sabato 6 giugno 2020

Traumi

A me l'immagine del plexiglas che divide gli alunni piace, potrebbe essere un'istallazione artistica di Maurizio Cattelan, una metafora potente della condizione della tarda modernità, ben oltre estesa alla contingenza del virus. Mi rendo però conto che non può essere considerata una soluzione duratura, oltre che di dubbia efficacia.
Non voglio sminuire l'importanza di una profilassi ambientale, per quanto mi sembra discutibile la fiducia in una strategia del genere, che comunque non eviterebbe i contatti fisici prima e dopo le lezioni. Ma al di là degli aspetti pratici, mi sembra interessante approfondire i motivi di protesta immediatamente seguiti alla proposta, toccando sui social livelli di ringhiante ripulsa.
Tutto ruota attorno alla convinzione che una barriera trasparente potrebbe indurre un trauma, ossia, letteralmente, una ferita nell'equilibrio emotivo dei ragazzi, come quella inflitta a Telefo dalla lancia di Achille. Ora a me sembra altamente improbabile che una paratia possa turbare profondamente la psiche di un giovane. Ma se, per ipotesi, davvero così fosse, mi chiedo perché no?
Non voglio essere cinico o peggio sarcastico, quanto piuttosto riflettere sul fatto che la sistematica rimozione dai traumi sia divenuto l'approccio pedagogico dominante, ne possiamo trovare una sintesi efficace nel film La vita è bella. Certo, in quel caso si trattava di un trauma vero, drammatico, e nessuno si augura il ritorno dei campi di sterminio nazisti.
Il principio ispiratore della pellicola era la cosiddetta bugia a fin di bene. Un padre sorridente e affettuoso e menzognero, tanto più menzognero quanto più sorriso e affetto si fondono, cerca di velare al figlio la più terribile verità. Con le debite proporzioni, una situazione che può essere traslata al presente; pensiamo al dottor Zangrillo quando afferma che il coronavirus è "clinicamente scomparso”. No, non è scomparso, basterebbe una sola vittima per smentirlo, ma come Benigni Zangrillo vuole preservarci da un'esperienza traumatica del reale; e cioè del reale tout court, essendo il trauma intrinseco alla vita.
Il suo atteggiamento ci rassicura, tutti sanno che non è vero ma si stabilisce una complicità omertosa; in fondo parla per il nostro bene, non vuole farci soffrire, temere. La sua professione è quella di anestesista. Eppure non era così scontato che avesse successo una comunicazione anestetica, non riguardava ad esempio le generazioni precedenti. In un passato ancora prossimo venivano addirittura escogitati dei traumi artificiali a cui sottoporre i ragazzi, considerandoli formativi; il leggero schiaffetto impartito dal prete durante la Cresima ne è immagine omeopaticamente diluita, in cui traspaiono gli antichi riti di iniziazione.
Bisogna inoltre aggiungere che la soluzione concepita dalla Ministra riflette la medesima prospettiva culturale di chi la contesta, imbastendo l'equivalente post moderno della campana di vetro. Ciò che cambia è solo la valutazione topologica in cui collocare il bene da preservare: la psiche dei giovani oppure il loro sistema immunitario?
Non ho ovviamente una soluzione da offrire, se non cercare di reindirizzare l'interrogazione sul dilemma, più profondo, che si muove dietro alla polemica sul plexiglas a scuola: una vita senza traumi, dunque senza realtà, pericoli, virus, oppure l'atteggiamento più stoico di chi pensa che a volte si possa incontrare il male senza esserne annichiliti? Magari piccoli mali per evitare dolori più grandi, come nell'altrettanto temuta vaccinazione.
Mentre riflettiamo sulla risposta, ricordo il finale del mito di Telefo, dove è la stessa lancia di Achille a guarire dopo anni la ferita del re di Misia. In largo anticipo su Freud, gli antichi greci avevano intuito che c'è solo un modo per superare gli inevitabili traumi: viverli. E se non si capisce la lezione, non la si integra, ri-viverli. Mi auguro solo che non sia necessaria una nuova pandemia per comprendere che il mondo esiste, comunque esiste prima e dopo il desiderio che prova a dargli forma, e quando non ci riesce trasferisce l’immagine redenta in una nuvoletta di finzione. Dove mulini bianchi convivono accanto a mucche viola, pantere rosa e zebre a pois.

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