martedì 27 aprile 2010

3.36


La sintesi, si dice. Il dono della sintesi. Raramente mi è capitato di rimanere impressionato dal potere sintetico della rappresentazione come in questo recente video di Fulvio Abbate, al solito inserito nella sua benemerita Teledurruti.

Ciò che mi impressiona: la durata, 3 minuti e 36 secondi in tutto. E in 3 minuti e 36, probabilmente oltre le intenzioni dello stesso autore, chissà, mi sembra di poter leggere nemmeno troppo in filigrana dentro immagini di assoluta e personale routine - una visita al cimitero insieme all'anziana madre, è una tiepida giornata primaverile - i seguenti temi universali:

1) La morte - Fulvio Abbate e Gemma Politi si trovano di fronte alla lapide funeraria del loro, rispettivamente, padre e marito. Lui esegue le riprese, lei parla, guarda in macchina, compie i piccoli gesti abituali della manutenzione funebre. Cimitero palermitano di San Orsola e Santo Spirito, aprile 2010.

2) La memoria oltre la morte - La fotografia, tutto prende avvio da una fotografia. Quella incastonata nel marmo davanti a cui sostano i famigliari per ricordare chi non c'è più. Non sono lì per caso, dunque. Da quel che accennano si può immaginare un viaggio travagliato e difficoltoso: semafori, code, traffico, parcheggi da trovare e scale da scendere e da salire. Biglietti, forse, anche. Non per caso ma per intenzione. E al termine di quel minimo viaggio sono finalmente lì, e ricordano.

3) La nostalgia come glorificazione della memoria - Nel grigiore appena variegato delle pietre sepolcrali, il breve video si tinge del rosso acceso di un fiore. Stranamente non è invasato, come in genere si conviene al luogo, ma deposto in piano sul marmo che richiude la tomba. Fa pensare, così tutto solo e disteso, a un gattone neghittoso o a un turista olandese allampanato, avido dei raggi del primo sole mediterraneo. Rosso, non capisco nemmeno bene che fiore sia, semplicemente rosso; il colore delle emozioni, del sentimento, quello che invade e colora la memoria di madre e figlio. Una tonalità cromatica "laica", ci tiene però a specificare subito la professoressa Gemma Politi. Comunque rosso.

4) La nostalgia come falsificazione della memoria - "Ma da dove viene quella fotografia?", chiede in quel momento di compunta commozione familiare la madre. Scoprendo con sorpresa dal figlio che l'immagine posta nell'ovale è stata modificata attraverso la grafica computerizzata. Lo sfondo di piastrelle nell'originale - "...ma allora ce l'ho anche io a casa?", replica la donna senza raccapezzarsi - è stato infatti sostituito da una campitura azzurrina e pacificante. Più Andy Warhol che Giotto, a dire il vero.

5) La rappresentazione della memoria e della nostalgia - Un angelo composto con la tecnica del mosaico su uno sfondo questa volta dorato, da Giotto si ritorna a Cimabue, staglia sopra la lapide verticale. "E' bello l'angelo", esclama il figlio. Per molti anni l'uomo si è occupato proprio di arte: come giovane promettente autore, quindi critico, curatore di mostre e amico di numerosi artisti. La rappresentazione della memoria e della nostalgia come fondazione cognitiva dell'arte? E' bello l'angelo, e non si capisce se lo dica con una punta di ironia.

6) La rappresentazione dell'immemorabile e dell'ulteriore - Cioè, ancora, l'arte intesa come ipotesi teologica. Dove sta ora quel padre, quel marito, senza più il conforto abituale delle sue piastrelle, avvolto nel velo azzurrino di una carta da parati che non è quella di casa sua? La madre ripete nuovamente di aver scelto un'immagine "laica", quasi a volersi giustificare. Il figlio risponde: "Un angelo, ti sembra laico un angelo?"

7) La famiglia, il luogo degli affetti - Madre e figlio si ritrovano così nello spazio fisico di una memoria. Memoria che genera sentimento, quel particolare sentimento che non guarda avanti, come l'eros, ma alle proprie spalle. Ed è sempre la nostalgia. Madre e figlio sono dunque uniti da un sentimento nostalgico, saldati, "sposati" dal perdurare di un'assenza.

8) La famiglia, il luogo dei conflitti - I due, improvvisamente e per via di un infimo dettaglio - la manipolazione della fotografia - si separano dal galateo della concordia funebre, virando inaspettatamente verso registri linguistici opposti. Crepuscolare e attonito quello della madre, che sembra non capacitarsi degli effetti della tecnica sulla memoria, confondendo a volte i piani. Risentito e quasi astioso il figlio; che di certo non ignora la questione, ma vive con disappunto il momento di imbarazzo senile della propria madre.

9) La tragedia come luogo in cui affetti e conflitti si rimescolano - La morte, il degrado cimiteriale, diventano così l'occasione per un inaspettato confronto di interpretazioni, quasi uno scazzo di fronte al totem silenzioso del famigliare scomparso. Oggettivo e dolente l'atteggiamento della vecchia madre, che registra la scena di ordinaria inadempienza con sfinito e davvero molto siciliano fatalismo, soffermandosi sconsolata sul vialetto cieco del cimitero invaso dalle infiltrazioni d'acqua, a cui nessuno provvede. Il figlio risponde che è Palermo, ad essere un corridoio alluvionato e senza uscita.

10) La tragedia, la morte, fondazioni dell'idea moderna di famiglia - Se la tragedia rende manifesto il contrasto, la tragedia è però anche ciò che vincola, trattiene, nell'impossibilità di uscire dal gioco sempre ipotetico delle questioni ultime e delle memorie prime. La morte, per quanto naturale, è dunque tragica proprio in questo: nel rendere oscena e inesauribile qualsiasi interpretazione. E con ciò si configura quale religio laica, che circoscrive una comunità umana dentro la memoria che si tinge d'emozione, senza risolversi mai in un pensiero conclusivo. Ma l'emozione è un gas che, quando non trova una via di fuga nel presente o uno slancio verso il futuro, si infiamma nell'attrito. Divampando nel passato.

11) Il cimitero quale correlativo oggettivo - Come il figlio sottolinea più volte, il degradato scenario di un assolato cimitero palermitano come tanti, nel contesto della rappresentazione, assume una valenza espressiva di carattere generale. Nel nostro sguardo di spettatori complici, non è insomma più solo Palermo a essere un corridoio alluvionato e senza uscita, una fotografia neorealista che imprigiona il tempo, modificandolo ad arte, ma l'Italia intera.

12) L'Italia è una tragedia civile - La correlazione tra Paese e cimitero, adombrata ma giustamente non sottolineata dall'autore - e ciò perché sorge automatica, quasi scontata - assume una coloritura non solo dolente, ma spietatamente e puntualmente descrittiva. E così, sembra suggerirci Fulvio Abbate. Così come si vede nelle immagini del cimitero di Sant Orsola e Santo Spirito, così come nelle parole di un figlio adulto e della propria vecchia madre, nei loro battibecchi affettuosi, rimpianti trattenuti, ricordi familiari. E' così.

13) L'Italia, di conseguenza, è una tragedia familiare - Un luogo in cui gli affetti e le memorie, quando non hanno il respiro o forse il coraggio, la curiosità, di scavalcare il recinto del proprio sacrario privato come invece fa lo scrittore Fulvio Abbate, arrampicandosi sulle spalle curve della madre e urlando a tutti il suo orrore, un luogo in cui ogni slancio si traduce in un'onda ottusa e caramellosa, che infinitamente rivolge in una risacca senza orizzonte comune.
Sì, l'Italia è un inesauribile battibecco di fronte a una fotografia contraffatta: la fotografia sorridente di un morto, mentre alle sue spalle il cielo si tinge di blu. Il cielo è sempre più blu.

Tutto questo spremuto in 3 minuti di registrazione con un telefonino portatile, senza editing o regia cinetelevisiva. 3 minuti e 36 secondi, per l'esattezza.

1 commento:

  1. ..grande precisione...aspetto riflessioni anche sulla fucking religion..by albi

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