giovedì 11 giugno 2020

Traumi 2


Ma perché continuate a dire che i bambini sono stati traumatizzati dalla pandemia? Sarebbe una notizia il contrario, come quella che vede il bambino mordere il cane, classico esempio dei capo redattori del tempo che fu, e non il cane mordere il bambino. Inoltre, perché proprio e solo i bambini? Anche mia madre, ottantadue anni, è stata traumatizzata, lo sono io, quasi tutti abbiamo subito un trauma.
L'impressione è che in chi ripete la frase in ogni occasione (e mai occasione fu più ghiotta della minima ribalta dei social network) sia presente un risentimento quasi metafisico, simile a quello di Giobbe verso il Dio da cui si sente tradito. Il sotto testo, a volte esplicitato, è infatti che i traumi non servono a nulla, sono un'inutile sofferenza da cui preservare le proprie creature, già che nella maggioranza dei casi a esprimersi sono giovani donne. E su questo sono completamente d'accordo: la sofferenza non serve a nulla.
Se ne ricava che la differenza tra il mio trauma e quello di un bambino, a renderlo tanto più scandaloso, sta nel fatto che un ferro vecchio come me già dovrebbe conoscere il dolore (confermo), mentre il trauma infantile possiede un carattere inaugurale, epifanico. E dunque poco importa che la mia vita sia messa in pericolo dal virus e quella del bambino no, dal momento che il trauma è un'esperienza soggettiva, potremmo dire un'annunciazione, più che un dato di realtà quantificabile su una scala gerarchica. In altre parole, il trauma da Covid-19 annuncerebbe l'arrivo di nuovi e futuri traumi, o in forma ancora più radicale l'essenza traumatica della vita.
Credo che fosse per via di tale coscienza realistica che i genitori di un tempo ritenevano i traumi formativi, mentre le nuove generazioni, cresciute a pane e fiction, vorrebbero preservare i figli da ogni genere di sofferenza, consegnandoli a un'esistenza oscurata dal male, in quella moderna parusia inaugurata dai programmi televisivi di Gianni Boncompagni.
Viene alla mente il paradiso in terra in cui il giovane Siddharta viveva confinato, e di cui, fuggendo, scopre la natura illusoria. Possiamo allora concludere che sia stato il trauma a renderlo Buddha? No, sarebbe una deduzione sbagliata, il trauma che gli proviene dal contatto con il dolore manifesto nella carne dei lebbrosi è solo la premessa della sua ricerca, che avrebbe potuto concludersi in modo diverso. Ad esempio uccidendo i genitori perché usavano un bagnoschiuma di una marca improbabile, come in un celebre racconto di Aldo Nove.
Nel dubbio, si deve fare come le madri coccodrillo di cui parla Lacan, che per evitare traumi ai loro coccodrillini li ingoiano dopo averli partoriti, oppure come le ragazze africane, i figli in un marsupio inforcato sulle spalle, sempre dietro, mai davanti, e appena si reggono in piedi vengono restituiti al mondo, fatto di traumi ma anche di incantesimi, spari e petardi?
Non possiedo la risposta, ma mi rendo conto che la linea di discrimine tra l'Occidente psichico e ciò che, giustamente, continuiamo a considerare altro, passa anche dall'approccio agli eventi imprevisti, specie se in grado di procurare un trauma. Per noi rappresentano l'oscenità metafisica suprema, mentre per culture differenti il trampolino da cui tuffarsi nel grande fiume della vita. Dove, per definizione, ci stanno anche i coccodrilli.

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