mercoledì 14 luglio 2010

Doomsday, o sull'onomastica canina e altre storie



E' tornata all'improvviso dagli anni cinquanta.

Non so se la prima volta io l'abbia vista in un film, oppure in televisione, sui giornali, l'immagine di un enorme quadrante di orologio.

Maschi adulti con un grembiulino bianco muovevano a discrezione la lancetta, in senso orario ma anche in direzione inversa, a seconda di quanto reputavano vicina una catastrofe planetaria di qualunque tipo.

Una guerra nucleare tra Russia e America, ad esempio. Oppure eruzioni, meteoriti, flagelli batteriologici e invasioni aliene. Tutto faceva brodo, negli anni cinquanta, per spostare l'affilatissima lama dei minuti una sola tacca più in là.

Fu realizzato nel 1947 da un gruppo di scienziati atomici, chiamandolo Doomsday Clock, l'orologio della distruzione.

Sembra il nome di uno di quei cagnetti piccoli e chiassosi, dal muso buffo e affilato. Invece è una specie di clessidra implacabile, dove la mezzanotte incombe minacciosa e coincide con la fine del mondo. O meglio di quella minima e provvisoria versione del mondo in forma umana, la nostra.

E c'è perfino una sensazione di rassicurante compostezza, nel dare un tempo e una direzione alla figura più enigmatica di tutte, scomponendo l'imprevisto con un bel grembiule da otorinolaringoiatra indosso. Ma così, imprevista, pure è ritornata.

Dagli anni cinquanta.

E' ritornata questa confusa percezione di distruzione, annullamento. No, il 2012 non c'entra nulla. Un totale e sommesso disinteressamento verso ogni cosa, compreso i cori fin troppo intonati delle Cassandre, come nel monologo di Apocalypse Now , da una poesia di Thomas Eliot:

"Noi siamo gli uomini cavi, noi siamo gli uomini impagliati, appoggiati l'uno all'altro, la testa piena di paglia..."

Ed è la sagoma massiccia del colonnello Kurt che emerge dalla penombra livida, mentre si accarezza l'unica parte che ancora riluce al fuoco delle candele, il cranio glabro sfinito dai raggi del sole tropicale, nell'altrettanto e assoluto sfinimento per tutto quanto.

Una pena diffusa, feroce, compassionevole ma ugualmente distruttiva, anche e forse soprattutto verso di sé.

Un paradosso, sì.

Quello che fa muovere la lancetta in avanti con le proprie mani, per truccare sul tempo, per avvicinarsi, solo pochi minuti ancora, alla mezzanotte.

Ma perché gli psichiatri si ostinano a chiamarla depressione?

E' solo un gioco da bambini stanchi, convinti che ogni lenzuolo sia una vela, una tenda, e sotto sotto covi il risveglio dopo un brutto sogno. Con Doomsday che scodinzola e fa le feste, abbaia per uscire quando ancora spiovono certi goccioloni.

In un'abbagliante cascata di luce e di corn flakes.

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