lunedì 20 marzo 2023

Adescamenti social, o sulla filosofia dove non te l'aspetti

Ho appena letto un post, uno dei tanti su Facebook, senza particolari pretese o spocchia, l'ho letto e via come un bicchiere d'acqua che scivola senza intoppi. Poi di post ne è arrivato un altro a stretto giro, apparteneva alla stessa persona. Veniva replicato il registro scanzonato del primo, devo riconoscere che entrambi erano scritti bene, sembravano i due tempi di un medesimo film, ma l'acqua questa volta mi si è fermata in gola. Provo così a fare un riassunto della trama, per vedere se ragionandoci assieme riusciamo a ripristinare il flusso:

1) Primo tempo. Bob Dylan è una mummia ca*a*azzi, pure cafone: i Nobel si alza il culo e si va a Stoccolma a ritirarli, mica sono Telegatti. E poi che palle 'sta storia che non si può portare lo smartphone a un concerto; per chi ha scritto i due interventi, il Menestrello ci si può pure strozzare con gli smartphone rimasti all'ingresso. Il suo certamente non sarà nel mucchio. E nemmeno lei, si tratta di una donna;

2) Secondo tempo. Al concerto dei Maneskin, a cui invece è appena stata, c'era una energia e una bellezza e una... Insomma, solo vecchi (dentro) e pieni di pregiudizi e con le fette di salame sulle orecchie continuano a non capire, a non capirli. Peggio per voi, beccatevi la mummia!

Ora io dovrei essere l'oggetto di biasimo di entrambi i post: amo Bob Dylan, penso che si possa vivere per due ore senza smartphone e non mi piacciono i Maneskin, ma proprio niente niente ("sono fuori di testa ma diverso da voi..." Ma dai!).

E però poco importa la mia opinione, i gusti musicali che mi fanno girare la manopola dell'autoradio, non è questo il punto. Il punto è la natura di esca verbale di un certo modo di confezionare contenuti social, in grado di suscitare attenzione e partecipazione; non importa come si manifesti, con applauso o fischio. Il fatto che ne stia scrivendo è indicativo del fatto che anche io abbia abboccato.

Pur non avendo lasciato commenti già immagino quelli, numerosi, che sono seguiti. Si divideranno verosimilmente tra i brava, vai così, gliele hai cantate a quel vecchio lagnoso pallone gonfiato, e chi invece indignato difende l'artista americano, scagliandosi contro l'epigonismo di maniera dei Maneskin, le loro provocazioni costruite ad arte.

Intendiamoci, non mi interessa sapere chi ha ragione, anche se la mia posizione, come anticipato, non è neutra. Più interessante mi appare la materia se riformulata in forma interrogativa: dobbiamo ancora considerare comunicazione interventi del genere?

Col termine comunicazione faccio riferimento al principio della dialettica che mira a una sintesi, non necessariamente mediana. In altre parole, concluso lo scambio verbale o, semplicemente, recepita l'informazione, sarò minimamente diverso da prima? Ma non diverso nelle emozioni: incazzato, gongolante, spensierato, garrulo e pronto a nuove baldorie verbali. Le emozioni sono nuvole, se non vogliamo salire alla testa scendiamo ai piedi: di-verso, ossia il verso, la direzione in cui dirigo i miei passi. Ecco, è il mio verso dentro al mondo rimasto identico, nemmeno un microgrado di deviazione dalla rotta? Altrimenti tanto vale non dire nulla.

In tal caso dovremmo inquadrare i due post come qualcos'altro, non necessariamente negativo ma altro proprio perché radicalizza l'alterità, disunisce o, meglio ancora, "discomunica", mostrando che attrito e adesione sono facce della stessa medaglia, a rappresentare uno dei piaceri impliciti nell'esperienza del contemporaneo.

Il modello procedurale è quello della pubblicità, che suscita per vie subliminali reazioni che eludono il cervello e muovono direttamente alle viscere, dove polarità semplificate attirano più sangue dei neuroni. Ma esiste anche una differenza dalle strategie di advertising: con la pubblicità ti viene venduto un oggetto che ancora non possiedi (qualche passo verso il negozio dove realizzare l'acquisto devi compierlo, fosse pure su Amazon) mentre qui ti viene venduto ciò che è già tuo, vieni confermato nel tuo status di odi et amo, a mostrare per l'ennesima volta l'identità negli opposti.

Se la risposta che decidiamo di dare è la seconda – no, non si tratta più di comunicazione, anche se servita in un luogo inizialmente nato per comunicare, ma nel tempo convertitosi a scopi differenti –, in che modo questo qualcos'altro entra in relazione con la nostra vita? 

E poi siamo sicuri che lasci davvero tutto così com'è, che non ci interpelli a un livello più profondo... Non sarà magari che proprio la ratifica dei miei pregiudizi, dell'io sono uno a cui piace Bob Dylan, non toccatemelo cazzo se no vi taglio le dita che digitano sulla tastiera, Maneskin schifo merda vaffan*ulo, non sarà che tutto ciò indichi una modifica già avvenuta, con riflessi sociali, civili e perfino politici, ripristinando il modello medievale costituito da guelfi e ghibellini?

E infine, se non voglio essere interpellato e adescato e medievalizzato, è ancora possibile difendermi all'interno del mezzo, usarlo diversamente? Oppure il mezzo, come voleva McLuhan, coincide con il messaggio, e dunque la polarizzazione dei discorsi, la loro frantumazione in sottogruppi che si autoconfermano e vicendevolmente screditano costituisce una sorta di destino social, prendere o lasciare? 

Da due interventi davvero piccini piccini, lo dico senza offesa, ho simpatia per chi li ha scritti, si spalancano interrogativi filosofici tutt'altro che banali, in cui traspaiono rischi e possibilità del nostro tempo. Interrogativi a cui onestamente non so rispondere, come diceva quel tale che non era Bob Dylan e neppure i Maneskin: "io di risposte non ne ho, io faccio solo rock & roll".

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