martedì 19 gennaio 2010

Bettino Craxi, o della verità che ha sempre due facce


Nella trasmissione di Gad Lerner L’infedele, lunedì diciotto gennaio si rifletteva intorno al decennale della morte di Bettino Craxi. In studio, tra gli altri, Michele Serra. Che sul finale della puntata ha buttato lì una cosa a mio avviso decisiva. Craxi aveva storicamente ragione, dice Michele Serra. Il suo errore è stato nell’uso politico di questa ragione storica. In particolare nel rapporto con gli altri partiti che rappresentavano l’elettorato di sinistra dentro le istituzioni. Prima di tutti il Partito comunista italiano, almeno per peso elettorale.
Peccato che in studio nessuno abbia colto la portata eversiva di questo pensiero. E non tanto perché Serra, a suo modo, cioè per traiettorie defilate e autonome, si è trovato nel passato vicino alle posizioni del PCI; cioè a chi per sua ammissione flirtava con "l’errore”. L’interesse della sua affermazione riguarda piuttosto il terreno vago tra astrazione e comportamenti reali, più spesso indagato dalla filosofia. Infatti se esiste un modo sbagliato di stare dentro al vero, dobbiamo anche ipotizzare che la verità non si offra solamente come condizione statica– è vero ciò che è vero – ma anche come processo, come edificio precario e sempre in costruzione.
Provando a definire ancora meglio questo passaggio delicato, potremmo figurarci qualcosa come una verità sdoppiata: ontologica e processuale. Due facce di un'unica moneta che non sempre, non necessariamente, convergono dentro la manifestazione sensibile. O detta diversamente, ciò che chiamiamo verità mondana o civile è l'effetto dell'incontro tra un'idea e una pratica di attuazione, la quale non è affatto neutra. Da ciò si ricava che il fine da solo NON giustifica i mezzi, ma sono gli stessi mezzi a dover giustificare il loro fine.
Torniamo allora a Bettino Craxi. Seguendo l’intuizione di Serra egli si è trovato a incarnare, per eredità storica ma anche vocazione, proprio quello che qui abbiamo chiamato una verità di stato. La cultura riformista che si definisce nella scissione di Livorno è cioè quel pensiero politico che intuisce nel massimalismo rivoluzionario, nei fatti come anche in nuce, una vocazione totalitaria, con ciò antiumana. La verità stabile a cui si riferisce Serra è dunque l’umanesimo, a cui è tenuta la politica come sua missione veritativa: inaugurare la pienezza dell’umano dentro l'esperienza di libertà, giustizia, uguaglianza e aggiungiamo anche piacere. Mentre la fraternità, come declinazione laica dell'amore, rimane una categoria teologica, non politica. Cioè dogma di fede o tutt'al più precetto morale.
Ma se la prospettiva umanistica viene spesa dentro la contesa elettorale per rafforzare posizioni di parte, privilegi personali e addirittura ricchezze private, questa verità ideale si converte quasi paradossalmente nel suo opposto, trasformandosi in errore.
Una verità sbagliata, come è possibile?!
Come effetto appunto del processo concreto di realizzazione, che è invischiato nell’opacità sempre imperfetta del fare, gli umori instabili degli uomini, con le loro passioni come oscillanti barchette alla deriva. Anche la verità cade in errore, sì, quando esce dal porto calmo delle idee. E sono le risposte sbagliate alle domande giuste.
Da questa premessa, per opposizione al PSI di Bettino Craxi, possiamo allora ricavare che il PCI di Berlinguer peccava di un errore speculare. Offrendo una risposta giusta, l'etica della prassi, a una domanda sbagliata: la collettivizzazione dei mezzi di produzione e di scambio, almeno tacitamente mai smentita quale orizzonte finale.
Fontana con soldino si sente dunque in piena sintonia con il fulminante giudizio di Michele Serra. Come bilancio sull’alterna vicenda craxiana, intanto. E sarà compito degli storici pesare la misura di verità e di errore, di luci e di ombre della sua segreteria a cavallo degli anni ottanta. Ma anche come sguardo complessivo sulle cose del mondo. Convinti che esistono pochi elementi stabili di verità, molto da costruire e che facendo si può sbagliare.
Eppure l’agire che abbia la verità almeno come sua intenzione, anche quando fallisce possiede una sorta di primato sulla pigrizia lagnosa, l’inedia polemica e il conformismo distratto.Una sorta di dominio trinitario e complice della vanità.
Non siamo certi che sia il caso di Bettino Craxi, ma per la simpatia istintiva che ci suggerisce la sua parabola umana – ogni totem gettato nella polvere contiene almeno una scheggia di autentico, che oscura il tintinnio scrosciante delle monete dei lapidatori, monete a una sola faccia ... - ci viene da concludere con un celebre verso di Ezra Pound: “Ma aver fatto in luogo di non avere fatto \ questa non è vanità”.

3 commenti:

  1. Non credo che Craxi sia vittima o carnefice, semplicemente era nel Sistema. E forse oggi poco è cambiato. "E sarà compito degli storici pesare la misura di verità e di errore..." Perciò non è ancora passato il tempo necessario quindi tutti pronti a un nuovo processo o ad una canonizzazione in toto della persona. L'obiettività non è ancora possibile ma lo schieramento, tipico atteggiamento italico, quello si e non costa nulla.

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  2. carlo, è possibile che sia come dici tu. è un aspetto su cui non sono in grado di giudicare, intendo. quindi nemmeno di sindacare. ciò che a me premeva dire nell'intervento pubblicato sul blog, credo che riguardi però qualcosa di diverso. e cioè il labile confine che separa, o meglio che integra, idee astratte e comportamenti concreti. da questo punto di vista la parabola di bettino craxi ha un profilo balistico esemplare. trascolorando, prima dell'esplosione finale, nei vari toni di commedia, farsa, tragedia e melò. infine mostrando come delle buone idee possano tradursi in effetti disastrosi. detto ciò, rimango convinto che la vicenda politica di craxi non possa - ma soprattutto non debba! - essere inquadrata tutta al negativo. piuttosto restituita a quell'intima ambiguità che spero di avere perlomeno evocato. (a proposito carlo, se non una via come craxi, mi dedichi uno scaffale nella tua libreria?)

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  3. Sì, mi era chiaro il tuo intento; è stata una mia provocazione portare il discorso altrove... Per lo scaffale se ne può parlare.

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