L'onda lunga del proprio tempo non
la si coglie auscultando le conchiglie, ma metafore come questa. Oppure: riavvolgere
il nastro, per indicare che si intende ragionare a partire dalle premesse,
tornare al principio come nella bobina di un film. Solo che i film adesso
vengono visti su Netflix, girati e proiettati attraverso processi digitali
senza consistenza fisica, odore, sapore. Tutti attributi che possedeva invece
la pellicola di celluloide, per quanto una fetta di mortadella era
probabilmente più gustosa. Si capisce allora perché nessun ventenne userebbe
mai una frase tanto bislacca. Quale nastro? ti risponderebbe.
Eppure sopravvivono
espressioni come discernere il grano dal loglio o varare un progetto,
andare in tilt. Ma se non ho la minima idea di cosa sia il loglio, non l’ho mai
sfiorato con le mani, gli occhi non sono in grado di riconoscerlo, conservo
memoria del vecchio flipper del Bar Gino. Inserita la moneta da cinquanta
partiva una festosa baraonda di suoni e lucine, solo bisognava moderare l'impeto
per non farlo andare in tilt, causando l'affondo della biglia di acciaio dentro
al ventre elettrificato. Un simbolo di naufragio a ben vedere, di cui il varo
di una nave, attraverso il lancio sullo scafo di un magnum di champagne,
rappresenta la premessa con segno invertito.
L'ho visto fare in una
celebre sequenza del Secondo tragico Fantozzi, protagonista la Contessa
Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare – “Capo varo, posso andare?” “Vadi Contessa!”
– che prima colpisce alla nuca lo sfortunato ragioniere e poi fa piazza pulita
di tutti i notabili presenti sul molo.
Ma è anche questa una
conoscenza mediata. Nell’esperienza, sempre più astratta, della tarda
modernità, solamente il linguaggio mantiene un flebile rapporto con le cose.
Perciò il gesto conoscitivo più radicale ha smesso di essere quello di uscire a
fare due passi – troppe merde di cane ai giardinetti – ma consiste nell’aprire
un dizionario e lasciarsi invadere dalle parole: la loro storia, slittamento di
vocali e consonanti, conversione d’uso e infine estinzione di ciò che per
secoli hanno rappresentato, in una sospensione di senso che ci rende
contemporanei di Nabucodonosor, ma non dei nostri figli.
In un mondo di
fantasmi che giocano a flipper e dimenano il culo, discernono il grano dal loglio,
riavvolgono nastri in un flusso verbale ormai completamente digitalizzato, a
formare un filo teso dal passato che impedisce al palloncino di volare via,
sono fantasmi incrostati di salsedine a parlare ancora per noi. Ci infilano le
parole in bocca mentre muoviamo le labbra con convinzione, come fa il
ventriloquo con il suo pupazzetto.
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