domenica 31 gennaio 2010

Paròl


Rileggevo questa mattina la parabola evangelica dei talenti, nella versione offerta da Matteo.
Per quasi tutti i teologi l'interpretazione di Matteo 25, 14-30 rappresenta uno dei passaggi più scabrosi. Frasi come "mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso", rimandano alla severa distanza di una divinità ancora veterotestamentaria. Perfino più problematica è l'invocazione a togliere a chi già poco possiede (un talento) per dare a chi dalla sorte ha ricevuto in abbondanza. Anche la benevolenza verso l'interesse bancario - "dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l'interesse" - potrebbe apparire in contrasto con altre parole pure presenti nei vangeli. Come quelle sulla difficoltà di un ricco ad entrare nel regno dei cieli - una probabilità pari a quella del passaggio di un cammello attraverso la cruna di un ago, come vuole un'errata traduzione. Il testo greco prevedrebbe infatti uno spesso cordame (kamilos), ma per assonanza si è giunti alla suggestiva immagine del cammello (kamelos).
Scorrendo dunque i versetti con le molte inevitabili incertezze, mi è però venuta in mente una circostanza che trovo indicativa. Nel tempo in cui Matteo incideva con pazienza le sue frasi su una pergamena non esisteva ancora il gioco poker!
Ok, sembra una boutade, una provocazione. Provo allora a spiegarmi meglio.
Nel poker è prevista una particolare regola che si chiama "paròl". Dal francese parole, significa semplicemente che si passa la parola agli avversari. Non si rilancia, non si vede. Piuttosto si propone di rinviare tutto alla mano successiva. Nella quale, dettaglio tecnico, per aprire è necessario versare un importo corrispondente a quello del piatto di paròl.
Bene, dal punto di vista da cui siamo partiti, cioè quello di una seppur eccentrica teologia, cosa potrebbe implicare tutto ciò?
La mano di paròl rappresenta un caso differente dal semplice seppellimento dei propri talenti, illustrato nella parabola. In tale eventualità l'omissione non avviene per mancanza di partecipazione al gioco, come appunto colui che si rifugi nella terra morbida della rinuncia, ma perché l'azzardo viene continuamente rimandato, differito fino al punto in cui la misura economica dell'impegno finisce coll'esorbitare la propria disponibilità.
Se ci riflettiamo un momento, è la scena di moderna e inattuata tragicità descritta da Beckett nel suo Aspettando Godot. L'illusione confortante di un eterno dopo, in cui redimere le miserie del presente, ricolmare per grazia le mancanze. In fondo una malintesa eredità proprio della promessa messianica, già frutto maturo dell'escatologia ebraica.
Oppure, nel quotidiano, la condizione di molti trenta e quarantenni, quando al matrimonio segue il presepe di una nuova famiglia, che gli brilla negli occhi come la cometa sopra ai muschi. Miei coetanei, uomini con cui fino al giorno prima ho scommesso la fiche di un sogno, acceso i lampioni del mondo e le luminarie della fantasia. Tutto spento, ora. Solo il fioco riverberare del presepe. Si sposano e smettono di andare a cinema, di leggere libri e giornali.
Ogni tanto qualcuno passa a trovarti perché, su internet, ha trovato un nuovo sito in cui viene esibita la carne della femmine, e ti propone ciò che chiamano una rimpatriata. Ma di quale "patria" stai parlando, scusa? Non hai capito che il tuo passaporto è già scaduto da un pezzo.
No, non stanno seppellendo i loro talenti, attenzione! Per questo facciamo fatica a interpretare lo spigoloso passaggio di Matteo. Stanno semplicemente chiamando paròl. Consegnando ai loro figli, agli eredi, alle future generazione, l'azzardo di una minima scommessa dentro a questo mondo.

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