martedì 21 marzo 2023

Fantasmi

L'onda lunga del proprio tempo non la si coglie auscultando le conchiglie, ma metafore come questa. Oppure: riavvolgere il nastro, per indicare che si intende ragionare a partire dalle premesse, tornare al principio come nella bobina di un film. Solo che i film adesso vengono visti su Netflix, girati e proiettati attraverso processi digitali senza consistenza fisica, odore, sapore. Tutti attributi che possedeva invece la pellicola di celluloide, per quanto una fetta di mortadella era probabilmente più gustosa. Si capisce allora perché nessun ventenne userebbe mai una frase tanto bislacca. Quale nastro? ti risponderebbe.

Eppure sopravvivono espressioni come discernere il grano dal loglio o varare un progetto, andare in tilt. Ma se non ho la minima idea di cosa sia il loglio, non l’ho mai sfiorato con le mani, gli occhi non sono in grado di riconoscerlo, conservo memoria del vecchio flipper del Bar Gino. Inserita la moneta da cinquanta partiva una festosa baraonda di suoni e lucine, solo bisognava moderare l'impeto per non farlo andare in tilt, causando l'affondo della biglia di acciaio dentro al ventre elettrificato. Un simbolo di naufragio a ben vedere, di cui il varo di una nave, attraverso il lancio sullo scafo di un magnum di champagne, rappresenta la premessa con segno invertito.

L'ho visto fare in una celebre sequenza del Secondo tragico Fantozzi, protagonista la Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare – “Capo varo, posso andare?” “Vadi Contessa!” – che prima colpisce alla nuca lo sfortunato ragioniere e poi fa piazza pulita di tutti i notabili presenti sul molo.

Ma è anche questa una conoscenza mediata. Nell’esperienza, sempre più astratta, della tarda modernità, solamente il linguaggio mantiene un flebile rapporto con le cose. Perciò il gesto conoscitivo più radicale ha smesso di essere quello di uscire a fare due passi – troppe merde di cane ai giardinetti – ma consiste nell’aprire un dizionario e lasciarsi invadere dalle parole: la loro storia, slittamento di vocali e consonanti, conversione d’uso e infine estinzione di ciò che per secoli hanno rappresentato, in una sospensione di senso che ci rende contemporanei di Nabucodonosor, ma non dei nostri figli.

In un mondo di fantasmi che giocano a flipper e dimenano il culo, discernono il grano dal loglio, riavvolgono nastri in un flusso verbale ormai completamente digitalizzato, a formare un filo teso dal passato che impedisce al palloncino di volare via, sono fantasmi incrostati di salsedine a parlare ancora per noi. Ci infilano le parole in bocca mentre muoviamo le labbra con convinzione, come fa il ventriloquo con il suo pupazzetto.

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