martedì 16 giugno 2020

Totem o tabù?


Perché si costruisce un monumento? Nell'accezione comune, i monumenti sono il riflesso concreto, tangibile e con evidenza pubblica di persone o eventi ritenuti indimenticabili, eterni come l'amore che lega due giovani sposi. Eppure, in entrambi i casi, quel che traspare in filigrana è il rischio dell'oblio; diversamente non vi sarebbe una promessa rituale o un oggetto per conservarne la memoria, vivificandola in un tempo ulteriore.
La celebrazione monumentale è dunque solo a un primo livello quella del soggetto od oggetto riprodotti 
(memorabili per virtù, coraggio, sapienza, abnegazione etc.), ma, implicitamente e più sottilmente, ciò che viene tramandato è in realtà il sentimento dei contemporanei dell'opera, che in tal modo desiderano renderci partecipi dei loro valori, reificati in un esercizio di ammirazione civile di cui temono la scomparsa.
Se mi soffermo, nella piazza della piccola cittadina in cui risiedo, di fronte alla statua di Garibaldi, mi ritrovo così a pensare al mio trisnonno che ha visto un giorno issare quel tronfio uomo barbuto forgiato nel bronzo, la mano destra posata sull'elsa della sciabola, e non all'eroe dei due mondi. Cosa provava in quel momento?
No, non Garibaldi mentre il porticciolo di Quarto dileguava nelle brume e poi compariva all'orizzonte Marsala, ma cosa provava lui, Anselmo, oppure Peppino, Franco, Maria, Cosimo, Wanda e Francesco, cosa provavano i nostri padri e nonni e giù giù inabissandoci nella cantina del tempo; quel che provo io lo so benissimo, non ho bisogno di monumenti se non come raccomandata senza ricevuta di ritorno a chi dal futuro punterà il cannocchiale all'epoca in cui cammino, a differenza delle statue che stanno ferme.
Chi imbratta o distrugge quegli oggetti immobili e incombenti la pensa però in modo diverso, e in essi scorge il potere operante di un totem, a informare il presente del suo afflato imperituro; solo se trafitto al cuore da un picchetto di frassino può essere liquidato, come si fa con i vampiri. Il male, vero o presunto, che nel monumento scorgono, è per essi un tabù. Li chiamano più modernamente simboli, dal greco 
sýmbolon, derivato da symbállō, metto insieme. Si presenta a questo punto una nuova domanda: con il collante del simbolo cosa si vuole unire, integrare?
La risposta più frequente è la forma con lo spirito, secondo lo schema della congiunzione mistica tipico della religione e della magia. L'imago è il mago che ricrea infinitamente il mondo, e il monumento, secondo lo stesso principio analogico, un'ipoteca del passato sul presente. Per liberarsi, l'oggi deve sbarazzarsi dell'incantamento magico, distruggendo la forma che fa di ogni nuovo giorno una replica, come avviene a Bill Murry in Ricomincio da capo.
Se la cultura antropologica del ventunesimo secolo è simmetrica a quella di un villaggio di tremila anni fa, si fa dunque benissimo ad abbattere le statue: Churchill, Montanelli ma in fondo anche il Garibaldi che mi sovrasta, vanitosissmo, nella piazza quasi svizzera di Sondrio; non era pacifista, tantomeno vegano e soprattutto non si faceva mai i cazzi propri. Diversamente, guardiamo ai monumenti con l'affettuosa partecipazione (faraway, so close...) con cui si guarda alla fotografia ingiallita di una prozia morta a quindici anni di spagnola. Una vita troncata, incompiuta, ci osserva mentre l'osserviamo nella goffa posa a cui il fotografo l'aveva costretta, sperando che il flash la liberi presto da quell'impaccio per tornare ai suoi giochi di quasi bambina; ma non prima di aver lavato i panni alla fontana gelida.
Scopriamo così che il flash è il nostro occhio, il piccolo colpetto delle ciglia come il libero per tutti a nascondino. E scopriamo anche che la Pietà Rondanini è il modello di ogni altra statua, la sua incompiutezza è costitutiva dell’opera, ogni monumento è sempre incompiuto. Sta a noi decidere se proseguire da dove l'artista ha posato lo scalpello, oppure abbatterlo perché non conforme al totem postmoderno.

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