoco, è possibile visitare il nostro sito web.

    Con i migliori saluti;

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