lunedì 12 luglio 2010

I will survive, o sull'orrore come brutto muso del kitsch


Sono semplicemente entusiasta della video performance dell'artista australiana Jane Korman. Figlia di un sopravvissuto al campo di sterminio nazista di Auschwitz, ad Auschwitz la Korman è di recente tornata insieme ai suoi tre figli e all'anziano genitore (89 anni).
Sulle note della celebre canzone di Gloria Gaynor I will survive, le tre generazioni di superstiti - già che senza la sopravvivenza dell'unico e vero internato, nemmeno gli altri ora sarebbero lì - iniziano uno strano e buffo balletto nei luoghi dello sterminio, quasi la farsa di un musical hollywoodiano.
Inevitabili dunque le polemiche, da ogni parte del mondo.
Eppure la chiave geniale dell'operazione sta proprio nella cifra della messa in scena, con tutta evidenza kitsch. Che ci ricorda come gli orrori più diffusi - e Auschwitz ha dell'orrore il diritto simbolico di antonomasia - nascono spesso da un gesto sciaguratamente kitsch. E cioè emulativo di un modello limpido e astratto, sontuoso, ma privo della sua ombra incarnata nella contingenza, che produce il necessario anticorpo dell'eccezione. Così senza più deroga ad una norma stilizzata nella parodia del vero, ciò che va perduto è il più umano tra i sentimenti: la pietas.
Che lo si dica, allora, che lo si scriva e lo si racconti ai giovani, che il nazismo è stato prima di ogni altra cosa un comico e funesto baraccone kitsch.
Oppure lo insceni, con beffardo spirito mimetico - omeopatico, sarebbe forse più giusto dire - come fa Jane Korman insieme alla sua complice famiglia. Che con i loro allegri passetti di danza sulle pietre che hanno visto l'orrore, ci ricorda, o meglio ci mostra come la vita sappia sopravvive a tutto. Anche all'orrore, sì. Soprattutto all'orrore.
Perché l'orrore non è nient'altro che la vita quando si prende troppo sul serio. Divenendo kitsch.

Qui è possibile rivedere il video in questione.

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