mercoledì 14 settembre 2016

Tiziana C., o sull’impossibilità di cambiare canale



Conosco quel che in fondo tutti sanno della vicenda di Tiziana C., la trentunenne napoletana che si è suicidata, ieri, in seguito alla pubblicazione sul web di alcuni suoi brevi filmati hard, trasformati in tormentone mediatico (“Mi stai facendo un video? Bravo!”, è la frase espunta dal video amatoriale realizzato con uno smartphone, e finita perfino sulle magliette prontamente commercializzate a Napoli).
Questa storia, prima squallida e poi tragica, si presta a numerose interpretazioni, ma innanzitutto merita quel rispetto postumo che non ha ottenuto in vita. Più di ogni altra cosa, a me ha impressionato la coerenza forzata e becera che la tecnologia impone alla complessità di ogni esistenza umana, compressa in narrazioni sempre più misere, semplificate dentro le impronte artificiali a ricapitolazione sommaria di un destino: quello di una ragazza facile, di una traditrice, una "puttanella", in questo caso. 
Eppure, al di là del giudizio moralistico e feroce che ovunque l'assediava, quel tassello, quel minimo degradato pezzo di vita non era completamente estraneo alla realtà effettiva di Tiziana C. – come gli stessi magistrati che hanno seguito la vicenda avevano sentenziato, la ragazza era consapevole di essere filmata, sembrava al momento perfino divertita. Ma poi ha iniziato a sentirsi limitata e oppressa dalle conseguenze di ciò che aveva fatto, e anche qui non entriamo nel merito (non mi interessa, non ci deve riguardare) se fosse solo per il biasimo sociale o per una percezione interna di disagio, di cattolica e manzoniana colpa. In ogni caso, avrebbe voluto essere un'altra, anzi un'altra già si sentiva, e però le mancava un altrove in cui dileguarsi e ricominciare. Il vero era insomma diventato falso, con questa menzogna, questa divenuta finzione, a inchiodarla a un infinito riproporsi dei suoi gesti. Chiudere un libro e aprirne un altro, semplicemente questo desiderava.
Anche solo qualche decennio fa, la cosa era possibile, perfino agevole: i battelli stipati che, nel loro beccheggiante e incerto procedere, accompagnavano gli emigranti a Ellis Island, se ci pensiamo erano pieni di Tiziane C. Ed erano braccia, volti, corpi che reclamavano un battessimo purificatore, la carezza umida sulla fronte a significare unicamente: “Vai, vivi, fai! Ora sei finalmente libero dalla zavorra del passato.”
Una vita umana è infatti l’insieme di tante vite, il romanzo biografico non è un racconto ma va formandosi con capitoli su capitoli, anche contraddittori, e la grazia di continue nascite e funerali, almeno quante sono le maschere che dobbiamo indossare prima di trovare il nostro vero volto.
Abbiamo invece ora televisioni da migliaia di canali, ma il telecomando che pilota la nostra vita è rotto, e lo smisurato archivio di immagini ci infilza come ali di farfalletta, arresta il movimento e la trasformazione, imprime il sigillo della replica. Il nuovo finisce dunque con l'avere il ghigno torvo di un vecchio che ripete sempre la stessa storia, che per Tiziana era quella di uno stramaledetto video gettato da qualche gaglioffo tra le fauci di un drago, un mostro con milioni di occhi che sbirciano il suo piacere di una notte.
L’ultima grottesca maschera di Tiziana è così rimasta tatuata ai suoi bei lineamenti mediterranei. Per strapparsela ha dovuto buttare anche la vita, nel tentativo estremo di distinguersi dal suo simulacro abbronzato e un po' naif, da quel pompino che ora viene chiamato in forme eufemistiche e pietose. Ma era semplicemente un pompino, una cosa che si fa, non c'è mica nulla di male. Poi il catalogo della vita però passa ad altro, cosa che lei invece non ha potuto fare.
E allora buona fortuna Tiziana, se esiste da qualche parte una diversa possibilità, ti auguro che la tua nuova recita abbia interpreti migliori. Ma anche un pubblico più bonario verso i nostri goffi tentativi di diventare, semplicemente, quel che siamo.



2 commenti:

  1. È proprio così: siamo immortalati in una istantanea statica che diventa gabbia e fermo immagine. Le ali tagliate. Lo spazio asfittico. La Vanessa impigliata e trafitta dallo spillone.
    Ridateci la possibilità di cambiare.
    Ciao e grazie

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  2. Grazie Eletta Senso, hai un nome magnifico! E parole esatte e lievi che gli corrispondono: come un eco, come un ago...

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